Una storia sognante
e vagamente surreale
sulle origini del cinema
e il mistero della bellezza
e dell'ingenuità. Una vicenda dal fascino mitico
che narra le contraddizioni
dell'uomo nel tentativo
di rendersi eterno attraverso l'arte.
La quinta in cui mi trattengo con Francesco Costa per parlare del suo ultimo libro, L'imbroglio nel lenzuolo (Salani, pp. 260, 14.50 euro) è davvero singolare: un bosco fitto che si apre alle verdi dolcezze dei prati e alla freschezza di un lago poco lontano. Siamo nel cuore di Villa Pamphili. Nel cuore della storica Roma di sempre. Quella che più amo, che più sento mia. Passeggiamo in una giornata di calda quiete primaverile, col brusio della città che langue all'orizzonte come un mastodontico animale preistorico. Fai davvero fatica a credere che tutto questo duri da tremila anni. Che abbia quasi la stessa età della mitologia e degli archetipi. E' come se il tempo lo leggessi tutto all'improvviso, nel corsivo delle pietre, nella trama delle acque e della terra, e sentissi di farne parte, di esserne un piccolo centro pulsante. Nessuno scenario si presterebbe di più alla riflessione sul libro di Francesco Costa. Pagine piene di foglie, di foreste, di erba, di laghi intorno ai quali sembrano verificarsi oscuri incantesimi e strane metamorfosi. Pagine di inganni e allucinazioni, giacché tutta l'arte è in fondo entrambe queste due cose: inganno e visione, menzogna e felicità. E lo è ancor più l'arte del cinema, che dall'immagine e dalla parola trae il suo più fervido nutrimento. La stessa che l'autore napoletano racconta con ineccepibile maestria all'inteno del romanzo, storia di una finzione creativa che, nel bene e nel male, modifica completamente la vita dei tre protagonisti.
Marianna, l'umile erbivendola analfabeta, seducente e ingenua, il cui fascino diviene oggetto di una contemplazione ossessiva e di un raggiro capace di rovinarle la reputazione. La ragazza è infatti inseguita e ripresa mentre si immerge nuda tra le acque del lago d'Averno, ritrovandosi senza neppure immaginarlo sul vasto "lenzuolo" che ogni sera segna il nascere del secolo nuovo, caratterizzato dalla più epocale delle rivoluzioni: il cinema. Per i più Marianna è il simbolo della perdizione, della scostumatezza, dell'abuso, della libidine che assoggetta il maschio a una lussuriosa dipendenza. Federico, invece, è l'orfano di un padre fragile e innamorato, figlio dell'incauta Alma - sorta di stravagante sorella, più che vera e propria madre -, artista mosso dal sacro furore della creazione e disposto a tutto pur di realizzare La casta Susanna, il film per cui ha intravisto nella promettente Marianna una musa ideale. Federico è letteralmente rapito da tanta meraviglia, ne è attratto come la falena dal fuoco notturno della lampada. La sua corsa senza scrupoli conferma la tempra di una volontà di ferro, quella di "imbrigliare" la bellezza in ogni sua manifestazione, per eternarla sul lenzuolo tanto discusso, che giorno dopo giorno sta divenendo il fulcro della nuova passione collettiva. Beatrice, infine, rappresenta il terzo polo magnetico di questo triangolo di efficace splendore: scrittrice di modesto talento, donna un pò snob e figura venata di ammirevoli contraddizioni, approdata al Sud dall'"altra Italia", con due bambine, alcuni eccentrici cappelli e il solo bagaglio della sua curiosità, è pure lei, a suo modo, un'artista. Pure lei insegue, oltre all'amore devastante per Federico, il sogno di scrivere Euridice, l'orfana tisica, il romanzo al quale sembra avere consegnato la speranza di una necessaria celebrità futura. Un sogno al quale affiancherà presto l'ambizione per la recitazione, il desiderio di ottenerlo lei l'ambito ruolo di Susanna. Sono questi i tre personaggi intorno ai quali si dipana la materia avvincente de L'imbroglio nel lenzuolo, voci di una partitura musicale sapiente e misurata, che non si smorza mai dal principio alla fine, e che promette, fino all'ultima pagina, rivelazioni e manifiche sorprese. Il tutto, armonizzato da una lingua visionaria, crepitante, ricca e lievemente anticata, frutto di una ricerca scrupolosa e di un'indagine attraverso il sentire di un tempo che la letteratura alona di mito e di poesia. Passeggiando nella meravigliosa cornice del mattino romano, Costa mi parla delle intense fasi di studio che hanno preceduto la complessa redazione del romanzo: la consultazione dei testi di botanica, la lettura dei quotidiani dell'epoca, la cattura dei termini dotti, il bisogno di dare continuità formale a una struttura tripartita che si regge su meccanismi di particolare efficacia. Una stagione creativa illuminata dall'amore per il cinema, dall'idea delle inesauribili possibilità che esso ci offre di raccontare le infinite storie di tutti. L'imbroglio nel lenzuolo è diventato un film di Alfonso Arau, illuminato da Vittorio Storaro, e interpretato fra gli altri da Maria Grazia Cucinotta, Anne Parillaud, Primo Reggiani e Geraldine Chaplin. L'emozione della carta ha assuto respiro attraverso il colore delle immagini, l'impegno degli attori, il viaggio nei luoghi metafisici dove la storia sembra essere stata partorita. Sarebbe bello tornare proprio laggiù, davanti allo specchio d'acqua dell'Averno in cui s'immerge la povera Marianna, inconsapevole della sua rovina, laddove gli antichi ritenevano si aprissero le fauci fumiganti del Regno dei Morti. E' questa l'immagine che mi piacerebbe portare con me dopo aver chiuso il libro: questo silezio, queste ombre lunghe, sottili, che strisciano come vento e come anime. Un'impronta di qualcosa di autentico, che non si cancella e su cui la morte sembra avere perduto, incredibilmente, ogni potere. Tre personaggi, una trama matematicamente tripartita e un ricco intreccio di voci e di rimandi psicologici. Tutto questo denota da parte sua una notevole attenzione alle strutture affabulatorie. Quanto sono importanti le questioni della forma per un narratore?
Per me sono determinanti. Prima di iniziare un libro, mi chiedo a lungo quale forma avrà. Sarà prevalentemente drammatico? Avrà una tonalità umoristica? Avrà un solo io narrante oppure, al contrario, mi costringerà a usare più di un travestimento? Che cos’è infatti l’io narrante se non un travestimento dello scrittore? Posso pensare per anni a questo problema e, finché non riesco a darmi una risposta soddisfacente, non comincio a scrivere. L’imbroglio nel lenzuolo è stato meditato per sette anni. Mi domandavo quale forma dargli: non avevo paura della lingua perché sono consapevole di avere una lingua avvolgente, una lingua che può sedurre, e di essere sempre attento al ritmo (non a caso, in fase di scrittura, leggo più volte a voce alta ogni mia pagina). Dapprima, nei miei primi romanzi, la mia lingua era torrenziale, ma si è fatta negli ultimi anni più beffarda e controllata, pur rimanendo sempre visionaria. Il vero problema era trovare una forma in cui fossero espressi, e saldati l’uno all’altro, moltissimi temi: quello dell’aspetto demoniaco della creatività artistica, innanzitutto, e poi quello delle disparità sociali nell’Italia all’indomani dell’unità, l’annoso problema della diffidenza che oppone Meridione a Settentrione, il richiamo dei miti antichi, il fascino di una natura lussureggiante, il richiamo ipnotico della passione fisica, la contrapposizione lancinante fra maschile e femminile, e dulcis in fundo una rielaborazione del tema del “doppio” che la fa da padrone in ogni mio romanzo. Avevo ricevuto ottime critiche con il mio romanzo precedente, La volpe a tre zampe, che era il primo, e non volevo fare un passo indietro, non volevo deludere i miei lettori, mi illudevo di essere seguito dai critici che avevano parlato bene di me. Pensavo ingenuamente che attendessero con curiosità la mia seconda prova. Ignoravo che i critici avrebbero gradualmente preso l’abitudine di parlare soltanto dei libri che superano un certo tetto di vendite, e generalmente per dirne male. Ho optato così per un esperimento formale di grande audacia: una storia che partisse da un presente e al presente tornasse dopo un lungo “affondo” nel passato, ma vista da tre personaggi diversi (un uomo e due donne) che si alternano con millimetrica precisione a mandare avanti la storia. Ognuno dei tre riprende il racconto esattamente dal punto in cui lo ha lasciato l’altro, e a chiarire che si tratta di un’unica partitura musicale ogni capitolo inizia con la medesima parola che ha chiuso il capitolo precedente, e per dirla meglio potrei sostenere che ognuno dei tre protagonisti inizia il proprio canto con la parola con cui si è concluso il canto del personaggio che viene prima di lui. Ho scritto per un anno intero con grande fervore, con immenso entusiasmo e grandi energie fisiche (dalla stesura di questo romanzo si è avviato un dolore reumatico alla spalla sinistra che occasionalmente torna a farsi sentire), ma anche con una concezione “matematica” del racconto. Ognuno dei tre protagonisti ha lo stesso numero di pagine e direi quasi di battute, e la mia intenzione era non solo quella di comprimere in una struttura ferrea una materia ribollente, ma anche quella di imprimervi il sigillo della perfezione. Una tale armonia numerologica richiede una lucidità estrema che temperi un estremo abbandono, e l’operazione può lasciare stremati. Ecco perché L’imbroglio nel lenzuolo è un esperimento unico nella mia produzione. Non ho mai più tentato niente di simile. Chiunque mi conosce, sa che non sono esattamente portato per la matematica. Sotto un altro punto di vista, quello della ricezione da parte degli altri, questo romanzo è il mio “figlio fortunato”. Ha vinto premi, è stato tradotto all’estero, è diventato un film. E’ per questo forse che gli ho prestato successivamente, anche nei miei pensieri, scarsa attenzione. Si è difeso da solo. Non aveva bisogno di me. Papà doveva pensare ai figli meno apprezzati. Federico, Marianna e Beatrice… Quale dei tre personaggi è quello in cui si è maggiormente rispecchiato e che in certo qual modo la rappresenta di più?
Direi che Marianna, figura impulsiva e selvatica che mi pare di aver schizzato con un unico tratto di penna, è quella che non mi somiglia affatto. Ha percorsi mentali che non sono i miei, un carattere deciso che non è il mio, un’inclinazione ad agire che non è la mia: io sono un tipo più contemplativo. Nel disegnarne la psicologia, mi divertivo a fabbricare un temperamento plausibile, ed estremamente accattivante, che al mio fosse quasi contrapposto. Spesso la facevo reagire alle sue disgrazie esattamente nel modo opposto a quello che avrei adottato io. A Federico, che invece mi somiglia tanto, ho prestato la mia ambizione (che è sconfinata), l’amarezza di sentirsi incompreso, un rapporto insoddisfacente con la figura materna, la combattività, la fatica di convincere gli altri del proprio talento, la capacità di imprigionarli nel raggio di luce della propria immaginazione. Beatrice è il personaggio del quale vado più orgoglioso perché è il personaggio inessenziale. Se mi fosse bastato delineare una dinamica vittima-carnefice, mi sarebbero stati più che sufficienti Federico e Marianna, il regista e la sua ignara fonte d’ispirazione, ma a me interessava anche posare sulle suggestioni e sulle contraddizioni del nostro Sud uno sguardo alieno, quella di una scrittrice torinese che insegue la bellezza alla maniera di Goethe, calandosi in un Meridione che rischia di accecarla con la sua luce intensa (e temporaneamente cieca Beatrice diventerà dopo aver fumato un’erba allucinogena). Mi piaceva esplorarne gli aspetti più contraddittori: trasgressiva rispetto ai codici in ossequio ai quali è stata educata (non ha marito, ma ha due figlie avute da uomini diversi, e ha dato scandalo in gioventù), si ritrova però a considerare Napoli attraverso la lente del pregiudizio e diffida di Marianna e dei napoletani in genere. Di me ha non solo la professione (per pudore, però, ho specificato che è una scrittrice di modesto talento), ma una certa pensosità, una capacità di perdonare per amore, un sottile disincanto, e anche il coraggio di imbarcarsi in un’avventura dentro un contesto a lei del tutto ignoto (ricordo ancora lo sgomento e l’ebbrezza che avvertivo nel vagare in una Roma stupenda ma non sempre ospitale). Sono fiero di aver riscattato Beatrice dalla sua originaria “inessenzialità”, promuovendola al rango di protagonista, al pari di Marianna e Federico. Partorire queste tre figure mi ha dato al momento un’indescrivibile sensazione di benessere. Nel dipingere la scena finale, con Beatrice e Federico intrappolati su una barca, ero profondamente felice. Avevo avuto la mia visione, per usare le parole di Virginia Woolf nel finale di Al faro. E come gli altri miei romanzi, anche questo finisce sull’acqua: del mare o di un lago, poco importa, ma si concludono puntualmente tutti sull’acqua.
Nella sua scrittura il sognatore, il puro, vince sempre su una realtà che, nonostante la sua brutalità, non riesce a prevalere sulle buone intenzioni e sull'esigenza di sognare. Si tratta di un tratto specifico che appartiene anche al suo carattere e alla sua personalità?
Sono stati i sogni degli uomini, fin dall’invenzione della ruota, a far andare avanti l’evoluzione umana. Sono stati i miei sogni a farmi diventare quello che, nel bene o nel male, sono diventato. C’è sempre un grano di follia in un sognatore, ma è questo a sostanziarne l’eroismo, visto che inevitabilmente deve misurarsi con un contesto indifferente, se non addirittura ostile, però non dimentichiamo che nell’antica Grecia ai matti si riconosceva una contiguità con il divino. Ho una naturale insofferenza per la grettezza, per la piccineria, per il calcolo del “do ut des”. E mi rattrista vivere in un paese in cui si spende così poco per la cultura e si premia quasi esclusivamente chi è vittima del proprio narcisismo. Io attribuisco d’istinto le migliori qualità a una persona di cui mi colpisce l’espressione, e non sono poche le volte in cui sono rimasto deluso, ma non per questo mi piacerebbe essere diverso. Ho avuto vent’anni nei giorni mitici del Sessantotto e, fra tante storture e deviazioni, mi piace ricordare che a quei tempi si sognava di far salire “l’immaginazione al potere”. Ho sempre vissuto con quello che mi ha procurato la mia fantasia. Non conosco modo più seducente di vivere che quello di essere artista, e di fare della propria vita una creazione artistica.
Questo è uno dei pochi suoi libri in costume. Per il resto, la sua scrittura è sempre rivolta al presente e alle sue numerose contraddizioni. Quale delle due dimensioni attrae particolarmente la sua attenzione di scrittore?
Il romanzo in costume richiede ovviamente un meticoloso lavoro di documentazione. La volpe a tre zampe, ambientato nel 1956, e L’imbroglio nel lenzuolo, che si svolge nel 1905, mi sono costati mesi di scrupolose ricerche in biblioteca. Andavo tutti i giorni a leggere con attenzione vecchi giornali e a riempire corposi taccuini di appunti. Era come tornare a scuola, era un modo di ringiovanire, ed ero felice di ritrovarmi fra dozzine di studenti impegnati a stendere le loro tesi di laurea. Io non potrei mai scrivere un romanzo su un personaggio realmente esistito, e per motivi piuttosto oscuri la sola idea mi genera un vago senso di repulsione, pur essendo un accanito lettore di biografie, perché mi parrebbe di avvilire la mia creatività, di contaminare la mia scrittura con un sentore di necrofilia. Questo però non vuol dire che gli sfondi storici dei miei romanzi in costume non siano ricostruiti con maniacale precisione. Studiando con scrupolo i giornali di cento anni fa per disegnare lo sfondo di L’imbroglio nel lenzuolo, mi sembrava di disseppellire un tesoro, di far affiorare dal mare il relitto di un galeone, di contemplare un’iscrizione in una lingua ignota. I personaggi che su quello sfondo si agitano e soffrono devono però essere completamente inventati da me. E’ una condizione ineliminabile perché io mi senta vivo: non posso in alcun modo ripercorrere la vita di un personaggio storico. Mi sentirei un becchino che scoperchia una bara per frugarci dentro. Per me è vitale dar vita a uomini e a donne mai esistiti. E’ indispensabile inventare. Se non invento, appassisco. E così genero fantasmi, uomini e donne, che nelle mie intenzioni devono incantare il lettore, e le cui caratteristiche sono un impasto di lati appartenenti a me e di aspetti che vedo in altre persone. E’ un lavoro che ha a che vedere con l’illusionismo, con i giochi di prestigio, con il furto, e in definitiva con il cinema. Il cinema fa infatti ritenere vere e tangibili semplici sagome immateriali che fluttuano su uno schermo bianco. Anche la scrittura, in fondo, è un imbroglio: ti strappa alle tue abituali occupazioni per calarti in pochi minuti dentro un universo che non esiste al di fuori della nostra fantasia.
L’imbroglio nel lenzuolo è un libro complesso, dal quale lei ha tratto pure la sceneggiatura di un film. Come nasce? Possiamo considerarlo un tributo all’arte del cinema e alla sua passione per tale arte?
Benché il mio contributo alla sceneggiatura del film di Alfonso Arau sia stato indiscutibilmente determinante, e non sempre apprezzato come sarebbe stato giusto, sono citato nei titoli di testa semplicemente come “supervisore alla sceneggiatura” per una serie di incidenti che qui non è il caso di rivangare. L’idea fondamentale del romanzo nasce dalla mia passione per il cinema che mi ha salvato letteralmente la vita, perché ha colmato la mia sete di bellezza e di mistero, e di avventura e di fascino, in un’infanzia piena di domande senza risposta e di una continuamente disattesa ricerca d’amore. Nel romanzo precedente, La volpe a tre zampe, avevo esplorato l’aspetto salvifico della creazione artistica, raccontando di come il cinema rincuorava un bambino costretto a vivere in un contesto desolato e brutale, al punto da fargli credere che la moglie infedele di un ufficiale della NATO, da lui conosciuta per caso, fosse addirittura la sua attrice preferita, la rossa Susan Hayward, piovuta direttamente da Hollywood per salvarlo dalla miseria. Ancora il tema del doppio, dunque. Mi premeva, però, raccontare anche l’aspetto crudele della creatività artistica, quello che autorizza l’artista a vedere negli altri soltanto delle fonti d’ispirazione, senza curarsi della loro interiorità, e così ho raccontato gli albori della civiltà dell’immagine in cui il corpo e il volto diventano feticci che scatenano passioni morbose e impulsi fondamentalmente distruttivi: riprendendo furtivamente la nudità di Marianna che si bagna nel lago d’Averno, Federico non pensa minimamente al danno che può arrecarle (i paesani dei Campi Flegrei la metteranno al bando, ritenendola una donna di malaffare che espone il suo corpo alla libidine di migliaia di maschi), ma solo all’effetto estetico che ne può ricavare per realizzare al meglio il suo film. L’idea era quella di raccontare il ruolo strumentale che l’artista fa ricoprire ai suoi simili nel proprio processo creativo: quanti individui si sono offesi perché si sono riconosciuti nel personaggio, ritenuto non del tutto simpatico, di un romanzo o di un film! Mi viene in mente l’accorata lettera di protesta scritta a Goethe da un giovane che si era riconosciuto con sofferenza nel personaggio di Albert in I dolori del giovane Werther, e la furia con cui la scrittrice Katherine Mansfield ruppe l’amicizia con il collega David H. Lawrence perché si era rispecchiata nel personaggio (a lei odioso) di Gudrun in Women in Love. C’è qualcosa di osceno nel processo creativo, non lo si può negare, e sicuramente c’è qualcosa di vampiresco: l’artista crea sempre un doppio delle persone che lo ispirano (genitori, amici, amanti) e queste vi si riconoscono con disagio e spesso ribellandosi al proprio riflesso che vive sulla pagina scritta. Mi premeva imperniare su questo dramma (generalmente poco trattato) la storia de L’imbroglio nel lenzuolo. La realizzazione del film di Federico costerà le lacrime di due donne, sia di quella che apparirà nuda nel film (Marianna), che di quella inizialmente designata a ricoprire il ruolo della protagonista (Beatrice) e successivamente accantonata senza una spiegazione. Mi chiedo come reagirei se mi riconoscessi nel personaggio di un romanzo scritto da un mio conoscente: mi sentirei molto probabilmente oggetto di una violenza. Sono molto segreto, amo rimanere in ombra, mi sento uno dei numerosi supporting actors di una tumultuosa storia corale, e voglio essere lasciato in pace.
L’imbroglio è anche, come tutti i suoi lavori, un atto d’amore per la sua terra bella e devastata. Da scrittore ha sempre sentito l’esigenza di raccontarla, di testimoniarla, di cantarla. Ha mai descritto vicende ambientate altrove? Quanto sente questo legame con le radici necessario alla sua stessa opera creativa?
Due sono le ragioni che mi spingono a situare l’azione di tutti i miei romanzi (con la parziale eccezione de Il dovere dell’ospitalità che è per metà ambientato a Roma) nell’area geografica che va da Napoli ai Campi Flegrei: la prima risiede semplicemente nell’amore totalizzante che nutro per quelle regioni, cantate in tempi immemorabili da Omero e Virgilio, visitate ai tempi del Grand Tour da grandi intellettuali con Goethe e Madame e Staël, e oggi semidimenticate, quando non vandalizzate da gente imbarbarita, autentici subumani. Ho come la speranza di contribuire con i miei libri (ma ci sono altri scrittori, e penso in particolare a Davide Morganti, che a loro volta cantano questa meravigliosa terra in ogni loro libro) a una riscoperta di questi luoghi, in cui villeggiavano gli antichi imperatori, a una loro rivalutazione. Ultimamente, a Roma, mi è stato chiesto da una signora se luoghi come Capo Miseno o come l’isolotto di Nisida (cantato perfino da Cervantes) esistono realmente o sono frutto della mia immaginazione. Non era certa della loro esistenza. E’ una cosa che mi addolora, questa dimenticanza delle proprie radici, e che mi fa pensare a un micidiale Alzheimer collettivo. La seconda ragione che mi spinge a collocare ogni mia storia su questo sfondo geografico ha invece a che vedere con la mia superbia di artista: ritengo che se i miei romanzi (sia che si svolgano nel Settecento o agli albori del Novecento o in epoca contemporanea) hanno tutti la stessa ambientazione, intesa quasi come un fondale di cartone di quelli che si usavano anticamente in teatro o sul set dei film muti, risalterà con maggior evidenza la varietà praticamente inesauribile di tipologie umane e di intrecci narrativi che sono capace di imbastire. In me si agita una copiosa riserva di visioni, di volti, di corpi, di trame, che sarà terapeutico far affiorare alla luce, una dopo l’altra, in un lungo processo maieutico che durerà quanto la vita.
Lei ha scritto anche per il grande schermo. Poi, tuttavia, ha deciso di dedicarsi completamente alla letteratura. Cosa ricorda dei tempi in cui lavorava per il cinema? Quali ricordi le son rimasti di quei giorni?
Lavorare per il cinema mi ha lasciato un’eredità importante: la preoccupazione di curare la struttura di una storia fin nei minimi dettagli. Nel cinema non si può lasciare niente al caso, e le sceneggiature specificano perfino quanto dovrà durare ogni singola sequenza da filmare poi sul set, e l’aspetto fisico dei personaggi, e il tipo di scenografie e di costumi da utilizzare. Con queste basi è inevitabile che io sia particolarmente attento alla struttura dei miei libri. Ciò detto, la mia attività di sceneggiatore non è stata esattamente trionfale: pochi incontri interessanti, qualche collaborazione curiosa (Così fan tutte di Tinto Brass), molte delusioni. Il cinema italiano non attraversa una fase smagliante e, con poche eccezioni, è sconosciuto all’estero. I registi affermati sono pochissimi, e di questi la gran parte è egocentrica a livelli insospettabili, e chiamano a sceneggiare i propri film gli scrittori meno significativi del panorama letterario italiano. Storielle minimaliste, personaggi senza spessore, fruste macchiette ereditate dai fasti ormai remoti della commedia all’italiana. In questo contesto, passare alla scrittura di romanzi è stata per me la salvezza, è stato come varcare una porta oltre la quale c’era la possibilità di dar sfogo senza impedimenti alla mia creatività e, come per uno strano contrappasso, su sei romanzi da me pubblicati ben due sono diventati film. “La volpe a tre zampe” è stato diretto dall’esordiente Sandro Dionisio e per dirigere L’imbroglio nel lenzuolo è venuto dal lontano Messico il regista Alfonso Arau. Ho interpretato la cosa come un riconoscimento tardivo, come la conferma che almeno sul piano dell’ideazione di soggetti interessanti, potrei ancora dare qualcosa al cinema. E sogno spesso, forse per una specie di rivalsa, l’incontro magico con un regista dotato di talento al quale fornire una collaborazione che lui possa ritenere preziosa. La mia principale attività rimarrebbe però, anche in questo caso, quella di romanziere, che mi appaga completamente.
Partiamo dal titolo, L’imbroglio nel lenzuolo. Il tema dell’inganno, del raggiro ai danni di un ingenuo sognatore - personaggio che ricorre in tutti i suoi romanzi - può essere considerato quello che maggiormente attiene alla sua poetica di scrittura?
Potrei affermare che tutti i miei romanzi nascono sotto l’influsso di Nettuno, pianeta dei sogni, delle illusioni, degli incantesimi, degli inganni, dei ladri, del cinema. La vita stessa è un inganno, esattamente come il cinema, perché vuole convincerci di essere reale quando noi sappiamo fin troppo bene che è a sua volta uno spettacolo sul quale è destinato a calare il sipario. E’ incredibile la furia con cui riusciamo a innamorarci o a guerreggiare, quando in realtà non siamo altro che ombre lanciate alla rincorsa di altre ombre. E siamo maestri nell’ingannare noi stessi, nel credere all’immagine che ci piace avere di noi, nel ritenerci in diritto di soddisfare i nostri appetiti spesso a danno altrui: molti uomini sono animali da rapina, abili predatori, aride macchine da guerra. In questa situazione il sognatore è indifeso. E’ soggetto in misura rilevante a sviste e disinganni (penso all’ipersensibile Tonio Kröger uscito dalla penna di Thomas Mann), perché avverte come una necessità vitale che la realtà coincida con i propri sogni, con le proprie aspirazioni, e spera ardentemente che sia importante per gli altri come per lui l’aspetto magico della vita. Il tema dell’inganno è poi profondamente legato a quello dell’amore: nessuno può ingannarci meglio di quelli che amiamo. Una persona che non riteniamo significativa nella nostra vita non ha chiavi d’accesso per arrivare a spezzarci il cuore: un’impresa così clamorosa può portarla a termine soltanto qualcuno che, rubando la nostra attenzione, ha addormentato la nostra naturale diffidenza.
Quali sono i maestri di Francesco Costa, quegli autori che ha avuto cari nel maturare una sua personale idea di narrativa?
Mi hanno sempre affascinato i libri in cui domina, sia pur in controluce, l’idea di un viaggio, di uno spostamento, di un itinerario che non è ovviamente soltanto geografico. Penso per esempio al Satyricon di Petronio, una favola con aspetti anche foschi che narra le peripezie di tre intraprendenti giovanotti, o a L’asino d’oro di Apuleio, che racconta il percorso iniziatico di Lucio, diventato asino a causa della sua eccessiva curiosità. Penso al rasserenante Viaggio in Italia di Goethe, che amava il nostro Sud come un’opera d’arte in sé, o anche a La signora Dalloway di Virginia Woolf, in cui il semplice passeggiare per le vie di Londra della protagonista, Clarissa, ne scandisce il viaggio interiore con cui evoca gli anni giovanili e gli antichi amori. Nutro poi una passione feticistica per tutto ciò che è “nero” e narra di misteri, di enigmi, di sosia, di tenebre. E in quella dimensione mi ha dato moltissimo la lettura di Henry James (Il giro di vite, innanzitutto), Dickens, Hoffmann, Borges, Kafka, Patricia Highsmith, Raymond Chandler, Cornell Woolrich. Fra i registi cinematografici, parallelamente, stimo immensamente David Lynch, Roman Polanski, Jacques Tourneur, Edgar G. Ulmer, e naturalmente Alfred Hitchcock . Potrei vedere e rivedere per il resto della vita film come Cat People, The Big Sleep, Mulholland Drive, The Ghost Writer.
Questa uscita è una ristampa del suo secondo romanzo. Cosa vuol dire emotivamente veder rinascere un testo lontano nel tempo? E’ mutata in qualcosa la sua percezione dello stesso?
A mio avviso è un testo inattaccabile. Può piacere o meno, naturalmente, ma è solido e ricco di suggestioni. All’epoca in cui l’ho scritto (e non mi pare vero che siano passati tredici anni), pareva in linea con gran parte della produzione letteraria del momento. Oggi che il livello generale si è indubbiamente abbassato, in un mercato librario sempre più drogato e sovraffollato, mi pare che il trascorrere degli anni abbia automaticamente impreziosito l’impaginazione del racconto. Naturalmente non ha ricevuto, essendo una ristampa, neanche una recensione e il Sole 24 ore lo ha citato esclusivamente per definire “maldestra e malriuscita” la sua copertina. E’ fantastico veder rinascere un proprio libro, anche se lo si deve al fatto (puramente accidentale) che ne sia stato tratto un film. Ma questo è un tributo che si paga al trionfo dell’apparenza sulla sostanza. Sono tempi in cui l’immagine è tutto. Evanescente e intercambiabile quanto si vuole, è però davvero il perno intorno a cui gira tutto. Devo perciò essere grato all’attrice Maria Grazia Cucinotta che ha acquistato i diritti cinematografici del romanzo. Se non lo avesse fatto, il libro non sarebbe probabilmente mai stato ristampato. In Italia, sfortunatamente, si legge troppo poco. E non sempre si leggono le cose migliori. Ci sono scrittori rispettabilissimi che sono ignoti ai più, e personaggi televisivi che s’improvvisano scrittori e vendono milioni di libri.
Tutti i suoi libri raccontano storie forti, attuali, interessanti. Si definirebbe più uno scrittore o un narratore? E vede tra i due termini un discrimine importante e necessario?
Sono un narratore nato. Lo ero già da bambino. Avevo una fantasia galoppante. Inventavo storie su storie, modificavo le trame che vedevo al cinema per occultarne quelli che a me parevano i loro punti deboli. Passando alla narrativa, ho acquisito quasi per via medianica un talento che è più attinente a quello dello scrittore, dopo la rilettura notturna (la lettura precedente, diurna, non mi aveva impressionato) di un libro che mi ha letteralmente illuminato, per non dire stregato, e che è La signora Dalloway di Virginia Woolf. E’ stato uno sconvolgimento interiore che ha modificato interamente il mio modo di scrivere, soprattutto per l’adozione di un espediente assai vicino al cosiddetto “flusso di coscienza”, che mi ha permesso di ritrarre dall’interno i miei personaggi e renderli così più vivi, più palpitanti.
In cosa è cambiato, nel corso degli anni, il suo modo di rapportarsi alla scrittura e all’editoria in genere?
Essendo stato pubblicato da ben cinque case editrici di primaria importanza (Baldini & Castoldi, Mondadori, Marsilio, Rizzoli e Salani), posso serenamente affermare che di curiosità per il libro in sé ne ho vista poca. Amore per gli autori che non sono anche personaggi ce n’è ancora meno. Ogni editore sogna comprensibilmente di fare il colpaccio, di sfornare il best-seller che scalerà la classifica dei libri più venduti, ma c’è chi bara. Ci sono alcuni gruppi editoriali che fabbricano in laboratorio il cosiddetto “libro dell’anno” (scritto preferibilmente da un giovane) al quale assicurano dosi massicce di pubblicità e prestigiosi riconoscimenti letterari per venderne un milione di copie in pochi mesi. L’anno seguente ricomincia il gioco, con un altro autore “usa e getta”, ed è strabiliante che il pubblico abbocchi puntualmente all’amo senza mai ribellarsi o, tantomeno, fiutare l’imbroglio (non nel lenzuolo, stavolta). Abbocca e basta, come il nugolo di topi che seguivano il pifferaio di Hamelin. Sono sempre più rari, ormai, i libri che s’impongono con il classico, inattaccabile passaparola. In questa cornice è inevitabile passare alla svelta dai libri scritti per sé a quelli scritti per altri. Su che cosa s’intenda per libri “scritti per altri” si accendono furiosi dibattiti fra chi ha una visione “pura” della letteratura e chi ne caldeggia l’aspetto mercantile. Io guardo ai modelli anglosassoni che ritengono la ricerca di un lettore una condizione ineliminabile per uno scrittore che non voglia fare dell’onanismo. Senza un lettore, non si è scrittori. Senza una platea non si è attori. Il talento artistico è qualcosa che va verificato, che si nutre della comprensione altrui, che si tempra anche attraverso l’insuccesso, che evolve anche grazie alla duttilità dell’artista. Non credo a chi fa il monumento a se stesso e dice di trovare degradante piegarsi alle esigenze del lettore, e poi s’infuria se non vende. I classici sono nitidi, leggibili, icastici... E mai sono opera di narcisisti. Possono nascere dalle ossessioni dell’autore, ma mai dai suoi eventuali pregiudizi. Sono eterni, se qualcosa di eterno esiste.
Viste le ultime difficili stagioni editorali cosa consiglierebbe oggi a un giovane scrittore alle prime armi?
Di leggere, innanzitutto, e di leggere tanto. Di delineare il proprio albero genealogico nella storia della letteratura, e su ogni ramo porre gli scrittori con i quali si sente un’affinità particolare da cui imparare qualcosa. Di cercare, insomma, i loro antenati, quelli da cui ereditare un mondo, una tematica, un uso della lingua, da sviluppare poi in maniera personale. Molti giovani scrittori ignorano l’uso del congiuntivo, ignorano che nella vita si possono provare tanti sentimenti diversi oltre alla rabbia di un ego frustrato. Si vuole tutto e lo si vuole subito. Leggere, crescere, vivere: ecco il segreto! Non si può pensare di poter scrivere un romanzo soltanto perché si va matti per una determinata serie televisiva. E poi, al momento giusto, si scriva con onestà qualcosa che nasca da dentro, che abbia un tocco originale, che renda universale un tratto personale, che sia concepito per sedurre gli altri, per divertirli (nel senso etimologico, e cioè che li costringa a divergere dalla loro realtà quotidiana), che sia insomma un’offerta generosa, e non un delirio autistico.
Il suo romanzo è diventato un film che sta per uscire, con l’interpretazione di Maria Grazia Cucinotta, Anne Parillaud e Geraldine Chaplin, nella regia di Alfonso Arau. Che effetto le ha fatto vedere una sua storia scritta tramutata in una differente forma espressiva?
Il film è naturalmente un’opera autonoma, del tutto a se stante, e deve in qualche modo tradire il romanzo da cui è tratto se vuole davvero restituirne il senso più intimo. Io non posso esprimere giudizi sul film di Alfonso Arau perché mi sembrerebbe inelegante sia che volessi dirne bene e sia che volessi muovergli delle riserve. Dirò soltanto che gli interpreti principali ingaggiano una vera e propria gara di bravura, e che l’attrice francese Anne Parillaud mi sembra davvero una Beatrice uscita dalle pagine del libro. E’ esattamente come me l’ero immaginata, come per magia, e aggiungo che sono infantilmente contento che Geraldine Chaplin, figlia di un gigante del cinema come il leggendario Charlot (e a sua volta interprete di film diretti da maestri come Altman, Resnais, Lean, Saura, Almodovar), interpreti un personaggio concepito da me. Sono piccole soddisfazioni a margine, e la riprova che una tua idea era così feconda da rimbalzare in altre teste e innescare così la serie di processi creativi che hanno portato alla realizzazione di un film.
Lei ha vissuto un’esperienza comune a molti autori: quella di assistere alla trasformazione di un proprio testo in un film. Come ha recepito ciò e soprattutto, crede che dovrebbero esserci dei limiti allo stravolgimento che spesso il cinema effettua delle opere dell’ingegno letterario?
Umilmente ringrazio chi ha intravisto in un mio romanzo uno spunto utile a ricavarne una versione cinematografica. Il sentimento che provo è sempre di riconoscenza, anche dove non dovessi ritenere persuasivo il risultato finale. E dell’impressione che fanno su di me i film tratti dai miei libri, non farò mai parola. Detesto le cadute di stile. E sono abbastanza pigro da trovare il silenzio un modo elegante di affrontare la vita. Oltretutto non ritengo che la mia personale opinione su questo o su altri argomenti sia di stringente interesse per gli altri. Non mi vedo come il centro dell’universo. Lei scrive anche per i bambini, e questa rappresenta in qualche misura una seconda anima della sua vocazione di narratore. Potrebbe dirci qualcosa su tale dimensione della sua scrittura e sulle sue prossime uscite?
E’ appena uscito per il Touring Club un libro per bambini intitolato Tutta colpa di un fulmine che inaugura una serie di cui è già pronto anche il secondo volume. E’ una serie imperniata su cinque bambini che, colpiti da un fulmine durante un temporale a Pozzuoli, acquisiscono un potere speciale. Potranno materializzare l’immagine di bambini vissuti in altre epoche col semplice appoggiare il palmo della mano su un antico muro già sfiorato dai loro antenati coetanei. La scrittura di questi libri è stata un esperimento interessante: li ho praticamente inventati mentre li scrivevo, in un flusso di pensieri e di immagini che si concatenavano l’una all’altra. Era come pilotare un aereo di notte: mi orientavo con piccoli accorgimenti tesi a non farmi perdere il senso di quanto scrivevo. Da una situazione ne facevo scaturire un’altra, senza mai dimenticare da dove avevo iniziato e dove intendevo andare a parare. So che Simone, il figlioletto dello scrittore Davide Morganti, ne ha letto settanta pagine in due giorni. Lo interpreto come un segnale benaugurale. Se si fa colpo sul pubblico infantile, allora vuol dire che si ha della stoffa: i bambini sono giudici severissimi e non si fanno ingannare da un bluff. Ogni volume è ambientato in una diversa città italiana, in cui vivono un’avventura particolare i cinque protagonisti, e l’intento è quello di partecipare ai piccoli lettori le bellezze delle nostre città. Ho iniziato con Pozzuoli, presente in quasi ogni mio libro, e proseguirò con Verona, Lecce, Roma, Napoli, Catania...
Per me sono determinanti. Prima di iniziare un libro, mi chiedo a lungo quale forma avrà. Sarà prevalentemente drammatico? Avrà una tonalità umoristica? Avrà un solo io narrante oppure, al contrario, mi costringerà a usare più di un travestimento? Che cos’è infatti l’io narrante se non un travestimento dello scrittore? Posso pensare per anni a questo problema e, finché non riesco a darmi una risposta soddisfacente, non comincio a scrivere. L’imbroglio nel lenzuolo è stato meditato per sette anni. Mi domandavo quale forma dargli: non avevo paura della lingua perché sono consapevole di avere una lingua avvolgente, una lingua che può sedurre, e di essere sempre attento al ritmo (non a caso, in fase di scrittura, leggo più volte a voce alta ogni mia pagina). Dapprima, nei miei primi romanzi, la mia lingua era torrenziale, ma si è fatta negli ultimi anni più beffarda e controllata, pur rimanendo sempre visionaria. Il vero problema era trovare una forma in cui fossero espressi, e saldati l’uno all’altro, moltissimi temi: quello dell’aspetto demoniaco della creatività artistica, innanzitutto, e poi quello delle disparità sociali nell’Italia all’indomani dell’unità, l’annoso problema della diffidenza che oppone Meridione a Settentrione, il richiamo dei miti antichi, il fascino di una natura lussureggiante, il richiamo ipnotico della passione fisica, la contrapposizione lancinante fra maschile e femminile, e dulcis in fundo una rielaborazione del tema del “doppio” che la fa da padrone in ogni mio romanzo. Avevo ricevuto ottime critiche con il mio romanzo precedente, La volpe a tre zampe, che era il primo, e non volevo fare un passo indietro, non volevo deludere i miei lettori, mi illudevo di essere seguito dai critici che avevano parlato bene di me. Pensavo ingenuamente che attendessero con curiosità la mia seconda prova. Ignoravo che i critici avrebbero gradualmente preso l’abitudine di parlare soltanto dei libri che superano un certo tetto di vendite, e generalmente per dirne male. Ho optato così per un esperimento formale di grande audacia: una storia che partisse da un presente e al presente tornasse dopo un lungo “affondo” nel passato, ma vista da tre personaggi diversi (un uomo e due donne) che si alternano con millimetrica precisione a mandare avanti la storia. Ognuno dei tre riprende il racconto esattamente dal punto in cui lo ha lasciato l’altro, e a chiarire che si tratta di un’unica partitura musicale ogni capitolo inizia con la medesima parola che ha chiuso il capitolo precedente, e per dirla meglio potrei sostenere che ognuno dei tre protagonisti inizia il proprio canto con la parola con cui si è concluso il canto del personaggio che viene prima di lui. Ho scritto per un anno intero con grande fervore, con immenso entusiasmo e grandi energie fisiche (dalla stesura di questo romanzo si è avviato un dolore reumatico alla spalla sinistra che occasionalmente torna a farsi sentire), ma anche con una concezione “matematica” del racconto. Ognuno dei tre protagonisti ha lo stesso numero di pagine e direi quasi di battute, e la mia intenzione era non solo quella di comprimere in una struttura ferrea una materia ribollente, ma anche quella di imprimervi il sigillo della perfezione. Una tale armonia numerologica richiede una lucidità estrema che temperi un estremo abbandono, e l’operazione può lasciare stremati. Ecco perché L’imbroglio nel lenzuolo è un esperimento unico nella mia produzione. Non ho mai più tentato niente di simile. Chiunque mi conosce, sa che non sono esattamente portato per la matematica. Sotto un altro punto di vista, quello della ricezione da parte degli altri, questo romanzo è il mio “figlio fortunato”. Ha vinto premi, è stato tradotto all’estero, è diventato un film. E’ per questo forse che gli ho prestato successivamente, anche nei miei pensieri, scarsa attenzione. Si è difeso da solo. Non aveva bisogno di me. Papà doveva pensare ai figli meno apprezzati. Federico, Marianna e Beatrice… Quale dei tre personaggi è quello in cui si è maggiormente rispecchiato e che in certo qual modo la rappresenta di più?
Direi che Marianna, figura impulsiva e selvatica che mi pare di aver schizzato con un unico tratto di penna, è quella che non mi somiglia affatto. Ha percorsi mentali che non sono i miei, un carattere deciso che non è il mio, un’inclinazione ad agire che non è la mia: io sono un tipo più contemplativo. Nel disegnarne la psicologia, mi divertivo a fabbricare un temperamento plausibile, ed estremamente accattivante, che al mio fosse quasi contrapposto. Spesso la facevo reagire alle sue disgrazie esattamente nel modo opposto a quello che avrei adottato io. A Federico, che invece mi somiglia tanto, ho prestato la mia ambizione (che è sconfinata), l’amarezza di sentirsi incompreso, un rapporto insoddisfacente con la figura materna, la combattività, la fatica di convincere gli altri del proprio talento, la capacità di imprigionarli nel raggio di luce della propria immaginazione. Beatrice è il personaggio del quale vado più orgoglioso perché è il personaggio inessenziale. Se mi fosse bastato delineare una dinamica vittima-carnefice, mi sarebbero stati più che sufficienti Federico e Marianna, il regista e la sua ignara fonte d’ispirazione, ma a me interessava anche posare sulle suggestioni e sulle contraddizioni del nostro Sud uno sguardo alieno, quella di una scrittrice torinese che insegue la bellezza alla maniera di Goethe, calandosi in un Meridione che rischia di accecarla con la sua luce intensa (e temporaneamente cieca Beatrice diventerà dopo aver fumato un’erba allucinogena). Mi piaceva esplorarne gli aspetti più contraddittori: trasgressiva rispetto ai codici in ossequio ai quali è stata educata (non ha marito, ma ha due figlie avute da uomini diversi, e ha dato scandalo in gioventù), si ritrova però a considerare Napoli attraverso la lente del pregiudizio e diffida di Marianna e dei napoletani in genere. Di me ha non solo la professione (per pudore, però, ho specificato che è una scrittrice di modesto talento), ma una certa pensosità, una capacità di perdonare per amore, un sottile disincanto, e anche il coraggio di imbarcarsi in un’avventura dentro un contesto a lei del tutto ignoto (ricordo ancora lo sgomento e l’ebbrezza che avvertivo nel vagare in una Roma stupenda ma non sempre ospitale). Sono fiero di aver riscattato Beatrice dalla sua originaria “inessenzialità”, promuovendola al rango di protagonista, al pari di Marianna e Federico. Partorire queste tre figure mi ha dato al momento un’indescrivibile sensazione di benessere. Nel dipingere la scena finale, con Beatrice e Federico intrappolati su una barca, ero profondamente felice. Avevo avuto la mia visione, per usare le parole di Virginia Woolf nel finale di Al faro. E come gli altri miei romanzi, anche questo finisce sull’acqua: del mare o di un lago, poco importa, ma si concludono puntualmente tutti sull’acqua.
Nella sua scrittura il sognatore, il puro, vince sempre su una realtà che, nonostante la sua brutalità, non riesce a prevalere sulle buone intenzioni e sull'esigenza di sognare. Si tratta di un tratto specifico che appartiene anche al suo carattere e alla sua personalità?
Sono stati i sogni degli uomini, fin dall’invenzione della ruota, a far andare avanti l’evoluzione umana. Sono stati i miei sogni a farmi diventare quello che, nel bene o nel male, sono diventato. C’è sempre un grano di follia in un sognatore, ma è questo a sostanziarne l’eroismo, visto che inevitabilmente deve misurarsi con un contesto indifferente, se non addirittura ostile, però non dimentichiamo che nell’antica Grecia ai matti si riconosceva una contiguità con il divino. Ho una naturale insofferenza per la grettezza, per la piccineria, per il calcolo del “do ut des”. E mi rattrista vivere in un paese in cui si spende così poco per la cultura e si premia quasi esclusivamente chi è vittima del proprio narcisismo. Io attribuisco d’istinto le migliori qualità a una persona di cui mi colpisce l’espressione, e non sono poche le volte in cui sono rimasto deluso, ma non per questo mi piacerebbe essere diverso. Ho avuto vent’anni nei giorni mitici del Sessantotto e, fra tante storture e deviazioni, mi piace ricordare che a quei tempi si sognava di far salire “l’immaginazione al potere”. Ho sempre vissuto con quello che mi ha procurato la mia fantasia. Non conosco modo più seducente di vivere che quello di essere artista, e di fare della propria vita una creazione artistica.
Questo è uno dei pochi suoi libri in costume. Per il resto, la sua scrittura è sempre rivolta al presente e alle sue numerose contraddizioni. Quale delle due dimensioni attrae particolarmente la sua attenzione di scrittore?
Il romanzo in costume richiede ovviamente un meticoloso lavoro di documentazione. La volpe a tre zampe, ambientato nel 1956, e L’imbroglio nel lenzuolo, che si svolge nel 1905, mi sono costati mesi di scrupolose ricerche in biblioteca. Andavo tutti i giorni a leggere con attenzione vecchi giornali e a riempire corposi taccuini di appunti. Era come tornare a scuola, era un modo di ringiovanire, ed ero felice di ritrovarmi fra dozzine di studenti impegnati a stendere le loro tesi di laurea. Io non potrei mai scrivere un romanzo su un personaggio realmente esistito, e per motivi piuttosto oscuri la sola idea mi genera un vago senso di repulsione, pur essendo un accanito lettore di biografie, perché mi parrebbe di avvilire la mia creatività, di contaminare la mia scrittura con un sentore di necrofilia. Questo però non vuol dire che gli sfondi storici dei miei romanzi in costume non siano ricostruiti con maniacale precisione. Studiando con scrupolo i giornali di cento anni fa per disegnare lo sfondo di L’imbroglio nel lenzuolo, mi sembrava di disseppellire un tesoro, di far affiorare dal mare il relitto di un galeone, di contemplare un’iscrizione in una lingua ignota. I personaggi che su quello sfondo si agitano e soffrono devono però essere completamente inventati da me. E’ una condizione ineliminabile perché io mi senta vivo: non posso in alcun modo ripercorrere la vita di un personaggio storico. Mi sentirei un becchino che scoperchia una bara per frugarci dentro. Per me è vitale dar vita a uomini e a donne mai esistiti. E’ indispensabile inventare. Se non invento, appassisco. E così genero fantasmi, uomini e donne, che nelle mie intenzioni devono incantare il lettore, e le cui caratteristiche sono un impasto di lati appartenenti a me e di aspetti che vedo in altre persone. E’ un lavoro che ha a che vedere con l’illusionismo, con i giochi di prestigio, con il furto, e in definitiva con il cinema. Il cinema fa infatti ritenere vere e tangibili semplici sagome immateriali che fluttuano su uno schermo bianco. Anche la scrittura, in fondo, è un imbroglio: ti strappa alle tue abituali occupazioni per calarti in pochi minuti dentro un universo che non esiste al di fuori della nostra fantasia.
L’imbroglio nel lenzuolo è un libro complesso, dal quale lei ha tratto pure la sceneggiatura di un film. Come nasce? Possiamo considerarlo un tributo all’arte del cinema e alla sua passione per tale arte?
Benché il mio contributo alla sceneggiatura del film di Alfonso Arau sia stato indiscutibilmente determinante, e non sempre apprezzato come sarebbe stato giusto, sono citato nei titoli di testa semplicemente come “supervisore alla sceneggiatura” per una serie di incidenti che qui non è il caso di rivangare. L’idea fondamentale del romanzo nasce dalla mia passione per il cinema che mi ha salvato letteralmente la vita, perché ha colmato la mia sete di bellezza e di mistero, e di avventura e di fascino, in un’infanzia piena di domande senza risposta e di una continuamente disattesa ricerca d’amore. Nel romanzo precedente, La volpe a tre zampe, avevo esplorato l’aspetto salvifico della creazione artistica, raccontando di come il cinema rincuorava un bambino costretto a vivere in un contesto desolato e brutale, al punto da fargli credere che la moglie infedele di un ufficiale della NATO, da lui conosciuta per caso, fosse addirittura la sua attrice preferita, la rossa Susan Hayward, piovuta direttamente da Hollywood per salvarlo dalla miseria. Ancora il tema del doppio, dunque. Mi premeva, però, raccontare anche l’aspetto crudele della creatività artistica, quello che autorizza l’artista a vedere negli altri soltanto delle fonti d’ispirazione, senza curarsi della loro interiorità, e così ho raccontato gli albori della civiltà dell’immagine in cui il corpo e il volto diventano feticci che scatenano passioni morbose e impulsi fondamentalmente distruttivi: riprendendo furtivamente la nudità di Marianna che si bagna nel lago d’Averno, Federico non pensa minimamente al danno che può arrecarle (i paesani dei Campi Flegrei la metteranno al bando, ritenendola una donna di malaffare che espone il suo corpo alla libidine di migliaia di maschi), ma solo all’effetto estetico che ne può ricavare per realizzare al meglio il suo film. L’idea era quella di raccontare il ruolo strumentale che l’artista fa ricoprire ai suoi simili nel proprio processo creativo: quanti individui si sono offesi perché si sono riconosciuti nel personaggio, ritenuto non del tutto simpatico, di un romanzo o di un film! Mi viene in mente l’accorata lettera di protesta scritta a Goethe da un giovane che si era riconosciuto con sofferenza nel personaggio di Albert in I dolori del giovane Werther, e la furia con cui la scrittrice Katherine Mansfield ruppe l’amicizia con il collega David H. Lawrence perché si era rispecchiata nel personaggio (a lei odioso) di Gudrun in Women in Love. C’è qualcosa di osceno nel processo creativo, non lo si può negare, e sicuramente c’è qualcosa di vampiresco: l’artista crea sempre un doppio delle persone che lo ispirano (genitori, amici, amanti) e queste vi si riconoscono con disagio e spesso ribellandosi al proprio riflesso che vive sulla pagina scritta. Mi premeva imperniare su questo dramma (generalmente poco trattato) la storia de L’imbroglio nel lenzuolo. La realizzazione del film di Federico costerà le lacrime di due donne, sia di quella che apparirà nuda nel film (Marianna), che di quella inizialmente designata a ricoprire il ruolo della protagonista (Beatrice) e successivamente accantonata senza una spiegazione. Mi chiedo come reagirei se mi riconoscessi nel personaggio di un romanzo scritto da un mio conoscente: mi sentirei molto probabilmente oggetto di una violenza. Sono molto segreto, amo rimanere in ombra, mi sento uno dei numerosi supporting actors di una tumultuosa storia corale, e voglio essere lasciato in pace.
L’imbroglio è anche, come tutti i suoi lavori, un atto d’amore per la sua terra bella e devastata. Da scrittore ha sempre sentito l’esigenza di raccontarla, di testimoniarla, di cantarla. Ha mai descritto vicende ambientate altrove? Quanto sente questo legame con le radici necessario alla sua stessa opera creativa?
Due sono le ragioni che mi spingono a situare l’azione di tutti i miei romanzi (con la parziale eccezione de Il dovere dell’ospitalità che è per metà ambientato a Roma) nell’area geografica che va da Napoli ai Campi Flegrei: la prima risiede semplicemente nell’amore totalizzante che nutro per quelle regioni, cantate in tempi immemorabili da Omero e Virgilio, visitate ai tempi del Grand Tour da grandi intellettuali con Goethe e Madame e Staël, e oggi semidimenticate, quando non vandalizzate da gente imbarbarita, autentici subumani. Ho come la speranza di contribuire con i miei libri (ma ci sono altri scrittori, e penso in particolare a Davide Morganti, che a loro volta cantano questa meravigliosa terra in ogni loro libro) a una riscoperta di questi luoghi, in cui villeggiavano gli antichi imperatori, a una loro rivalutazione. Ultimamente, a Roma, mi è stato chiesto da una signora se luoghi come Capo Miseno o come l’isolotto di Nisida (cantato perfino da Cervantes) esistono realmente o sono frutto della mia immaginazione. Non era certa della loro esistenza. E’ una cosa che mi addolora, questa dimenticanza delle proprie radici, e che mi fa pensare a un micidiale Alzheimer collettivo. La seconda ragione che mi spinge a collocare ogni mia storia su questo sfondo geografico ha invece a che vedere con la mia superbia di artista: ritengo che se i miei romanzi (sia che si svolgano nel Settecento o agli albori del Novecento o in epoca contemporanea) hanno tutti la stessa ambientazione, intesa quasi come un fondale di cartone di quelli che si usavano anticamente in teatro o sul set dei film muti, risalterà con maggior evidenza la varietà praticamente inesauribile di tipologie umane e di intrecci narrativi che sono capace di imbastire. In me si agita una copiosa riserva di visioni, di volti, di corpi, di trame, che sarà terapeutico far affiorare alla luce, una dopo l’altra, in un lungo processo maieutico che durerà quanto la vita.
Lei ha scritto anche per il grande schermo. Poi, tuttavia, ha deciso di dedicarsi completamente alla letteratura. Cosa ricorda dei tempi in cui lavorava per il cinema? Quali ricordi le son rimasti di quei giorni?
Lavorare per il cinema mi ha lasciato un’eredità importante: la preoccupazione di curare la struttura di una storia fin nei minimi dettagli. Nel cinema non si può lasciare niente al caso, e le sceneggiature specificano perfino quanto dovrà durare ogni singola sequenza da filmare poi sul set, e l’aspetto fisico dei personaggi, e il tipo di scenografie e di costumi da utilizzare. Con queste basi è inevitabile che io sia particolarmente attento alla struttura dei miei libri. Ciò detto, la mia attività di sceneggiatore non è stata esattamente trionfale: pochi incontri interessanti, qualche collaborazione curiosa (Così fan tutte di Tinto Brass), molte delusioni. Il cinema italiano non attraversa una fase smagliante e, con poche eccezioni, è sconosciuto all’estero. I registi affermati sono pochissimi, e di questi la gran parte è egocentrica a livelli insospettabili, e chiamano a sceneggiare i propri film gli scrittori meno significativi del panorama letterario italiano. Storielle minimaliste, personaggi senza spessore, fruste macchiette ereditate dai fasti ormai remoti della commedia all’italiana. In questo contesto, passare alla scrittura di romanzi è stata per me la salvezza, è stato come varcare una porta oltre la quale c’era la possibilità di dar sfogo senza impedimenti alla mia creatività e, come per uno strano contrappasso, su sei romanzi da me pubblicati ben due sono diventati film. “La volpe a tre zampe” è stato diretto dall’esordiente Sandro Dionisio e per dirigere L’imbroglio nel lenzuolo è venuto dal lontano Messico il regista Alfonso Arau. Ho interpretato la cosa come un riconoscimento tardivo, come la conferma che almeno sul piano dell’ideazione di soggetti interessanti, potrei ancora dare qualcosa al cinema. E sogno spesso, forse per una specie di rivalsa, l’incontro magico con un regista dotato di talento al quale fornire una collaborazione che lui possa ritenere preziosa. La mia principale attività rimarrebbe però, anche in questo caso, quella di romanziere, che mi appaga completamente.
Partiamo dal titolo, L’imbroglio nel lenzuolo. Il tema dell’inganno, del raggiro ai danni di un ingenuo sognatore - personaggio che ricorre in tutti i suoi romanzi - può essere considerato quello che maggiormente attiene alla sua poetica di scrittura?
Potrei affermare che tutti i miei romanzi nascono sotto l’influsso di Nettuno, pianeta dei sogni, delle illusioni, degli incantesimi, degli inganni, dei ladri, del cinema. La vita stessa è un inganno, esattamente come il cinema, perché vuole convincerci di essere reale quando noi sappiamo fin troppo bene che è a sua volta uno spettacolo sul quale è destinato a calare il sipario. E’ incredibile la furia con cui riusciamo a innamorarci o a guerreggiare, quando in realtà non siamo altro che ombre lanciate alla rincorsa di altre ombre. E siamo maestri nell’ingannare noi stessi, nel credere all’immagine che ci piace avere di noi, nel ritenerci in diritto di soddisfare i nostri appetiti spesso a danno altrui: molti uomini sono animali da rapina, abili predatori, aride macchine da guerra. In questa situazione il sognatore è indifeso. E’ soggetto in misura rilevante a sviste e disinganni (penso all’ipersensibile Tonio Kröger uscito dalla penna di Thomas Mann), perché avverte come una necessità vitale che la realtà coincida con i propri sogni, con le proprie aspirazioni, e spera ardentemente che sia importante per gli altri come per lui l’aspetto magico della vita. Il tema dell’inganno è poi profondamente legato a quello dell’amore: nessuno può ingannarci meglio di quelli che amiamo. Una persona che non riteniamo significativa nella nostra vita non ha chiavi d’accesso per arrivare a spezzarci il cuore: un’impresa così clamorosa può portarla a termine soltanto qualcuno che, rubando la nostra attenzione, ha addormentato la nostra naturale diffidenza.
Quali sono i maestri di Francesco Costa, quegli autori che ha avuto cari nel maturare una sua personale idea di narrativa?
Mi hanno sempre affascinato i libri in cui domina, sia pur in controluce, l’idea di un viaggio, di uno spostamento, di un itinerario che non è ovviamente soltanto geografico. Penso per esempio al Satyricon di Petronio, una favola con aspetti anche foschi che narra le peripezie di tre intraprendenti giovanotti, o a L’asino d’oro di Apuleio, che racconta il percorso iniziatico di Lucio, diventato asino a causa della sua eccessiva curiosità. Penso al rasserenante Viaggio in Italia di Goethe, che amava il nostro Sud come un’opera d’arte in sé, o anche a La signora Dalloway di Virginia Woolf, in cui il semplice passeggiare per le vie di Londra della protagonista, Clarissa, ne scandisce il viaggio interiore con cui evoca gli anni giovanili e gli antichi amori. Nutro poi una passione feticistica per tutto ciò che è “nero” e narra di misteri, di enigmi, di sosia, di tenebre. E in quella dimensione mi ha dato moltissimo la lettura di Henry James (Il giro di vite, innanzitutto), Dickens, Hoffmann, Borges, Kafka, Patricia Highsmith, Raymond Chandler, Cornell Woolrich. Fra i registi cinematografici, parallelamente, stimo immensamente David Lynch, Roman Polanski, Jacques Tourneur, Edgar G. Ulmer, e naturalmente Alfred Hitchcock . Potrei vedere e rivedere per il resto della vita film come Cat People, The Big Sleep, Mulholland Drive, The Ghost Writer.
Questa uscita è una ristampa del suo secondo romanzo. Cosa vuol dire emotivamente veder rinascere un testo lontano nel tempo? E’ mutata in qualcosa la sua percezione dello stesso?
A mio avviso è un testo inattaccabile. Può piacere o meno, naturalmente, ma è solido e ricco di suggestioni. All’epoca in cui l’ho scritto (e non mi pare vero che siano passati tredici anni), pareva in linea con gran parte della produzione letteraria del momento. Oggi che il livello generale si è indubbiamente abbassato, in un mercato librario sempre più drogato e sovraffollato, mi pare che il trascorrere degli anni abbia automaticamente impreziosito l’impaginazione del racconto. Naturalmente non ha ricevuto, essendo una ristampa, neanche una recensione e il Sole 24 ore lo ha citato esclusivamente per definire “maldestra e malriuscita” la sua copertina. E’ fantastico veder rinascere un proprio libro, anche se lo si deve al fatto (puramente accidentale) che ne sia stato tratto un film. Ma questo è un tributo che si paga al trionfo dell’apparenza sulla sostanza. Sono tempi in cui l’immagine è tutto. Evanescente e intercambiabile quanto si vuole, è però davvero il perno intorno a cui gira tutto. Devo perciò essere grato all’attrice Maria Grazia Cucinotta che ha acquistato i diritti cinematografici del romanzo. Se non lo avesse fatto, il libro non sarebbe probabilmente mai stato ristampato. In Italia, sfortunatamente, si legge troppo poco. E non sempre si leggono le cose migliori. Ci sono scrittori rispettabilissimi che sono ignoti ai più, e personaggi televisivi che s’improvvisano scrittori e vendono milioni di libri.
Tutti i suoi libri raccontano storie forti, attuali, interessanti. Si definirebbe più uno scrittore o un narratore? E vede tra i due termini un discrimine importante e necessario?
Sono un narratore nato. Lo ero già da bambino. Avevo una fantasia galoppante. Inventavo storie su storie, modificavo le trame che vedevo al cinema per occultarne quelli che a me parevano i loro punti deboli. Passando alla narrativa, ho acquisito quasi per via medianica un talento che è più attinente a quello dello scrittore, dopo la rilettura notturna (la lettura precedente, diurna, non mi aveva impressionato) di un libro che mi ha letteralmente illuminato, per non dire stregato, e che è La signora Dalloway di Virginia Woolf. E’ stato uno sconvolgimento interiore che ha modificato interamente il mio modo di scrivere, soprattutto per l’adozione di un espediente assai vicino al cosiddetto “flusso di coscienza”, che mi ha permesso di ritrarre dall’interno i miei personaggi e renderli così più vivi, più palpitanti.
In cosa è cambiato, nel corso degli anni, il suo modo di rapportarsi alla scrittura e all’editoria in genere?
Essendo stato pubblicato da ben cinque case editrici di primaria importanza (Baldini & Castoldi, Mondadori, Marsilio, Rizzoli e Salani), posso serenamente affermare che di curiosità per il libro in sé ne ho vista poca. Amore per gli autori che non sono anche personaggi ce n’è ancora meno. Ogni editore sogna comprensibilmente di fare il colpaccio, di sfornare il best-seller che scalerà la classifica dei libri più venduti, ma c’è chi bara. Ci sono alcuni gruppi editoriali che fabbricano in laboratorio il cosiddetto “libro dell’anno” (scritto preferibilmente da un giovane) al quale assicurano dosi massicce di pubblicità e prestigiosi riconoscimenti letterari per venderne un milione di copie in pochi mesi. L’anno seguente ricomincia il gioco, con un altro autore “usa e getta”, ed è strabiliante che il pubblico abbocchi puntualmente all’amo senza mai ribellarsi o, tantomeno, fiutare l’imbroglio (non nel lenzuolo, stavolta). Abbocca e basta, come il nugolo di topi che seguivano il pifferaio di Hamelin. Sono sempre più rari, ormai, i libri che s’impongono con il classico, inattaccabile passaparola. In questa cornice è inevitabile passare alla svelta dai libri scritti per sé a quelli scritti per altri. Su che cosa s’intenda per libri “scritti per altri” si accendono furiosi dibattiti fra chi ha una visione “pura” della letteratura e chi ne caldeggia l’aspetto mercantile. Io guardo ai modelli anglosassoni che ritengono la ricerca di un lettore una condizione ineliminabile per uno scrittore che non voglia fare dell’onanismo. Senza un lettore, non si è scrittori. Senza una platea non si è attori. Il talento artistico è qualcosa che va verificato, che si nutre della comprensione altrui, che si tempra anche attraverso l’insuccesso, che evolve anche grazie alla duttilità dell’artista. Non credo a chi fa il monumento a se stesso e dice di trovare degradante piegarsi alle esigenze del lettore, e poi s’infuria se non vende. I classici sono nitidi, leggibili, icastici... E mai sono opera di narcisisti. Possono nascere dalle ossessioni dell’autore, ma mai dai suoi eventuali pregiudizi. Sono eterni, se qualcosa di eterno esiste.
Viste le ultime difficili stagioni editorali cosa consiglierebbe oggi a un giovane scrittore alle prime armi?
Di leggere, innanzitutto, e di leggere tanto. Di delineare il proprio albero genealogico nella storia della letteratura, e su ogni ramo porre gli scrittori con i quali si sente un’affinità particolare da cui imparare qualcosa. Di cercare, insomma, i loro antenati, quelli da cui ereditare un mondo, una tematica, un uso della lingua, da sviluppare poi in maniera personale. Molti giovani scrittori ignorano l’uso del congiuntivo, ignorano che nella vita si possono provare tanti sentimenti diversi oltre alla rabbia di un ego frustrato. Si vuole tutto e lo si vuole subito. Leggere, crescere, vivere: ecco il segreto! Non si può pensare di poter scrivere un romanzo soltanto perché si va matti per una determinata serie televisiva. E poi, al momento giusto, si scriva con onestà qualcosa che nasca da dentro, che abbia un tocco originale, che renda universale un tratto personale, che sia concepito per sedurre gli altri, per divertirli (nel senso etimologico, e cioè che li costringa a divergere dalla loro realtà quotidiana), che sia insomma un’offerta generosa, e non un delirio autistico.
Il suo romanzo è diventato un film che sta per uscire, con l’interpretazione di Maria Grazia Cucinotta, Anne Parillaud e Geraldine Chaplin, nella regia di Alfonso Arau. Che effetto le ha fatto vedere una sua storia scritta tramutata in una differente forma espressiva?
Il film è naturalmente un’opera autonoma, del tutto a se stante, e deve in qualche modo tradire il romanzo da cui è tratto se vuole davvero restituirne il senso più intimo. Io non posso esprimere giudizi sul film di Alfonso Arau perché mi sembrerebbe inelegante sia che volessi dirne bene e sia che volessi muovergli delle riserve. Dirò soltanto che gli interpreti principali ingaggiano una vera e propria gara di bravura, e che l’attrice francese Anne Parillaud mi sembra davvero una Beatrice uscita dalle pagine del libro. E’ esattamente come me l’ero immaginata, come per magia, e aggiungo che sono infantilmente contento che Geraldine Chaplin, figlia di un gigante del cinema come il leggendario Charlot (e a sua volta interprete di film diretti da maestri come Altman, Resnais, Lean, Saura, Almodovar), interpreti un personaggio concepito da me. Sono piccole soddisfazioni a margine, e la riprova che una tua idea era così feconda da rimbalzare in altre teste e innescare così la serie di processi creativi che hanno portato alla realizzazione di un film.
Lei ha vissuto un’esperienza comune a molti autori: quella di assistere alla trasformazione di un proprio testo in un film. Come ha recepito ciò e soprattutto, crede che dovrebbero esserci dei limiti allo stravolgimento che spesso il cinema effettua delle opere dell’ingegno letterario?
Umilmente ringrazio chi ha intravisto in un mio romanzo uno spunto utile a ricavarne una versione cinematografica. Il sentimento che provo è sempre di riconoscenza, anche dove non dovessi ritenere persuasivo il risultato finale. E dell’impressione che fanno su di me i film tratti dai miei libri, non farò mai parola. Detesto le cadute di stile. E sono abbastanza pigro da trovare il silenzio un modo elegante di affrontare la vita. Oltretutto non ritengo che la mia personale opinione su questo o su altri argomenti sia di stringente interesse per gli altri. Non mi vedo come il centro dell’universo. Lei scrive anche per i bambini, e questa rappresenta in qualche misura una seconda anima della sua vocazione di narratore. Potrebbe dirci qualcosa su tale dimensione della sua scrittura e sulle sue prossime uscite?
E’ appena uscito per il Touring Club un libro per bambini intitolato Tutta colpa di un fulmine che inaugura una serie di cui è già pronto anche il secondo volume. E’ una serie imperniata su cinque bambini che, colpiti da un fulmine durante un temporale a Pozzuoli, acquisiscono un potere speciale. Potranno materializzare l’immagine di bambini vissuti in altre epoche col semplice appoggiare il palmo della mano su un antico muro già sfiorato dai loro antenati coetanei. La scrittura di questi libri è stata un esperimento interessante: li ho praticamente inventati mentre li scrivevo, in un flusso di pensieri e di immagini che si concatenavano l’una all’altra. Era come pilotare un aereo di notte: mi orientavo con piccoli accorgimenti tesi a non farmi perdere il senso di quanto scrivevo. Da una situazione ne facevo scaturire un’altra, senza mai dimenticare da dove avevo iniziato e dove intendevo andare a parare. So che Simone, il figlioletto dello scrittore Davide Morganti, ne ha letto settanta pagine in due giorni. Lo interpreto come un segnale benaugurale. Se si fa colpo sul pubblico infantile, allora vuol dire che si ha della stoffa: i bambini sono giudici severissimi e non si fanno ingannare da un bluff. Ogni volume è ambientato in una diversa città italiana, in cui vivono un’avventura particolare i cinque protagonisti, e l’intento è quello di partecipare ai piccoli lettori le bellezze delle nostre città. Ho iniziato con Pozzuoli, presente in quasi ogni mio libro, e proseguirò con Verona, Lecce, Roma, Napoli, Catania...
Qualche anticipazione sul nuovo romanzo in lavorazione?
Progetto una serie di mysteries ambientati sotto il regime fascista negli immancabili Campi Flegrei e a Napoli, e vedranno la categoria del “romanzesco” irrompere nella mia scrittura, nel senso che sto per ordire un fitto intreccio di colpi di scena talmente ai limiti del verosimile da risultare attigui al fantasy. Ecco le caratteristiche di questa serie: sfondo storico minuziosamente ricostruito, l’ossessione del “doppio”, il trionfo del concetto del sosia, affascinanti e misteriose figure femminili, atroci delitti, l’immagine di una nazione che veleggia allegramente verso la catastrofe, misoginia e omofobia, agguati e scambi di persona, gusto per l’occultismo e il presagio delle guerre coloniali. Ho già scritto il primo volume, intitolato Un pesce e tre sirene, e sono immerso nel secondo volume, Il diavolo balla il tango. Ne prevedo molti altri. Il protagonista è un uomo con tanti lati oscuri. Sosia perfetto di Rodolfo Valentino, mitico divo del cinema muto, è figlio di un suicida e di un’attrice. Può sprigionare un notevole potere di seduzione, ma non ha la testa del tutto a posto e prova anche piacere nell’uccidere. Questo è quanto. Grazie dell’attenzione.
Progetto una serie di mysteries ambientati sotto il regime fascista negli immancabili Campi Flegrei e a Napoli, e vedranno la categoria del “romanzesco” irrompere nella mia scrittura, nel senso che sto per ordire un fitto intreccio di colpi di scena talmente ai limiti del verosimile da risultare attigui al fantasy. Ecco le caratteristiche di questa serie: sfondo storico minuziosamente ricostruito, l’ossessione del “doppio”, il trionfo del concetto del sosia, affascinanti e misteriose figure femminili, atroci delitti, l’immagine di una nazione che veleggia allegramente verso la catastrofe, misoginia e omofobia, agguati e scambi di persona, gusto per l’occultismo e il presagio delle guerre coloniali. Ho già scritto il primo volume, intitolato Un pesce e tre sirene, e sono immerso nel secondo volume, Il diavolo balla il tango. Ne prevedo molti altri. Il protagonista è un uomo con tanti lati oscuri. Sosia perfetto di Rodolfo Valentino, mitico divo del cinema muto, è figlio di un suicida e di un’attrice. Può sprigionare un notevole potere di seduzione, ma non ha la testa del tutto a posto e prova anche piacere nell’uccidere. Questo è quanto. Grazie dell’attenzione.
Luigi La Rosa
alcune immagini adoperate in questa pagina
sono di proprietà dei seguenti siti:
foto dell'isola di Nisida: http://campaniailoveyou.com/images/immagini/mare/nisida.jpg
immagine della Pellicola: http://iltaccoditalia.info/public/pellicola.jpg
Nelle foto Francesco Costa è con Alfonso Arau,
Vittorio Storaro e Maria Grazia Cucinotta
133 commenti:
caro Luigi, sono incantato dalla sapienza con cui hai impaginato lo spazio che mi hai generosamente dedicato. grazie di cuore, anche per le immagini: visto che meraviglia il lago d'Averno e il promontorio di Capo Miseno? ho riletto le mie risposte e vi ho trovato un filo di arroganza, ma nel complesso sottoscriverei tutto quello che ho affermato. e tante altre cose avrei potuto aggiungere, sia sulla scrittura in sè che sui rapporti con l'editoria, se non mi avesse colto la stanchezza di aver imbastito ben diciassette risposte. si accomodi quindi chi volesse saperne di più, sia riguardo a "l'imbroglio nel lenzuolo" (che presenterò, domani 14 aprile alle 21 nella libreria trasteverina di Minimum Fax, e poi alle 18 del 30 aprile alla Fnac di Napoli) sia per quel che concerne la professione di scrittore: un percorso costellato di trabocchetti che va affrontato senza indulgere in piagnistei e con la consapevolezza che sono le difficoltà a farci crescere. grazie in anticipo ai miei eventuali interlocutori, francesco costa
Caro Francesco, intanto grazie a te, delle risposte e del tempo che hai dedicato al mio blog. Il faro è felice di gettare la sua luce mensile su di te, sulla tua scrittura, sui tuoi libri. Sì, i luoghi che tu citi sono realmente magici, e magiche sono le loro atmosfere. Forse è per questo che il tuo romanzo è MAGICO pure lui, in qualche misura, e ti sta portando tanta fortuna. Come dici tu stesso nell'intervista: Si difende da solo. E' un libro di grandissima suggestione, pieno di mistero, che ho amato. Quello che racconti in merito all'editoria è purtroppo attuale, ed è giusto che ciascuno prenda coscienza delle difficoltà, affinché questo lo aiuti a sentirsi meno solo nelle proprie battaglie. Sono certo che saranno in tanti a scriverti: "Verso il faro" ti dà il suo e il mio benvenuto. Un abbraccio, a presto...
Carissimo Luigi,
ho appena letto l'intervista su "L'imbroglio nel lenzuolo" di Francesco Costa. L'hai condotta con professionalità e competenza, qualità che ti distinguono e ti fanno apprezzare da noi tutti.
Sono contenta di rincontrare Francesco ( ci siamo visti da poco a Roma)e spero di poter dialogare con lui.
Ti abbraccio, anche a nome di Orazio.
Maria Rita Pennisi
Caro Francesco,
che bello incontrarti sul blog!
Risale a sabato di Pasqua il nostro incontro in quel grazioso bar di Trastevere. C'era un po' di vento, ma era già primavera. Che bella chiacchierata e quante risate ci siamo fatte tu, Orazio ed io! E come è stato bello darci appuntamento per il 2 maggio ad Augusta, per la presentazione del tuo romanzo. Sai, io sto leggendo "L'imbroglio nel lenzuolo" e avendo la fortuna di conoscerti, me lo sto godendo, perché ho proprio la tua voce nell'orecchio, mentre lo leggo. Ci sono espressioni di una tale ironia o di una tale comicità o drammaticità, in cui ti riconosco. Che dirti? E' un romanzo che mi spiace interrompere, perché devo fare altre cose, ma mi consola l'idea, che tanto lo rileggerò almeno un'altra volta. Faccio sempre così con un romanzo che mi piace davvero. Questo scenario mitico in cui sono calate le storie dei nostri tre protagonisti, dà all'opera un tocco di fiabesco, che la rende ancor più affascinante.
Un abbraccio.
Maria Rita Pennisi
Maria Rita carissima, che gioia leggerti. Tu e Orazio siete sempre particolarmente attenti, paricolarmente cari, e stiamo davvero costruendo qualcosa di bello, che porta già i suoi primi frutti. In merito all'intervista, è bella solo grazie alla pazienza e alla professionalità con le quali Francesco Costa ha risposto diligentemente e gentilmente a tutte le solite 17 domande che sempre pongo agli scrittori intervistati. E' un numero magico, al quale sono affezionato. Un numero fatidico. Tutti gli scrittori rispondono a 17 domande, consentendomi così un vero e proprio approfondimento negli ambiti della vita e della loro personale poetica letteraria, e facendo di ogni servizio un vero e proprio piccolo saggio. Troppo spesso mi succede di leggere intervistine striminzite che dicono poco, e che ti lasciano con la voglia di sapere ancora, e ancora, e ancora. Qui, volevo che ci fosse proprio questo spazio, quest'abbondanza, questa generosità, e che un autore lo si conoscesse profondamente, in modo quanto più pieno possibile. Era questa la mia ambizione, e sono felice che sia diventata realtà, grazie al vostro affetto e alla vostra presenza. Cara Maria Rita, salutami Orazio e ringrazialo da parte mia. A presto, un abbraccio grande...
Salve, ho visto questo romanzo in libreria, e mi ha colpito molto la copertina. Confesso di non aver mai letto gli altri libri di Francesco Costa, ma considero questa pagina un'occasione per cominciare. Un saluto a tutti e tanti auguri per il blog. Teresa
cara rita, ti sono grato per la generosità con cui approcci questo mio romanzo. aspetto commenti alla fine della lettura e fiumi di domande. in quanto a teresa, la saluto con il rispetto che uno scrittore deve sempre a un suo nuovo lettore. se un libro è un'offerta, una proposta, un invito, il lettore è l'ospite di cui lo scrittore deve prendersi cura. senza voi lettori, e lo affermo anche nell'intervista, noi non saremmo scrittori. siete voi a farci crescere, voi a darci coraggio e voi a fornire un senso alla nostra fatica. spero che tu, cara teresa, rimanga fra i miei lettori anche per il futuro. un abbraccio, francesco costa
Caro Francesco, è molto bella questa premura dello scrittore nel prendersi cura del suo lettore, nell'accoglierlo come un ospite tra le pagine della sua storia. Sono poi particolarmente felice quando questo spazio diventa l'occasione per un lettore nuovo, sconosciuto, di avvicinarsi agli scrittori che seguo e che propongo. E' un pò lo scopo del Faro, l'immagine della sua luce-guida che taglia il buio della notte. Grazie di intervenire con tanta puntualità, spero che i commenti diventino numerosi, a presto, un abbraccio...
Caro Francesco, volevo farti i complimenti, ho letto -l'imbroglio nel lenzuolo- e mi ha tenuto piacevolmente compagnia la sera prima di andare a dormire. E' una storia piena di immagini evocative, come se realmente mi trovassi li sul lago d'Averno o a guardare la casta Susanna spogliarsi nel "lenzuolo". I libri ci fanno scoprire e immaginare dei luoghi a noi sconosciuti e grazie a te, ho visitato quei luoghi magici citati nel tuo romanzo. un caro saluto a te e a Luigi che come sempre ha creato un post perfetto ;-)
Caro Alessio, grazie del tuo commento. E' proprio come dici tu: i libri ci fanno sognare, ci portano lontano, e soprattutto ci fanno vivere esistenze diversissime dalle nostre, che avremmo soltanto potuto immaginare. I luoghi di Francesco e del suo romanzo sono vivi, incisivi, nitidi: ti sembra di vederlo, questo lago spettrale, nel quale l'antichità rintracciava l'ingresso dell'Ade, e ti sembra di sentire il fruscio delle voci, del vento, delle foglie scosse dall'arrivo della primavera. La stessa figura di Marianna che si bagna nuda nelle acque del lago ha qualcosa di botticelliana memoria - è una rivelazione mitica, una specie di Venere rediviva, e poi ha in più il miracolo dell'innocenza, che la rende amabile. So che è un personaggio nel quale Francesco si rispecchia meno, ma io lo trovo tra i suoi più belli e più riusciti. Grazie di avere scritto, e grazie anche dei complimenti per il blog. Un saluto...
Caro Costa, quello che lei scrive è molto bello. Grazie...
Carissimo Francesco,
grazie per questo ennesimo dono. Un libro è sempre un regalo per i lettori, non solo perchè afferra il nostro tempo e lo involge in noi facendoci fare un viaggio, ma perchè resta. Nel ricordo. Nelle stramature della quotidianità. Nell'evocazione.
Nel cuore.
I tuoi libri sono così.Si insinuano nella vita, concorrono a creare la realtà. Ricordo, ad esempio, quando lessi "Presto ti sveglierai". E come quella figura di donna mi si sovrappose pur nella sua diversità.Come una seconda pelle. Da allora me la porto dentro, caro Francesco. Così come sento in me le ossa di Beatrice e Marianna.
Ecco. Credo che uno scrittore contribuisca a popolare la terra, perchè i personaggi duplicano le nostre esistenze e le nostre emozioni, sono corpi sui nostri corpi, e visi sui nostri visi. Siamo noi, carissimo Francesco, e tutti i noi che tu ci hai suggerito anche quando non lo sapevamo.
Grazie a nome di tutti e un grandissimo in bocca al lupo per questa magia.Il due Maggio verremo a festeggiarti ad Augusta!
Simona Lo Iacono
Luigino caro, l'intervista a Francesco e la recensione mi hanno catturata! Bellissime! Non vedo l'ora di riabbracciarvi tutti
Simo
Caro Francesco, aspetto anche in libreria il libro touring per ragazzi di cui ho letto nell'intervista per regalarlo a Nanni! Lui ti ricorda con molto affetto e ti riabbraccerà con piacere! A presto!Simona e Nanni
caro francesco che bello trovarti qui. tra qualche ora lì. avevo promesso, quindi ci sarò. a una certa perderò la scarpetta... e il resto lo sai, va sempre a finire a zucche e principi (quando gira bene). sono molto curiosa di leggere questo tuo nuovo lavoro, sicuramente ironico, leggero, puntuale, profondo, spontaneo, sottile. ok, approfondisco dopo che l'avrò fatto, caro sign. penna d'oro. un grande abbraccio. a dopo
Carissima Simona, sei sempre POETA. La tua scrittura mette i brividi. Quell'aver dentro "le ossa di Marianna e di Beatrice" costituisce un tratto splendido del tuo talento. Grazie delle bellissime cose che hai scritto, Francesco te ne sarà grato. Questa sensibilità. Questa tua attenzione ai libri e al cuore degli altri. Il mio piccolo Faro, come vedi, comincia a vivere, sebbene sia ancora solo alla fase, diciamo, neonatale. Eppure la sua luce inizia a brillare nel caotico mare oscuro del nostro tempo, un pò come la luce che getta sul lenzuolo dell'Imbroglio il creativo Federico. Un pò come le sue figure di latte e di sogno. Carissima Simona, ci aspetta una serie di eventi bellissimi, che apriranno la ricca estate in arrivo, e accoglieremo Francesco come merita, con attesa, affetto, calore umano. Pure il libro per bambini della Touring è bellissimo, io ho avuto modo di vederne la copertina, e l'idea è avvincente e aprirà una serie di sicuro successo. Graze di avere scritto, ci abbracciamo prestissimo. Baci...
Ciao Simona (stavolta mi riferisco alla Simo di Roma), ci vediamo più tardi alla presentaione romana dell'Imbroglio. Ti assicuro che leggendo questo libro ti divertirai e ti emozionerai moltissimo. Colgo qui l'occasione per salutare pure Teresa G. che non conosco ma che ha lasciato un messaggio carino e pieno d'affetto. Buona lettura a tutti, attendo di leggervi numerosi...
Salve, mi chiamo Stefano e scrivo da Pisa. Congratulazioni per la cura grafica del blog a chi lo gestisce. Vorrei chiedere al signor Francesco Costa come sono stati i suoi inizi. Cosa ricorda degli anni in cui cercava di pubblicare i suoi primi romanzi? Questo, mi pare di capire, è un libro uscito diversi anni fa?
caro stefano, degli anni in cui tentavo di pubblicare i miei primi lavori ricordo il carico di speranze che partiva, insieme ai miei dattiloscritti, verso le case editrici. ricordo il cocente dispiacere delle lettere di rifiuto (che fioccavano numerose). ricordo l'ambizione che letteralmente mi divorava (e che ho immesso in dosi d'urto nel personaggio di Federico in "l'imbroglio nel lenzuolo". a un certo punto, come per magia e a compenso delle non poche notti insonni, sono riuscito a pubblicare una raccolta di racconti con una piccola casa editrice. li ha letti qualcuno che li ha trovati buoni e che mi ha chiesto di scrivere un romanzo che fosse dello stesso livello. ho scritto di getto un libro dal titolo "la volpe a tre zampe", un mattone di oltre 500 pagine, e con l'autorevole segnalazione di chi aveva apprezzato i racconti sono riuscito a far leggere il massiccio tomo da baldini & castoldi. dopo soli 15 giorni ho ricevuto una risposta positiva, il romanzo è uscito, ha avuto ottime recensioni, è stato tradotto in tedesco e in greco, è diventato un film. per la stessa casa editrice ho pubblicato l'anno seguente "l'imbroglio nel lenzuolo" che torna adesso nelle librerie, a 13 anni dalla prrima edizione, perchè ne è stato tratto un film con maria grazia cucinotta. ecco com'è andata. questi sono stati gli inizi. e sai una cosa? rileggendo le cose che mi ostinavo a presentare agli editori, le trovo acerbe e maldestre. questo per dire che la fretta è una pessima consigliera: se è una cosa è destinata ad accadere, accadrà. accadrà però al momento giusto. accadrà quando è giusto che accada. non dimentichiamoci che andrea camilleri ha sfondato quando aveva superato la settantina, e questo non gli ha impedito di diventare lo scrittore famoso e apprezzato che tutti conosciamo. sono sempre stato un tipo impaziente. oggi sono molto più "orientale". oltre alla meta, esiste anche il viaggio. faccio in modo che le cose accadano, ma senza più agitarmi troppo, e penso che se gettiamo nella vita un seme, questo dovrà prima o poi germogliare. ho fede nella mobilità dell'esistenza. niente è statico, anche se a volte ci sembra che tutto si paralizzi nell'inazione, perchè la vita è di per sè dinamica. a simona di siracusa invio mille baci e l'augurio che al suo nanni piaccia il mio romanzo per ragazzi "tutta colpa di un fulmine" che esce in un'edizione particolarmente elegante. il touring club sa quel che fa. ci rivedremo ad augusta, e pregusto la gioia del nostro ritrovarci, e grazie per aver accolto dentro di te (dopo l'ingenua laura di "presto ti sveglierai") anche marianna e beatrice di "l'imbroglio nel lenzuolo" che ritengo due fra le mie figure femminili più azzeccate. a simona latini do appuntamento a più tardi (e pazienza se di colpo la vedrò abbandonare la riunione per fuggire incontro al suo principe azzurro). al signor a. (lui sa che lo chiamo così) ripeto che se non esistesse per la gioia di tutti noi che lo amiamo, dovremmo disegnarne un altro uguale a lui. e non ci riuscirebbe neanche modigliani. e adesso tiro il fiato (e lo faccio tirare a voi) in attesa di altre domande. vi abbraccio tutti, francesco costa
Ignoravo chi fosse Francesco Costa ma dopo aver letto la recensione di Luigi al suo libro e le 17 risposte date alle sue domande, sono proprio curiosa di approfondire la sua conoscenza.
Per questo ho segnato tra i libri che aspettano di essere letti anche il suo "imbroglio nel lenzuolo".
Trovo il titolo molto evocativo nel delineare la tematica del "doppio", essenziale per l'autore nell'intreccio di ogni suo romanzo.
Sono molte le risposte di Francesco che mi hanno colpita e in particolare mi piacerebbe capire meglio a cosa si riferisce quando parla dell'aspetto demoniaco della creazione artistica: è il senso di possessione degli stessi personaggi partoriti dalla mente dell'autore o è piuttosto la creazione in sè demoniaca, in quanto suggerisce e si infiltra al pari della realtà?
Ci risentiamo con un mio commento quando avrò letto il libro.
Grazie a Luigi per i fermenti che riesce a suscitare.
Conto di conoscere Francesco alla presentazione di Augusta.
a presto, Consuelo
cara consuelo, ritengo che la creazione artistica abbia un risvolto demoniaco, per così dire, e cioè incontrollabilmente distruttivo in entrambe le accezioni da te fatte presenti: l'autore è in effetti posseduto dalla sua opera che può diventare, e quasi sempre diventa, la sua ossessione. ed è demoniaca anche nell'altra accezione, quella dell'insinuarsi nel reale di cui spesso prevede gli sviluppi (l'espressionismo tedesco, con i suoi Nosferatu e i suoi fondali obliqui, non ha forse preannunciato il nazismo?). In "L'imbroglio nel lenzuolo", però, mi riferisco a un altro aspetto perverso dell'arte, quello del cibarsi della vita reale (e quindi anche della vita reale delle persone che in qualche misura innervano l'ispirazione dell'artista), senza preoccuparsi delle conseguenze. pur non essendo stata oggetto di una creazione artistica, direi che Lady Diana è davvero la vittima esemplare di un mondo che vive sullo sfruttamento dell'immagine senza farsi scrupolo delle tragedie che può innescare. quando e se leggerai "l'imbroglio nel lenzuolo", capirai meglio: narro di un giovane ambizioso che agli albori del Novecento ritrae una ragazza nuda sulle sponde di un lago. lui diventerà famoso, lei ne uscirà distrutta: ecco quel che intendo per aspetto demoniaco della creazione artistica. l'artista nutre spesso la sua opera del dolore e delle passioni altrui. grazie per avermi scritto e arrivederci ad augusta, francesco costa
Francesco e Luigi carissimi,
grazie per avermi fatto trascorrere in vostra compagnia momenti preziosi. Preziosi come la letteratura e, soprattutto, la vita. All'interno dell'intervista, magistralmente condotta da Luigi, sono numerosi gli spunti di riflessione e le sollecitazioni offerte da Francesco. Una, in particolare, ha lasciato dentro di me un segno profondo: "La vita è un inganno....è uno spettacolo sul quale è destinato a calare il sipario". Quanto è vero, purtroppo e per fortuna. Forse, se lo pensassimo più spesso, riusciremmo a vivere con una leggerezza e, al tempo stesso, con una consapevolezza ben diverse. "Abbiamo paura di tutto come mortali, desideriamo tutto come immortali" ci ricorda Seneca e, come ben sottolinea Francesco, forse proprio questo ci dà l'energia di affrontare le piccole-grandi sfide quotidiane. Ancora un ringraziamento per i meravigliosi scorci paesaggistici che non vedo l'ora di ritrovare nel romanzo. Essendo figlia di una napoletana, luoghi come Capo Miseno rappresentano per me nomi e presenze familiari.
Un abbraccio a entrambi
Stefania Di Martino
Luigino mio, è vero ...questo tuo faro splende anche da qui. Lo vedo. Mi abbaglia.
Caro Francesco...Nanni è molto curioso e ti aspetta. Credo che non potrai sottrarti a un corpo a corpo....
Un bacio grande a tutti e due e in bocca al lupo per questa splendida sera.
Vi seguirò col cuore,
Simona e Nanni
Questo è il mio terzo tentativo di inserirmi nella discussione. Chissà perchè i computer ogni tanto fanno le bizze. Misteri telematici che non ci è sato di sondare. Speriamo bene.
Detto questo volevo fare un saluto a Luigi e a Francesco prima di tutto e poi ai numerosi amici dei quali ho letto i commenti (Maria Rita, Simona, Consuelo, Stefania, e scusate se ho dimenticato qualcuno).
Ultimamente sono stata vittima di un pas de deux scambiato. Mi spiego meglio: leggevo "L'imbroglio nel lenzuolo" durante le giornate dedicate a "La sposa gentile" e adesso leggo "La sposa gentile" durante le giornate dedicate a "L'imbroglio nel lenzuolo". Poco male, perchè quest'ultimo libro mi è rimasto dentro come credo farà l'ultima creazione della cara Lia.
Come al sollito devo dei ringraziamenti a Luigi per avermi fatto conoscere persone così interessanti, adesso anche cari amici.
Francesco, abbiamo già avuto modo di parlare del tuo libro che non è l'ultimo, cronologicamente parlando, ma che è tornato prepotentemente alla ribalta. Hai ragione, una volta messo al mondo, ogni libro, così come ogni bambino cerca e trova la sua strada.
E il tuo libro, partendo da lontano sta percorrendo un lungo viaggio che, speriamo, lo porterà ancora più lontano.
E' un libro sanguigno, sensuale e visionario alla maniera - se mi permetti - sudamericana.
Personaggi e situazioni che sembrano attraversarti con agilità ma con i quali invece ti scontri, ti sbarrano la strada, ti costringono a riflettere e a rifletterti in loro, specchi di passioni umane che corrono trasversalmente su epoche e luoghi.
E dimentichi che la vicenda si svolge un secolo fa. Ti identifichi.
Ma la ricostruzione storica è perfetta, e non solo perchè viene usato un linguaggio adatto e non tanto perchè si percepisce il lungo studio fatto, ma perchè ti sembra di essere lì. Ti sembra di esserci attraverso gli stessi modi di pensare e di vivere. Un gemellaggio temporale.
E ti scopri critico rispetto all'unità d'Italia, perplesso verso l'altro da te, entusiasta nei confronti delle novità.
L'uomo che comincia a farsi tecnologico, che comincia a sperimentare una sorta di rudimentale globalizzazione e di ricerca dell'immagine che ti dà l'eterna giovinezza.
Francesco, su una cosa non ci siamo trovati d'accordo. Tu sostieni di poterti identificare in Federico e Beatrice. Il tuo uomo e la tua donna. Il tuo sud e il tuo nord. Io dico che in te ci sono altri punti cardinali. Un est dal quale nasce il sole e un ovest nel quale va a morire. Una Marianna che prende possesso di te, forse tuo malgrado.
Magari è vero che siete distanti, è possibile che il suo modo di reagire sia opposto al tuo. Ma non è forse tra le pieghe dell'opposizione che si cela la nostra vera natura, il nostro IO più profondo?
Sono presuntuosa in questo, ma credo di conoscerti un minimo, almeno per quano si può conoscere una persona come te che per sua natura e pe nostra fortuna ha mille sfaccettature.
Ti aspettiamo, Franceso, aspettiamo la tua presentazione, aspettiamo il tuo film, aspettiamo l'amico.
cara mavie, mi piace vederti riprendere l'argomento che abbiamo sfiorato in sms mentre all'aeroporto di ginevra aspettavo l'aereo per roma, stringendo in pugno un boccale che mi ero fatto regalare da un barman svizzero (chi mi conosce, sa che colleziono bicchieri per la birra, e che a volte li frego pure): tu dici che ho nella mia natura questa forza irresistibile e un po' incontrollata che caratterizza la mia amata Marianna. francamente a me non sembra, ma è anche vero che ci guarda dall'esterno costruisce una visione d'insieme di quel che siamo, che è forse più profonda e più corretta della percezione che noi stessi abbiamo del nostro sentire. io ricordo che, mentre costruivo (oserei dire, mentre scolpivo) questa bella figura, mi dicevo che sarebbe stato bella farla reagire come io non avrei mai osato fare: Marianna è astuta, vitale, pronta di riflessi, capacissima di sormontare alla svelta le sue carenze culturali per cavalcare a proprio vantaggio le difficoltà che l'hanno assalita. io non credo di avere questa prontezza, sono molto più lento a capire le cose, sono più sognante (lei è al contrario molto concreta). e' vero, però, quel che dici: la nostra vera natura si nutre di contraddizioni e può anche darsi che in questo personaggio io abbia travasato una parte di me che non conosco bene, anche se a me pare di averle regalato dei tratti che mi piacerebbe avere, ma che non ho. ricordo, in contrasto, quanto mi risultasse facile dipingere i caratteri di Federico e di Beatrice, lui così proiettato nei suoi progetti artsitici e lei così consapevole di quanto duri poco la giovinezza, e tutti e due affranti dalla mole schiacciante di disillusioni e di malintesi di cui s'intessono le giornate in certe fasi della nostra vita. grazie della tua attenzione, mavie, e arrivederci ad augusta dove proseguiremo il nostro discorso. e soprattutto buona scrittura a te che presto affronterai l'avventura di un nuovo romanzo, francesco costa
Cara Consuelo, grazie del tuo intervento. Sono contento che le mie 17 risposte ti abbiano colpito, e che tu abbia trovato interessante il post dedicato al romanzo di Francesco. Condivido la riflessione sull'aspetto demoniaco della creazione: siamo vampiri, e come tale succhiamo la vita del reale. Ma siamo pure inventori, e restituiamo il tolto sotto forma di bellezza e di opera d'arte. Carissima, non vedo l'ora di incontrarti giorno 2: sarà una festa nel nome della grande Virginia, e avremo gli acquerelli di Alessio e il libro di Francesco. Porta chi vuoi, e torna a scrivere presto a questo mio piccolo ma già tanto luminoso Faro. Un abbraccio
Stefania cara, grazie a te. Grazie per le belle cose che scrivi, e soprattutto per la tua citazione di Seneca. Profonda ed efficace. Hai proprio ragione tu: è molto interessante il tema dell'inganno del vivere: quello che si nasconde pirandellianamente dietro le maschere dell'apparenza e delle nostre contraddizioni. Il romanzo di Francesco Costa è proprio giocato sull'incrocio dei piani e dei punti di vista, e ti piacerà moltissimo. I luoghi sono magici: vi sono, per dirla con Mavie, suggestioni e atmosfere da grande romanzo sudamericano, ma con un senso del mito molto presente e molto greco: il lago d'Averno, ingresso del Regno dei Morti, dove secondo gli antichi si situava il confine tra la vita e l'oblio, e questa figura di Marianna che io trovo la più riuscita del libro, levatasi dalle acque del lago come una sorta di antica, botticelliana Venere. Spero di vedervi giorno 2 alla presentazione del romanzo ad Augusta, grazie del tuo affettuoso contributo, continua a scrivermi presto, un abbraccio di cuore a te e ad Alessandro...
Mavie cara, grazie del tuo lungo, ampio, profondo e articolato intervento. E' quasi una vera e propria recensione. Te ne sono molto grato. La vita di questo spazio sta prendendo forma grazie ai vostri contributi: in un solo giorno dall'uscita del pezzo è già un discuterne, un correre di voci, e devo dire che tutto questo mi riempie di orgoglio e mi fa pensare che c'era proprio bisogno del mio piccolo Faro sognante. Le cose che scrivi su Francesco Costa sono di grande intelligenza e precisione: condivido - e non ci avevo mai pensato - le osservazioni sul suo romanzo, letto quasi alla maniera di un libro sudamericano. E' verissimo: la ricchezza delle immagini, il lussureggiare delle descrizioni, il succedersi rocambolesco degli eventi e dei colpi di scena, è tutto un seguitare di cose che s'intrecciano, s'armonizzano come in un canto, una lunga partitura melodica. Come un romanzo sudamericano, appunto. Condivido anche la tua osservazione su Marianna - pure io mi sono molto rispecchiato in questo personaggio, che trovo più seducente di Beatrice, sebbene più semplice, e forse letterariamnte davvero meno interessante della rivale. E' vero che molto spesso quando scriviamo diciamo delle cose che sono gli altri a leggere: dall'interno non ci accorgiamo di verità che stanno lì, sulla pagina, e che ci rappresentano, in un modo o nell'altro. Carissima Mavie, graze davvero per tutto. Continua a partecipare alla discussione, che nei prossimi giorni si alimenterà parecchio, e che sta davvero gratificando molto lo scrittore. Com'è giusto che sia. Anche la presentazione di ieri sera a Minimum Fax è stata splendida: un pubblico attento, interessato, e un ambiente carino, confortevole, molto caldo. Ci vediamo presto, aspetto di leggerti ancora sul blog. Baci
Caro Costa, grazie della sua lunga risposta. Gli inizi sono duri per tutti, ma la prova della sua perseveranza è il libro di cui oggi parliamo. Lo leggerò senz'altro, e mi rifarò vivo per discuterne ancora insieme agli altri e magari dire la mia. Saluti.
cara stefania, avevo dimenticato che tua madre è napoletana, ma ora ricordo di averla incontrata a palermo e di aver parlato con lei della nostra terra. adesso so che mi unisce a te qualcosa di preciso che non avevo registrato adeguatamente: una comunanza di radici. grazie per la citazione di seneca: non la conoscevo. come non condividerla? e acquista una particolare profondità se pensiamo che è stata formulata da un uomo caduto vittima di una feroce tirannia (nerone gli intimò di togliersi la vita e lui obbedì, per scampare alle torture e a una morte più dolorosa, come petronio e tanti altri). se per te ha un senso specifico l'origine campana, vedrai quanti scorci paesaggistici ti verranno incontro sulle mie pagine per farsi riconoscere da te. non vedo l'ora di rivederti ad augusta, insieme ad alessandro. l'osservazione di mavie sul tono "sudamericano" del mio romanzo mi fa venire in mente che il regista del film "l'imbroglio nel lenzuolo" è in effetti messicano, ed è il vitalissimo alfonso arau: niente nella vita accade per puro caso. assonanze e affinità creano legami e mandano avanti la vita. a stefano di pisa dico che spero di non deluderlo. e che in ogni caso è sempre la perseveranza a dare sostanza alle nostre scelte, e a distinguere quelle a lungo meditate dalle mille infatuazioni che ci assalgono negli anni giovanili. grazie a tutti, francesco costa
Caro Francesco, grazie tante davvero. Ringrazio fin dall'inizio quanti ci scrivono e dimentico di ringraziare te per la pazienza e la piena, totale disponibilità. Che meraviglia scoprire che questo spazio si tramuta in una piazza virtuale, un luogo d'incontro e di confronto tra tutti voi. E' con questo preciso scopo che nasce e che sta vivendo. Sono felice di queste comuni radici con la madre della nostra Stefania - è come ritrovarsi attraverso il tempo, lo spazio, le distanze. Siamo punti di luce in movimento. Punti che a volte si incrociano, tracciando percorsi e simmetrie. Che belli pure gli spunti che ci offri sul tuo romanzo: è esattamente così, Arau è messicano, e ha reso benissimo quelle atmosfere che probabilmente erano già della tua immaginazione e nei tuoi sogni. Adesso attendiamo tutti l'uscita del film, che ricordo ai nostri lettori: il 18 giugno nelle sale cinematografiche. Sarà un'occasione d'oro per riscoprire la tua scrittura e godere insieme di una buona storia. Lancio qui la proposta di una visione romana collettiva. Un abbraccio, a presto...
Bellissima intervista, Luigi. Come al solito Francesco sei un fascinatore. La tua passione per la scrittura merita sempre tanta attenzione.E sempre più riscontri positivi. Bravo!
Complimenti di cuore a tutti e due e un abbraccio da emilia
Cara Emilia, condivido pienamente la tue affermazioni. Francesco è un trascinatore di folle. Grazie dei complimenti, fanno sempre piacere, anche se quello che mi interessava di più era scoprire che le cose pian piano arrivano, che i pensieri passano, e la gente si innamora della bellezza. Il romanzo di Francesco è pieno di bellezza, e soprattutto ha il sapore del mito. Grazie delle tue bellissime parole, un abbraccio grande, a presto...
Quello che dite m'invoglia parecchio, mi sono sempre piaciuti i libri nei quali la percezione del passato e del mito è forte. L'idea del lago d'Averno dove si compie l'oscuro mistero del suo romanzo mi affascina moltissimo. Vive congratulazioni allo scrittore. Mi auguro che il suo libro raccolga tanti consensi.
Cara Teresa, sono d'accordo con lei. Anche io ho sempre amato quei romanzi attraverso i quali s'intravede una qualche dimensione mitica: i libri di Christa Wolf, ad esempio, o certi romanzi della Yourcenar. Testi nei quali senti la storia, il suo respiro imponente. Questo romanzo di Francesco il mito lo racconta negli scenari - il lago d'Averno, le suggestioni di una natura incorrotta e pura, di contro alle macchinazioni perverse di una società ancora immatura e per certi versi subdola, la bellezza come elemento salvifico. Ecco, sono queste le componenti che trascinano il lettore per pagine e pagine. La ringrazio molto di aver scritto, lo faccia spesso. Un caro saluto...
emilia carissima, spero tanto che ci si presentino a breve occasioni d'incontro: ho voglia di fare una bella chiacchierata con te. sono contento che ti piaccia la mia intervista (luigi è un grande e non so che cosa non ti tirerebbe fuori dalle viscere) e spero che non ti siano sfuggite certe taglienti allusioni al folle caravanserraglio in cui ci troviamo a lavorare. l'artista rimane sempre il paria da seppellire in terra sconsacrata, come ai bei tempi andati, e il burocrate rimane rintanato al calduccio, magari dentro gli uffici di una casa editrice o nella redazione di un giornale. e il tuo libro viene talvolta giudicato da un tale che voleva diventare scrittore e si mangia ancora le mani per non esserci riuscito. un giorno vorrei leggere un libro antologico in cui ogni scrittore italiano racconti in tono sobrio e distaccato le carognate che ha dovuto subire dagli addetti ai lavori nel corso della sua carriera: ne verrebbe fuori un best-seller, te lo dico. soprattutto se si facessero i dovuti nomi e cognomi. in quanto a teresa g., mi auguro che arricchisca il parco dei miei lettori, di cui potrebbe diventare uno dei fiori più belli. la vita presa con filosofia: pensate che "l'imbroglio nel lenzuolo", uscito da alcune settimane, non ha ricevuto neanche una recensione (per la legge non scritta, e in ogni caso assurda, che nega recensioni nuove a libri ristampati e quindi non inediti, il mio "tutta colpa di un fulmine" ne ha ricevute ben tre, pur essendo un libro per bambini approdato nelle librerie da meno di una settimana. io la penso come gli indù, grandi fatalisti, e mi dico: "prendi le cose come vengono e tramuta qualsiasi contrattempo in un'occasione per essere felice". Oh Dio, non so se gli indù dicono proprio così, non potrei giurarlo, e allora diciamo che a dirlo sono io, che questa massima è farina del sacco di francesco costa, uno che dei cretini se ne sbatte e che cerca la bellezza come un rabdomante cerca l'acqua. baci filosofici, francesco costa
Caro Francesco e caro Luigi, mi dispiace, non solo ieri non ho potuto essere alla presentazione del libro, ma neppure avevo ricevuto, fino a ora, l'avviso di questa intervista.
Tu, Francesco, sei, credo, un narratore d'istinto, basta sentirti parlare, con le mille variazioni anche di tono e di umore che sai usare, col tuo sorriso che incanta. Ma il tuo parlare, come il tuo scrivere che sembra scorrere come un torrente, è pieno di riferimenti al mondo che ti sei scelto, alla cultura che hai fatto diventare TUA e che su quel mondo pianta solide basi : gli AUTORI (Goethe, Woolf) i luoghi (il Golfo di Napoli), il cinema. Tu nella scrittura ogni volta li fai rivivere, li inventi ex-novo. La tua grande bravura consiste nel trovare variazioni quasi infinite (basta leggere i tuoi progetti!) che girano intorno al perno di quelle passioni solide e aguzze come faraglioni.
E' piacevole leggerti in dialettica col carissimo amico Luigi, anche lui forte "a suo modo" ovviamente, e sempre pieno di progetti. Immagino quanto sarà bella la vostra gita al faro, ad Augusta.
Saluto infine gli amici siciliani Simona, Maria Rita e Orazio, Mavie, e Alessio. Io non ci sarò, ma spero d'incontrarvi ancora, presto!
Mio caro Francesco la ricerca della bellezza e la voglia di farcela. Questa due forze, composte, sono davvero imbattibili.
Non sono un pò tipiche di noi Bilancia?
Chissà perchè stasera mi sento serena come Marianna quando ha vicino il suo omaccione muto.
Un caro saluto va alla dolce Piera. Peccato che tu non sarai ad Augusta con noi.
Napoli, 1905.
L’Unità d’Italia è una realtà da più di trent’anni, ma per Federico Bory, “cinematografaro” ante litteram, non è più che un cambio di nome per la Via Toledo. O forse è la possibilità d’incantare la gente come un apprendista stregone: «Non poteva comandare, va da sé, tutta la luce che inonda la terra, ne aveva asservito solo un fascio, però era già più di quanto capitasse di norma, e quel fascio di luce andava a buttarsi tutte le volte che lui voleva dentro un lenzuolo da cui tirava fuori cose mai viste, una magnifica femmina e paesaggi d’incanto voi vi chiederete che diavoleria è mai questa, e io che non voglio tirarla in lungo, vi rispondo che faccio il cinematografo, voi saprete di che sto parlando, sì, sono un direttore di scena, ho realizzato una film e ho venticinque anni appena finiti».
E cos’è per Beatrice Sismondi, torinese inquieta, l’Unità d’Italia? Il sentirsi attratta e respinta assieme da Napoli, il sogno realizzato di scrivere sul Mattino come l’ormai leggendaria Serao, di pubblicare a puntate Eunice, l’orfana tisica, improbabile feuilleton strappafazzoletti.
Marianna Mazzolati, bellissima e analfabeta, taglia corto. Chi è del Nord viene «dall’altra Italia», quella in cui si parla una lingua sconosciuta, quella che ti strappa il tuo uomo, Giocondo Gaudio o Gaudio Giocondo – valli a capire i misteri dell’anagrafe del Continente – per farlo soldato a forza.
E chi è la casta Susanna che s’immerge come una ninfa antica nelle acque del lago d’Averno e danza nuda, immortalata su una pellicola?
Cafè chantant, esilaranti produttori cinematografici, amori e passioni in una Napoli smagliante e chiassosa, incantata dal cinema, “l’imbroglio nel lenzuolo”, che fa spavento e attrae dando corpo ai sogni e scrivendoli con la luce.
E poi c’è il fascino della Napoli sotterranea, dell’Averno e del Lucrino, con la grotta della Sibilla e i suoi misteriosi sussurri, il paesaggio affatturato di ginestre e indorato di sole in cui si mescolano profumi e colori, le piante che Marianna raccoglie e impiastriccia per le sue incantagioni curative.
Francesco Costa è un giocoliere di parole e di luce, quella luce mediterranea e partenopea in particolare che fa pazziare i suoi personaggi e che forse li farà rinsavire.
“L’imbroglio nel lenzuolo” è una girandola di situazioni e di trovate, un flusso di narrazione in cui i personaggi principali si rimpallano la storia e se la rigirano a proprio modo. Al lettore il compito di sbrogliare il lenzuolo, di sorridere indulgente ai propri sogni e a quelli usciti dalla penna di Francesco Costa.
Maria Lucia Riccioli
Questa la recensione che ho avuto il piacere di scrivere sul libro di Francesco, che saluto calorosamente.
Ed ecco l'intervista che gli ho estorto...
:-)
Questo libro gioca intanto sull'equivoco del titolo, "L'imbroglio nel lenzuolo". Puoi spiegarcelo?
L’imbroglio nel lenzuolo... Non è un’espressione inventata da me. Quando è nato il cinema, dallo schermo (che era spesso un lenzuolo appeso al muro di una casa di paese) scaturivano diavolerie come treni in corsa e navi in mezzo al mare, oltre a gente morta che pareva viva, e per questo l’invenzione dei fratelli Lumière fu denominata dai napoletani (e con una sorta di reverenziale terrore) “l’imbroglio nel lenzuolo”...
Mi è piaciuto molto il gioco di alternanza tra le voci di Federico, Marianna e Beatrice. Come è nata l'idea di questa struttura tripartita?
L’alternanza di tre voci che ricostruiscono ciascuna a modo suo la vicenda riguardante la realizzazione di un breve film muto intitolato “La casta Susanna” mi è nata dalla voglia di calarmi in tre diverse psicologie e di sperimentare tre diversi tipi di linguaggio: Marianna è l’erbivendola analfabeta che ha un linguaggio primitivo, fitto di espressioni dialettali, mentre Federico proviene dalla piccola borghesia napoletana e parla già in modo più pulito. A loro ho voluto contrapporre Beatrice, ricca signora torinese, che usa espressioni più fiorite, visto che siamo nell’epoca del liberty, e adotta pose dannunziane. Una forestiera mi serviva oltretutto perché sul Meridione si posasse uno sguardo “alieno”, affascinato e insieme allarmato dalle contraddizioni e dalle attrattive del nostro Sud.
to be continued...
Un carissimo saluto non solo a Francesco e al nostro Luigino, ma anche alla soave Piera, a Simona e a tutti gli amici di "penna".
Il commento precedente è la recensione che ho avuto il piacere di scrivere per Francesco, mentre questa è l'intervista che gli ho estorto...
:-)
Questo libro gioca intanto sull'equivoco del titolo, "L'imbroglio nel lenzuolo". Puoi spiegarcelo?
L’imbroglio nel lenzuolo... Non è un’espressione inventata da me. Quando è nato il cinema, dallo schermo (che era spesso un lenzuolo appeso al muro di una casa di paese) scaturivano diavolerie come treni in corsa e navi in mezzo al mare, oltre a gente morta che pareva viva, e per questo l’invenzione dei fratelli Lumière fu denominata dai napoletani (e con una sorta di reverenziale terrore) “l’imbroglio nel lenzuolo”...
Mi è piaciuto molto il gioco di alternanza tra le voci di Federico, Marianna e Beatrice. Come è nata l'idea di questa struttura tripartita?
L’alternanza di tre voci che ricostruiscono ciascuna a modo suo la vicenda riguardante la realizzazione di un breve film muto intitolato “La casta Susanna” mi è nata dalla voglia di calarmi in tre diverse psicologie e di sperimentare tre diversi tipi di linguaggio: Marianna è l’erbivendola analfabeta che ha un linguaggio primitivo, fitto di espressioni dialettali, mentre Federico proviene dalla piccola borghesia napoletana e parla già in modo più pulito. A loro ho voluto contrapporre Beatrice, ricca signora torinese, che usa espressioni più fiorite, visto che siamo nell’epoca del liberty, e adotta pose dannunziane. Una forestiera mi serviva oltretutto perché sul Meridione si posasse uno sguardo “alieno”, affascinato e insieme allarmato dalle contraddizioni e dalle attrattive del nostro Sud.
Maria Lucia Riccioli
intervista part two...
:-)
Sei uno sceneggiatore cinematografico e televisivo oltre che uno scrittore, il tuo romanzo d’esordio, “La volpe a tre zampe”, è diventato un film di Sandro Dionisio con Miranda Otto e Angela Luce; il film di Alfonso Arau “L’imbroglio nel lenzuolo” con Maria Grazia Cucinotta, Geraldine Chaplin e Anne Parillaud uscirà tra breve... inoltre leggendo il libro si nota la tua familiarità con l’ambiente del cinema. Puoi parlarci del tuo legame con il mondo della luce, con “l’imbroglio nel lenzuolo”?
Il mio legame con la luce è nato praticamente insieme a me. Ho amato il cinema fin da quando ero piccolo e anche la lettura (e di conseguenza la scrittura) l’ho sempre intesa come un “dare la vista a chi non ce l’ha”. Mi si dice da più parti che la mia scrittura ti permette di “vedere le cose” e senza per questo rinunciare a essere una scrittura inequivocabilmente letteraria. Non amo quei romanzi che sembrano sceneggiature cinematografiche: i miei romanzi sono romanzi, e questo non può negarlo nessuno.
Sei soddisfatto della resa filmica del romanzo?
Uno scrittore non dovrebbe mai esprimersi sulla qualità dei film tratti dai suoi romanzi, almeno per una questione di eleganza, ma posso azzardarmi a dire che gli interpreti di “L’imbroglio nel lenzuolo” ingaggiano una vera e propria gara di bravura, e sono tutti encomiabili: la Cucinotta, la Chaplin, il divertente Ernesto Mahieux che impersona il produttore Gennarino Pecoraro, il giovane Primo Reggiani e la francese Anne Parillaud (interprete del mitico “Nikita”) che mi sembra esattamente la Beatrice descritta nel mio libro. Anche la regia ha vigore, ha ritmo... Insomma, staremo a vedere come sarà accolto dagli spettatori.
Maria Lucia Riccioli
intervista part three, trois tre...
:-)
Le fatiche della tecnologia, dea capricciosa.
Mi è molto piaciuto l'impasto linguistico che hai utilizzato, un dialetto napoletano che si fonde con l'italiano, come a significare l'incontro fra il mondo quasi primitivo di Marianna e quello più intellettuale e sofisticato di Beatrice. Come hai trovato la lingua di questo romanzo?
La lingua di questo romanzo è stata generata da una sorta di “full immersion” nelle psicologie dei tre protagonisti. Ho scritto il libro nell’ordine in cui lo si legge, saldando l’uno all’altro (la parola che chiude ogni capitolo è la stessa che apre quello successivo) gli sfoghi accorati dei tre personaggi. Di volta in volta diventavo semplicemente ora l’uno e ora l’altro, e li facevo parlare come immaginavo che potessero parlare. In più dovevo badare al tempo della narrazione che inizia al presente per tutti tre i personaggi, poi affonda nel passato per ricostruire l’origine dei loro drammi e poi torna al presente. È il più elaborato dei miei sei romanzi, e anche il più documentato: per descrivere gli effetti delle erbe raccolte da Marianna ho consultato un antico erbario e per il contesto sociale ho studiato per mesi periodici d’epoca alla biblioteca nazionale. La scrittura del romanzo ha richiesto esattamente dodici mesi. Contrapporre il linguaggio primitivo di Marianna a quello sofisticato di Beatrice significava nelle mie intenzioni sottolineare non tanto le differenze fra le due donne quanto la loro affinità: in fondo combattono entrambe per difendere il loro diritto all’amore. Volevo anche affrontare il tema della creatività artistica (Federico e Beatrice sono artisti: scrivono lui per il cinema e lei per i giornali) e dei suoi aspetti più pericolosi (le ambizioni di Federico costano quasi la vita a Marianna). Si tratta inoltre di una doppia storia d’amore (quella dei poverissimi Marianna e Giocondo contrapposta a quella dei tormentati Beatrice e Federico) che, dopo alterne vicende, approda a una conclusione felice, perché io amo la vita e mi piace quindi guidare i miei personaggi in un processo di maturazione che annovera tappe dolorose, ma li porta verso un futuro migliore.
Domanda un po’ scontata, ma sono curiosa... quali sono i tuoi progetti futuri? Cosa stai scrivendo?
Ho terminato un mystery ambientato nel 1924, nei giorni roventi del delitto Matteotti, e ne sto scrivendo il seguito che si svolge nell’estate del 1926, più o meno nel periodo in cui morì prematuramente l’attore Rodolfo Valentino. Il tragico evento ha una connessione con l’intreccio del romanzo. Delitti, misteri, scambi di persona, sullo sfondo di un paese sui cui si allunga l’ombra di una dittatura che durerà oltre vent’anni.
Carissima Piera, grazie del tuo intervento. Anche a noi è dispiaciuto non averti alla serata di Minimum fax. Sei un'amica carissima e una presenza vitale. In ogni caso, ci siamo rifatti, e ti ringrazio per questo tuo intervento. Anche Francesco lo gradirà molto. Spero di leggerti ancora, così da arricchire sempre più questo mio spazio di commenti e punti di vista. Un caro abbraccio,
Cara Maria Lucia, grazie per questa tua intervista. Tutte le testimonianze sono belle e portano bellezza al blog. Domattina sarà un giorno vitale, pieno di altri commenti e di nuove scritture. Continua a mandarci le tue parole. Un abbraccio... Notte...
Cara Mavie, che bello leggere della tua serenità. Mi rendi felice. Brava Mavie-Marianna. Mi sei piaciuta. Mi unisco al tuo affettuoso saluto alla cara Piera.
Ciao a tutti!
Sto per finire la lettura del libro di Francesco, che mi appassiona e mi tiene sveglia fino a tarda notte.
Mi piace per tante ragioni, questo libro.
Ne enumero alcune.
Perché è scritto da un autore che ama il cinema, come me, e quest'amore si sente.
Per il modo di raccontare, da diverse angolazioni, dando voce ai pensieri e ai ricordi di ciascuno dei personaggi principali sulla stessa vicenda.
Per la lingua, quell'intreccio di italiano e dialetto così naturale.
Per la magistrale resa della psicologia dei personaggi, ciascuno alle prese con le sue ossessioni, con i suoi bisogni insoddisfatti.
Per la ricostruzione di un'epoca di transizione culturale (muore il cafè-chantant, l'imbroglio nel lenzuolo conquista le masse), in cui si vedono le prime avvisaglie del mutamento dei rapporti fra i sessi ancora molto di là da venire.
Per l'incontro/scontro nord/sud, che ritroviamo non soltanto nell'intellettuale torinese simpaticametne velleitaria, preoccupatissima delle sorti di popolazioni lontane per le quali perde il sonno, e cieca di fronte alla fame nera della lavandaia e della sua sorellina un po' ritardata, ma anche nella madre di Federico (sai che spasso, a Belluno!); la realtà multicolore e complessa di Napoli finisce per segnare il destino delle due donne (almeno, così mi pare di capire al punto in cui sono arrivata).
Bellissimo il personaggio di Marianna, con il suo approccio semplice alla vita, le sue furbizie necessitate, il suo amore per Giocondo Gaudìo, l'attaccamento alla sorella un po' tarda, il suo sguardo critico ma in fondo benevolo sulla gente del gran mondo.
Non vedo l'ora di vedere il film!
Un saluto,
Rosalia Messina
Questo è un libro molto particolare, ricco di atmosfere magiche, sognanti. Un libro vagamente surreale capace di trasportarci in luoghi mitici. Ci mette a confronto di molte passioni e per questo ci emoziona, ci parla della nascita del cinema e di come attraverso l’arte dell’immagine si cerchi di diventare eterni. Di come questa ricerca di eternità comporti un prezzo e di quanti consapevoli e inconsapevoli sono chiamati a pagarlo. Un libro su come l’arte rappresenta il suo doppio, il sogno, la magia, il viaggio, l’eternità, ma anche l’inganno, l’immagine rubata. Ho letto molti altri libri del grande Francesco Costa e trovo che questo sia il suo più bello perché ci vedo la sua napoletanità, la sua eleganza di stile e il suo modo ironico di utilizzare il dialetto e un’atmosfera magica leggera come una montagna e pesante come una piuma che mi ricorda molto la figura del grande Massimo Troisi. Complimenti vivissimi al grande scrittore e all’amico che sempre trasforma normali serate in momenti di grande allegria, grazie davvero per questo magnifico libro. Un saluto a tutti gli amici che ho avuto modo di conoscere e che partecipano a questo bel blog, un grazie a Luigi per questa nuova casa, ciao.
ragazze, sono travolto! e anche un po' commosso, e non è facile commuovere uno come me che è di origine teutonica. sono infatti un curioso impasto di nord e di sud, ed ecco spiegata l'immissione in questa tellurica vicenda del sud di spaesate donne del nord come beatrice e alma, irresistibilmente attratte e inevitabilmente deluse dai maschi del nostro meridione, così bravi a far promesse quanto a dimenticarsene in fretta. a mavie dico che noi della bilancia siamo una forza irresistibile, anche se non d'impatto (ed ecco perchè penso che, così impulsiva e decisa, marianna non mi appartenga), anche perchè viviamo come se fossimo a teatro e nella vita vedessimo uno spettacolo di cui accettare anche le scene madri e i più strazianti colpi di scena. tanto, sappiamo che il lieto fine non è mai impossibile, visto che in fondo è tutto finto. a piera dico che mi sono innamorato all'istante di quest'immagine così delicata e sottilmente umoristica dei solidi e aguzzi faraglioni che sarebbero secondo lei le mie passioni (me li sento già conficcati nel cervello questi aguzzi faraglioni), ed è un'immagine che poteva venire in mente soltanto a lei, così portata al sorriso e al sogno. a maria lucia dico grazie per la lunga ed esauriente recensione, per l'intervista, e per il garbo con cui ha esplorato anche i lati oscuri del mio romanzo. a rosalia dico che mi compiaccio per la sua perspicacia: ha colto le contraddizioni che attribuisco ai miei personaggi per renderli credibili senza smettere di amarli. beatrice palpita per le diseguaglianze sociali di paesi lontani, ma non vede la fame che marianna soffre sotto i suoi occhi: lo strale avvelenato l'ho lanciato, lo avrete capito, a una borghesia radical snob che, nelle sue eleganti abitazioni, smaniava ossessivamente per l'orrore della pena di morte negli Usa o per quello del conflitto israele-palestina, o per tante altre piaghe di remote nazioni, senza accorgersi dei mali di propria: mafia, politici disonesti, modelli volgarissimi additati alle generazioni più giovani. la criminale ignavia di una sinistra che ha abbandonato un intero paese alla prepotenza dei più furbi è uno dei peggiori misfatti a cui io abbia mai assistito. una sinistra che da decenni era diventata una casta arcigna e snob, arroccata in un culturame fatto di battute spocchiose e saputelle, e nutrito di disprezzo per i ceti più indifesi, ridicolizzati per la loro ignoranza. dal momento, però, che non sono ideologizzato, ho infuso nella mia beatrice la capacità di schierarsi al momento giusto dalla parte giusta. e trovo coì bello l'aggettivo "necessitate" per definire le furbizie di marianna. grazie, rosalia! e nessuno mi dice niente di questo gigante buono, di questo giocondo gaudio che, avendo sostenuto di essere muto, deve conseguentemente subire in silenzio atroci torture fisiche pur di non staccarsi dalla sua donna e dalla sua terra? naturalmente non è perchè sono poveri in maniera estrema che marianna e giocondo sono due personaggi convincenti (perchè, a mio avviso, beatrice e federico lo sono altrettanto), ma perchè sono stati accuratamente e lungamente scavati nella loro interiorità, nelle loro potenzialità, nel loro spirito d'iniziativa. le mie intenzioni erano quelle di renderli eroici sottolineando il contrasto fra le loro difficoltà e la loro intraprendenza. a modo loro, però, sono eroici anche federico e beatrice per il loro buttarsi a capofitto e senza remore in tante cose per loro nuove: l'espressione artistica, la passione fisica, la volontà di decifrare il mistero della vita. grazie a tutti, francesco costa.
alessandro caro, non ho parole per ringraziarti. l'ho detto più volte che hai un cuore immenso. e se trasformo normali serate in momenti di grande allegria, è perchè amici come te rispondono sempre con slancio e con generosità alla proposta di passare una serata divertente. ti abbraccio, francesco
"Povero Giocondo, che faccia stava facendo a sentire quelle frasi difficili, se non si sbrigava a chiudere la bocca, ci sarebbe entrata dentro una mosca,..., però a un certo punto le si aprì la mente e così realizzò che se il cinematografo consisteva nel far parere vere le cose finte, allora non lo aveva fatto solamente Federico, ma pure loro, a volte con risultati tremendi..."
Si credo che la figura di Marianna e di Giocondo siano veramente due gran belle figure eroiche e non solo per la loro povertà ma anche e soprattutto per come ci vengono raccontati. Per la loro forte capacità di lottare con tutti i mezzi che hanno a disposizione, per la loro ignoranza fatta di semplicità, di terra, di erbe, di lago, per la forza di lui nel resistere a tutte le angherie e torture, per la capacità e l'intelligenza di lei di sfruttare al meglio che può tutto quello che le capita, per l'acuta sensibilità con cui lei capisce che anche loro in qualche modo hanno partecipato all'imbroglio nel lenzuolo. Per me sono le figure più belle del libro e quando si arriva alla fine un pò ci si commuove insieme a questi personaggi. Ho riportato queste poche righe che tratteggiano il bellissimo rapporto tra Marianna e Giocondo Gaudio perchè in queste c'è tutto un mondo e perchè la metafora della mosca che entra in bocca se non si sbriga a chiuderla mi è rimasta dentro. Grazie Francesco per la bella dedica al libro e per questo dono che ci hai fatto, ciao.
"una borghesia radical snob che, nelle sue eleganti abitazioni, smaniava ossessivamente per l'orrore della pena di morte negli Usa o per quello del conflitto israele-palestina, o per tante altre piaghe di remote nazioni, senza accorgersi dei mali di propria: mafia, politici disonesti, modelli volgarissimi additati alle generazioni più giovani. la criminale ignavia di una sinistra che ha abbandonato un intero paese alla prepotenza dei più furbi è uno dei peggiori misfatti a cui io abbia mai assistito. una sinistra che da decenni era diventata una casta arcigna e snob, arroccata in un culturame fatto di battute spocchiose e saputelle, e nutrito di disprezzo per i ceti più indifesi, ridicolizzati per la loro ignoranza".
Sottoscrivo ogni parola, stanca da tempo di questa casta arcigna e snob, chiusa nei suoi circoli esclusivi, nei suoi consumi alternativi, che - aggiungo - ha lasciato che i ceti più indifesi non potessero che essere sedotti dalla cultura del grande fratello, alla quale gli intellettuali dal sopracciglio inarcato, dalla smorfietta disgustata, non ha saputo contrapporre una cultura popolare, comprensibile da tutti, godibile anche da chi non ha fatto "le scuole alte".
Grazie a te, quindi, Francesco, per averci ricordato tutto questo.
rosalia
Caro Alessandro, singolare la tua annotazione: il fatto che tu hai respirato "Troisi", il grande Troisi all'interno delle pagine di Francesco. Grazie anche da parte mia del bel contributo e soprattutto di aver letto così attentamente il libro. Ogni romanzo è un atto d'amore. Ed è un atto d'amore anche il fatto che un lettore gli dedichi il proprio tempo, la propria vita, le sue emozioni. Continua a partecipare alle discussioni del blog e continua a scrivere sempre. Sei una presenza importante, un abbraccio grande
Cara Lia, grazie anche a te delle parole intense, vere che hai rilasciato. Era esattamente questo che sognavo quando ideai l'esistenza di questo blog: un luogo libero, indipendente, un teatro in cui si potesse parlare di libri, di cultura, di pensiero, senza gli angusti spazi che sempre più la cultura contemporanea riserva ai discorsi culturali. E' questo il mio piccolo grande Faro: la piazza nella quale salutare i lettori, scambiarsi opinioni, imbastire dibattiti. E questo lo si fa "intorno" ai libri, o partendo da essi per attraversarli, operando una presa di posizione necessaria nei confronti della vita e delle cose. Un discorso che continueremo giorno 2, ad Augusta, dove avremo modo di parlare ancora di arte, di libri e di Virginia Woolf, la nostra comune, celebre amica. La sua parola aleggia su questi luoghi, come una nebbia e come un vento, e confesso che è spesso nei miei pensieri, quando puntualmente torno a riaprire i suoi romanzi, e ad imparare, a emozionarmi, a scoprire oltre. Carissima Lia, grazie del contributo. Agli altri lettori voglio ricordare il libro di Rosalia Messina in uscita da alcune settimane per la Perrone Lab, degli splendidi racconti intitolati "Prima dell'alba e subito dopo". Leggeteli, non ve ne pentirete. Un abbaccio a tutti
cara rosalia, per decenni ho ripetuto quasi ossessivamente che era necessario tornare a parlare alla gente, e andare casa per casa a monitorare il sentimento generale dell'italia. ne ho parlato a registi nevrotici ed egocentrici che vengono osannati come grandi autori per quattro battute che si sono inventati e per un paio di film girati con i piedi. la risposta? cinismo, arroganza, battute sprezzanti. ed ecco il risultato: se non fai parte di una compagnia di giro composta da una ventina fra registi e scrittori che si leccano i piedi l'un l'altro, non arrivi a nessuna delle trasmissioni televisive più ambite per parlare del tuo mondo e del tuo modo di scrivere. nell'immediato dopoguerra le classi sociali si riflettevano l'una nell'altra. gli intellettuali borghesi (pratolini, moravia, bassani) raccontavano la freschezza e il coraggio dei ceti popolari, che offrivano loro materiale umano come fonte d'ispirazione: un raffinato scrittore come mario soldati dirigeva gina lollobrigida in "la provinciale" dal romanzo di alberto moravia, vittorio de sica rendeva celebre sophia loren, e l'aristocratico luchino visconti scritturava l'ex "povero ma bello" renato salvatori per il suo magnifico "rocco e i suoi fratelli". oggi il regista di sinistra si fa beffe del "nazional-popolare" e per i propri film arruola i meno significativi fra gli scrittori italiani, quando non si ritiene addirittura in grado di scrivere da solo. Il risultato di questa sorta di autismo è che il cinema e la letteratura italiana non riescono più, tranne rari casi, a valicare la frontiera. c'è stata una traumatica rottura con la generazione dei padri, la riduzione del racconto di questo paese a un rosario di battutine che non fanno ridere nessuno, un impigrimento che ha qualcosa di criminale. E così ecco che oggi si guaisce, si piange, ci si lamenta perchè siamo governati da ladri e perchè il popolo bue va in estasi per il "grande fratello". ci voleva davvero tanto a capire che un elettorato può votare per qualcuno che è bravo a farlo fesso, ma non certo per chi lo ridicolizza di continuo e, nel caso migliore, lo ritiene degno di commiserazione? ci voleva tanto a capirlo? quanto capisco cassandra, poveretta, che nell'iliade additava a quegl'imbecilli dei troiani le non poche sventure a venire, e in cambio veniva derisa, e scansata e presa per matta. nessuno le credeva, perchè nessuno sospetta che i matti vedono lontano. quanto deve aver goduto nel sentirli frignare nell'ultima notte di troia con i greci che uscivano dal ventre del cavallo di legno per uccidere, violentare, incendiare e saccheggiare. grazie per l'attenzione, francesco costa
Carissimi, grazie delle stimolanti riflessioni. Le vostre parole ci fanno capire che periodo tremendo attraversiamo: vi esorto però a non dimenticare mai chi c'è dall'altra parte. Non che questo giustifichi il tradimento del popolo e del rapporto imprescindibile che gli intellettuali devono avere con esso da parte di una certa fascia radical-snob, ma più che elencare i mali che attraversiamo dovremmo forse rimetterci tutti quanti a lavorare, scendendo in strada, andando inconro alla gente, per promuovere un cambiamento, vero, contro il male imperante del paese. Io sento molto il tema dell'impegno politico. Forse, la sola scrittura non basta più a salvare questo paese. Dovremmo tutti dare personalmente il nostro contributo in termini di impegno politico e culturale. Dovremmo tornare alle campagne di piazza, all'incontro con la gente che ci ha tradito. Detto questo, vorrei chiedere a Francesco Costa, quale dei suoi romanzi gli è più caro. So bene che è una domanda terribile, ma tutti abbiamo un figliolo prediletto. Quale dei tuoi romanzi è quello che ti ha dato maggior soddisfazione? L'Imbroglio?
caro luigi, mi poni due domande, non una. mi chiedi quale dei miei libri mi è più caro e quale mi ha dato più soddisfazione. e allora devo indicare due titoli, non uno, perchè il libro al quale sono più legato non è quello che mi ha dato più soddisfazione. risponderò che il più soddisfacente, per una serie di motivi che non escludono la realizzazione del film di alfonso arau, è certamente "l'imbroglio nel lenzuolo" che veleggia come una nave in mare aperto. quello che mi è più caro è "se piango, picchiami" alla cui protagonista femminile sono molto affezionato, e che mi sembra anche il libro più inventivo, più originale, più caldo. il più generoso è quello che contiene nel proprio ventre tutti gli altri, come la balena di Pinocchio, ed è "la volpe a tre zampe" (che è anche quello con il numero maggiore di elementi autobiografici). "non vedrò mai calcutta" è quello con il linguaggio percorso di continuo da accensioni visionarie, ed è il più oscuro, il meno noto, il più disturbante. "il dovere dell'ospitalità" inaugura nella mia produzione un nuovo modo di narrare, in cui l'amarezza sotterranea affiora sulla pagina con le bollicine dello champagne che distillano un umorismo beffardo e un po' crudele. "presto ti sveglierai" va ancora oltre su questa linea e si spinge in una direzione quasi surreale: l'umorismo si fa più feroce, le situazioni più paradossali, i personaggi più estremi, al punto da sembrare usciti da una fiaba (ometti sudaticci, spietati avvocati americani, professoresse di fulgida bellezza, camorristi senza scrupoli e poliziotti senza spirito, e perfino un ragazzo che ama travestirsi da Gesù). potrei dire che i miei libri viaggiano in coppia: i primi due parlano di cinema ("La volpe a tre zampe", "L'imbroglio nel lenzuolo"), i secondi due trattano la risorsa salvifica della creatività nei nevrotici ("non vedrò mai calcutta", "se piango, picchiami"), i terzi due studiano questi nostri tempi sciagurati attraverso la lente dell'umorismo ("il dovere dell'ospitalità", "presto ti sveglierai"). e adesso mi tuffo nel noir! dovrei poi parlare anche dei miei libri per ragazzi: sono molto legato ad "angelica nello specchio" che tratta il problema dell'identità sessuale nei giovanissimi ed è stato tradotto in giappone, ma sono molto stimolato anche dalla serie progettata per il touring club di cui è appena uscito il primo volume, "tutta colpa di un fulmine". in quanto a programmare un incontro con la gente che ci ha tradito, scusami ma non sono affatto d'accordo. la gente che ci ha tradito vada a farsi fottere! il mio impegno è nella mia scrittura e l'incontro voglio farlo con la gente che lavora, che è progettuale, che è sana (librai, studenti, insegnanti, teatranti) e non certo con dei narcisisti pieni di boria che, alla prima occasione, non farebbero che tradirci di nuovo. la vita è troppo breve per offrire più di un'occasione a certa gente! e tanto per chiarire come la penso, trovo profondamente incivile inneggiare alla morte di raimondo vianello perchè recitava nelle reti televisive di berlusconi. non è abbassandosi a celebrare un rito voodoo che una nazione evolve. e con nessuno dei cento firmatari di questa vergogna vorrei aver mai a che fare. ma neanche per prenderci un cappuccino al bar. grazie per l'attenzione, francesco
Carissimo Francesco,
anche se non ho ancora terminato il libro, devo complimentarmi con te: è un romanzo che ti ammalia fin dalle prime pagine trascinandoti in un passato mitologico che diventa simbolico del nostro presente, con i suoi inganni e le sue contraddizioni, ma anche con le sue speranze e i
suoi sogni. Mi piace molto la suddivisione in tre parti e questo tuo calarti in personaggi diversi tra loro, ognuno con i propri pensieri e con un modo di esprimersi particolare. Nonostante le differenze si riesce a passare dall’uno all’altro senza difficoltà perché è strutturato molto bene. E credo proprio che sia la peculiarità della struttura, questo intersecarsi della storia attraverso tre voci che si arricchiscono e completano a vicenda, insieme al linguaggio musicale ed evocativo a portarti dentro i personaggi, nei loro pensieri e nel loro mondo. Davvero bravo. Mi dispiace non essere potuta venire alla presentazione: mi farò perdonare! Complimenti anche a Luigi per l’intervista che trovo molto completa e originale. Appena termino il libro scriverò di nuovo sul blog Un caro saluto e a prestissimo Claudia Mereu
Caro Francesco, sono d'accordo con te su Vianello. Chiunque inneggi alla morte di una persona è deprecabile. Non si risolve la violenza di uno stato con la violenza dei singoli. La democrazia e il rispetto dell'altro devono venire prima di tutto. La penso in modo un pò diverso, invece, in merito all'impegno politico, ed è bello discuterne. Io sento molto questo discorso del fare, e in certi momenti, purtoppo, neppure l'arte basta. Io amo quegli scrittori che a un certo punto della loro vita sono stati attivi sul campo, sono scesi con le folle, hanno varcato la soglia della loro casa e si sono messi a capo di un sogno di cambiamento. Nel mio modo di vedere ci vuole anche l'impegno concreto, ci vogliono le rivoluzioni. Ma questo, l'hai sempre saputo, è una divergenza che abbiamo discusso tante volte, ed è bello essere fedeli a se stessi, non tradire mai il proprio pensiero. In merito ai tuoi romanzi, io ho amato - proprio amato - questo tuo "Imbroglio". Seducente, carismatico, vitale, visionario, sognante. Forse lo ritengo il migliore tra tutti. Sebbene rimanga molto molto legato anche a "Non vedrò mai Calcutta", che tu sai essere uno dei miei prediletti. Io amo i romanzi che raccontano la nevrosi. Li sento molto miei. Mi ci ritrovo moltissimo. E poi, quel personaggio è amabile, la sua vista "nascosta", la sua inquietudine, credo che sia una delle tue cose più riuscite in assoluto. Sono davvero felice di quanto questo blog stia dando in merito al tuo romanzo. Lo sento vivere, ad ogni nuova voce che si aggiunge. Sono tutte voci di un coro, che racconta, che dialoga, che si apre all'altro e al suo dono d'amore. Grazie d'aver scritto, e di aver risposto a tutte queste domande con tanta passione. Ma credo che ce ne saranno ancora tante di domande da parte di tutti i nostri lettori. Un abbraccio caro...
Cara Claudia, e ci sei anche tu, col tuo amore per le strutture, la tua passione per la forma. Sei tra gli allievi che forse maggiormente hanno fatto loro questo mio amore per le forme. Le forme sono tutto in letteratura. E il romanzo di Francesco Costa è un elogio puro alla forma: questa sua tripartizione, questo suo essere suddiviso e rendere la vicenda attraverso riverberi e riflessi dei personaggi e nei personaggi. Tutto questo rende la storia solida, intensa, vitale. Carissima, grazie di aver scritto, attendo di leggerti ancora quando avrai finito di leggere il libro. Buon lavoro anche alle tue scritture, a presto...
Condivido anch'io pienamente l'affermazione di Luigi La Rosa in merito all'impegno. Certamente l'arte è uno dei canali attraverso cui veicolare la rabbia e l'insofferenza nei confronti del reale. Ma a volte, in determinati momenti storici, neppure l'arte da sola può bastare. L'altro sta lì, e ci reclama. Ci vuole una presa di posizione netta, che scansi gli equivoci. Volevo chiedere a Francesco Costa da dove nasce il suo titolo: "Non vedrò mai Calcutta". E' per caso un romanzo ambientato in India? Perdoni la mia incompetenza, riparerò leggendo i suoi libri.
Salve, mi chiamo Agata, ho letto su che si fa riferimento a un evento ad Augusta. Potrei avere qualche delucidazione in più?
Agata
Cara Agata, salve. Le rispondo brevemente: giorno 2 maggio, la libreria Letteraria di Augusta organizza un evento culturale molto interessante, presso gli spazi dell'antico faro cittadino. Io presenterò il romanzo di Francesco Costa, "L'imbroglio nel lenzuolo" e l'autore presenterà gli acquerelli del pittore catanese Alessio Grillo. Otto pezzi che verranno esposti all'interno dei locali del faro. Il titolo della mostra è "L'ultima luce, all'angolo dell'ultima via" e si riferisce a un celebre verso di Hikmet. Ma la serata è sotto l'insegna di Virginia Woolf, ci saranno infatti letture e riflessioni dedicate ad alcune pagine di "Gita al faro" e infine un piccolo cocktail di congedo e ringraziamento. Spero che possa essere dei nostri. Un saluto affettuoso...
caro luigi, naturalmente sono anch'io per l'impegno politico. come potrebbe essere altrimenti? per me è una gioia girare per le scuole a parlare con i bambini, cittadini di domani, e incoraggiare il loro desiderio di bellezza. gettare un seme e aspettare che germogli: ecco il mio scopo. fare politica per me è andare a teatro, applaudire i meritevoli, leggere buoni libri, spargere intorno a me letizia e buonumore. ogni persona di valore deve fare politica, se per fare politica s'intende il vivere in coerenza con quello in cui si crede. perfino l'elitaria, umbratile virginia woolf è scesa nell'agone politico con "le tre ghinee" e direi che ha fatto molto per migliorare la condizione delle donne e quella di ogni tipo di minoranza (penso alle considerazioni sulla sessualità che clarissa fa in "la signora dalloway" e al suo complesso rapporto con l'amica sally), eppure fu attaccata dai soliti oltranzisti superideologizzati come "qualunquista" e svillaneggiata sui giornali addirittura tre giorni prima del suo suicidio. io sono per la democrazia: non è solo strillando in strada che riporti alla coscienza la gente che è stata abbandonata alla fascinazione del "trash", ma seminando i germi di una coscienza di sè e dei valori che sostanziano un essere civile: la dignità, l'onestà, il rispetto per gli altri. e a teresa dico che la rabbia non produce mai buoni frutti: la rabbia produce altra rabbia. se abiura la gioia, la rivoluzione sconfina nel Terrore e diventa a sua volta una dittatura. trova in te la forza di comunicare con eleganza in quali principi hai fede. comincia a manifestarli a chi ti ama, a chi lavora con te, a chi li condivide. non limitarti a urlarli, ma vivili! sarai riconosciuta ovunque per una donna con cui tutti vorrebbero entrare in relazione. "non vedrò mai calcutta" è ambientato a napoli, la mia calcutta sciagurata e meravigliosa. edito da mondadori, oggi è introvabile. potrebbe essere letto in fotocopia. racconta di un ragazzo del settentrione che cala a napoli dopo aver scontato una lunga pena detentiva per aver ammazzato a quattrodici anni i propri genitori. vedi bene che non è un soggetto dei più rassicuranti: a luigi, però, piace e gliene sono grato. piace molto anche ad altri due miei amici. ha una cifra stilistica che sconfina nel visionario. cara claudia, grazie per le belle parole che dedichi al mio "Imbroglio": senza saperlo, lenisci la piccola trafittura che stamattina mi è stata inferta dal cartolaio che ha il negozio sotto casa mia, un simpatico vedovo sulla settantina, che sta leggendo il mio romanzo, bontà sua, e al mio passaggio ha sospirato: "Dio, quanto è difficile il suo libro! addirittura tre punti di vista! non ne bastava uno? faccio una gran fatica ad andare avanti..." E anche il suo è un parere rispettabile! non sarebbe giusto snobbarlo! uno scrittore deve tener conto delle opinioni di tutti i suoi lettori per eventualmente raddrizzare il tiro nei libri futuri e renderli più accessibili. scrivere è in realtà l'eterna ricerca di un contatto con l'altro: altrimenti non ha un gran senso. tanto varrebbe scrivere un diario da tenere nascosto a tutti! grazie a tutti, francesco costa
Caro Costa, mi permetto di dissentire. Io credo che pure la rabbia abbia prodotto notevoli capolavori. Si tratta comunque di una forza, di un vettore. Non avremmo avuto Caravaggio, né Goya, né Artemisia Gentileschi se questi artisti non avessero avuto il fuoco dentro. Tutti i sentimenti sono validi, secondo me, per raccontare una buona storia. Il resto dipende solo dal talento di chi lo fa. Che bella la trama di questo suo romanzo, mi piacerebbe tanto che fosse ristampato. Peccato non trovarlo. Questo è un problema che tante volte ho riscontrato pure nella ricerca di altri libri. Quando abbiamo un bel libro non dovremmo mai dimenticare che a breve questo stesso potrebbe diventare introvabile, e lo dovremmo custodire come una reliquia. Invece li prestiamo, e molto spesso li perdiamo. Io credo di averne disseminati decine tra amiche e parenti. Grazie per le sue gentili risposte, nonostante le differenze di vedute, sono state sicuramente arricchenti e formative. Un saluto a lei e a tutti coloro che stanno partecipando al blog.
teresa cara, forse dovremmo intenderci su quel che intendiamo per rabbia. se la intendiamo come un'espressione di vitalità, siamo d'accordo. se invece è quel sentimento sterile e unicamente distruttivo che spesso ci porta a sparare a zero su tutto, allora non lo si trova certo nei quadri di caravaggio o di artemisia gentileschi, che possono aver avuto delle furie nella loro vita personale, particolarmente tormentata (lui era pure un assassino), ma nella loro arte esprimono quel bisogno di intesa e di affinità, quel senso di compassione per gli uomini in generale, quel che di sognante che rende tale ogni opera d'arte. l'arte, a mio avviso, è un'offerta con cui l'artista partecipa (con lo strumento della seduzione) le sue intuizioni agli altri. l'arte è soprattutto un mistero. se diventa propaganda (penso all'arte nazista come a quella bolscevica che, pur sostenendo principi opposti, si unificano nella pretesa di non lasciar psazio alla fantasia), diventa spazzatura e di sè non lascia traccia. io credo di scrivere talvolta anche con una certa violenza, i personaggi di "l'imbroglio nel lenzuolo" sono tratteggiati in certi punti perfino con aggressività (penso alla scena in cui marianna afferra al volo una gallina e se la porta a casa per mangiarsela, o alla scena in cui tutti ridono a crepapelle per l'ingenuità di certi passaggi del romanzo di beatrice), ma sono soprattutto dipinti con amore. se non ami i tuoi personaggi (anche quelli negativi), non puoi renderli credibili. in questo senso l'arte esclude la rabbia, in quanto esplora anche le ragioni di chi è diverso da te o addirittura ti si contrappone. l'arte bandisce il razzismo, tra l'altro, e l'odio per il diverso. l'arte è comprensione: chiedilo agli attori che recitano "macbeth" o "riccardo III". è un discorso lungo e complesso, me ne rendo conto, ma ho troppo ben presente che la rabbia è stata spesso, nella storia dell'arte, l'arma dei dilettanti. un abbraccione, teresa cara, da frnacesco costa
Ho finito di leggere "L'mbroglio nel lenzuolo". Mi è piaciuto tanto. E' un romanzo strepitoso. Interessante e piacevole l'intreccio, che a volte si dipinge di tinte forti, che poi sfumano in colori pastello. La caratteristica particolare, però, sta nel linguaggio nuovo e perfettamente equilibrato, che Francesco Costa ha inventato e nell'impianto strutturale del suo romanzo. Il linguaggio è un continuo mescolarsi di italiano e napoletano. Fresco, vivo. Se di qualche parola ti sfugge il significato esatto, riesci a capire perfettamente il discorso. E' un linguaggio, che ti giunge all'orecchio armonioso, come una melodia di cui prendi subito il ritmo. Il testo tripartitico, le tre voci dei protagonisti,l'idea di far iniziare il capitolo seguente con l'ultima parola del capitolo precedente, presuppone un grande controllo e una grande maestria nel trattare la materia. Belli e carichi di languore i posti che descrive. Il lago d' Averno,con le sue felci e il suo mistero. L'antro della sibilla,che affascina e fagocita. Il bosco con le sue fronde, inquieto e protettivo ad un tempo. Un finale che ricompone questo concertato, per usare un termine musicale,
in cui ogni personaggio ritrova la via segreta che conduce al cuore.
Maria Rita Pennisi
Cara Teresa, grazie degli interventi. Non l'avevo ancora ringraziata, e grazie ovviamente sempre a Francesco, il nostro scrittore ospite. Ribadisco l'importanza di avere uno spazio in cui discutere di temi così importanti, così sottili, e così alti. Al di là delle diverse vedute - la pluralità del pensiero rimane alla base di qualunque società libera, guai se non fosse così -, la cosa bella è questo stare qui a discutere di arte, di ispirazione, di dipinti che hanno segnato tutti noi, di libri che salvano l'esistenza. Marianna è amabile, anche quando subisce l'astio degli altri o la loro derisione. E' un personaggio luminoso nella sua purezza, nella sua innocenza, ma è pure decisa, ostinata, sa quel che vuole e combatte per riscattare la propia reputazione. Una donna che ha fatto innamorare un pò tutti, e che per versi sovrasta quasi gli altri personaggi della storia. Ma anche in questo, lo scrittore si accorge che il personaggio si ritaglia il suo spazio, lotta per vivere sulla pagina e nel cuore dei lettori. Anni fa mi accadde di dover abbandonare una storia perché il personaggio antagonista diventava più affascinante del protagonista, catturando per sé tutta l'attenzione. Sono cose che accadono coi libri, e con le storie che continuiamo a raccontarci. Grazie per i contributi, i giorni in esce un nuovo post sono per me molto emozionanti. E' come andare a vedere continuamente cosa bolle in pentola, e quale nuovo lettore si è affacciato per salutarti. Grazie a tutti, amici. E buona continuazione...
Grazie pur a te Maria Rita, col tuo intervento hai fatto rivivere il libro. Un abbraccio, a prestissimo...
P.S.
al rigo 9 correggo "Tripartitico" con "tripartito".
Non è il caso, infatti, di parlare di partiti.
Maria Rita Pennisi
Divertente... Baci...
Caro Luigi, sto per andare a dormire, ma non posso prendere sonno se non guardo verso il faro, almeno un'altra volta.
Buonanotte.
Maria Rita Pennisi
maria rita carissima, grazie per le belle parole. sono quelle che ogni scrittore sogna di sentirsi dire. parli di controllo della materia. mi offri così l'occasione per affermare che nella stesura di un romanzo il controllo è tutto. mi fa ridere chi afferma di scrivere di getto. è vero che simenon impiegava soltanto una decina di giorni (beato lui) per scrivere un romanzo, ma perfino lui dava molta importanza al lavoro di revisione. mai perdere la lucidità mentre scrivi: il libro è un'anguilla che le tenta tutte per scivolarti di mano. quando scrivevo "l'imbroglio nel lenzuolo", non perdevo mai di vista che il racconto doveva fluire senza mai rallentare il ritmo. ogni pagina è stata scritta una trentina di volte (e ne fa fede il dolore alla spalla sinistra che spesso torna ad assalirmi): ho analizzato i tre protagonisti in ogni sfumatura del carattere per decidere che cosa era verosimile che facessero e che cosa non avrebbero mai potuto fare. sono tre progettuali, ciascuno a suo modo, ma quale dei loro progetti potevo far andare in porto? il film "la casta susanna" doveva essere proiettato al pubblico, ovviamente, per portare federico al successo e marianna alla rovina. la tormentata relazione fra federico e beatrice era un'altra meta da raggiungere, ma sarebbe stato verosimile per una signora di quasi 40 anni perdonare un ragazzo di 25 per tornare a gettarsi fra le sue braccia? ecco le domande che mi ponevo. ed era verosimile che la frivola beatrice minacciasse di dar scandalo se le autorità non avessero rilasciato il povero giocondo? perchè no, mi sono risposto, in fondo è una che ha sempre amato dare scandalo. e fino a che punto marianna doveva capire che federico le aveva rubato l'anima con la cinepresa, esattamente come la macchina fotografica tenta di fare con gli aborigeni che le si negano spaventati? non potevo certo farne un'esperta di cinema, e allora che cosa potevo lasciarle capire? per sette anni mi sono chiesto come aiutarla a venir fuori dai suoi guai senza però sconfinare nell'inverosimile. l'ho visualizzata davanti allo schermo su cui si bagna la sua sosia: il resto è venuto da sè. e come potevo mettere in piedi senza stridori il trucchetto che fa ritenere perfino al lettore che giocondo sia muto? la risposta a queste domande ha determinato la struttura del libro. sapevo che marianna e il suo giocondo avrebbero guadagnato le simpatie dei più: sono innocenti, calpestati, onesti. sapevo che li avrebbero amati anche quelli che non riconoscono di somigliare più a federico e a beatrice. chi di noi è marianna? nessuno, in verità. quel tipo di candore non esiste più: è stato macinato nel corso di questi ultimi cento anni. marianna vive per vivere, beatrice e federico vivono per rappresentare (e rappresentarsi). preannunciano i nostri tempi. miei cari lettori, voi siete federico e beatrice. come loro, siete creativi. come loro, cercate la forma più adeguata per esprimere la vostra sete di bellezza. come loro, siete rapiti dal fascino di marianna, dalla sua astuzia, dalla sua forza. a voi capiterà di piangere perchè qualcuno avrà riso dei vostri scritti (come accade a beatrice) oppure che vostra madre v'imponga un mestiere che non amate (come accade a federico), suderete sangue sulle vostre pagine, passerete le notti a scrivere. e alla fine riuscirete. riuscirete quando l'ambizione parossistica sarà temperata dall'umiltà, quando l'ansia di giudicare cederà il passo al piacere di raccontare, quando la rabbia sfumerà nella pazienza, quando la furia diventerà applicazione, quando non farete un dramma se il cartolaio sotto casa vi dirà che ha faticato troppo a leggervi. riuscirete quando, dopo aver pubblicato il primo libro, direte a voi stessi: "farò di meglio con il secondo...". grazie, maria rita, e grazie a tutti per l'attenzione, francesco costa
Cari Maria Rita e Francesco, per questa seconda giornata di navigazione, il custode del Faro vi manda un abbraccio. Buonanotte... A domani...
Comincio dalla fine. "Riuscirete quando, finito il primo libro, direte farò di meglio con il secondo"
Solo tu e pochi altri,mio caro francesco, potete capire quanto queste parole mi siano di conforto in questo momento delicato della mia scrittura.
Ma intervengo più che altro per parlare di impegno politico.
E non riesco a stare nè dalla parte di francesco nè di luigi. O per meglio dire sto da tutte e due le parti.
Capisco francesco. Sono un'insegnante oltre che una sedicente scrittrice e so quanto sia importante seminare con la propria arte con le proprie parole e con le proprie stesse azioni, quei germi che poi diventeranno germogli e forse piante.
E' quello che noi insegnanti (tutti indistintamente - poi ovviamente le mele marce ci sono ovunque) facciamo giornalmente. Nonostante quello che forse l'opinione pubblica è portata a credere, nonostante le continue vessazioni che subiamo dall'alto e dal basso.
Nonostante spesso ci scontriamo con l'immobilismo, o peggio, delle famiglie.
E' difficile lavorare nelle nostre condizioni soprattutto perchè i nostri frutti eventuali hanno una maturazione lunghissima, così lunga a volte, da non riuscire nemmeno a percepirla.
Fare onestamente e con passione il proprio lavoro, diffondere le idee in cui crediamo è già impegno politico.
E ovviamente non parlo solo degli insegnanti.
Certe volte faccio dei pensieri ingenui. Mi dico, se tutti gli automobilista mantenessero una velocità moderata e rispettassero le distanze tra veicoli, gli unici incidenti possibili sarebbero quelli dovuti all'imponderabile. Ecco, se ogni lavoratore, se ogni genitore, se ogni maestro se ogni artista impegnasse se stesso nella propria realizzazione certamente, senza per questo contrastare la realizzazione altrui....
Per contro anche Luigi mi trova d'accordo. Ci sono periodi di emergenza in cui tutto questo non basta più. Per restare in tema stradale, se l'onda verde è passata e ci troviamo solo semafori rossi, allora qualcosa va fatta. Dobbiamo cambiare velocità.
Siamo alle "invasioni barbariche" come il titolo di quel bellissimo film che francesco ha sicuramente visto. Bisogna scendere in piazza, prendere le redini di un impegno politico individuale proprio perchè nulla possiamo più aspettarci dalla classe dirigente (e intendo quella "illuminata")
Per quanto poi riguarda episodi tipo "inneggiamo alla morte di raimondo vianello perchè era della scuderia mediaset", scusatemi ma non ho voglia di poggiare i miei pensieri, in questa mattina di sabato, su una cosa tanto assurda.
Buona giornata a tutti e un saluto a tutti gli amici romani catanesi e siracusani
Cara Mavie, rispondo al rientro. Devo scappare a lezione e ne avrò per tutto il giorno. Devo seguire i giovani amici che costruiscono i loro sogni di parole. Condivido. Siamo in tempi barbari, e ci vuole un impegno maggiore che solo quello artistico o letterario. Ma sono pure fiducioso: ho ripreso in mano GUERRA E PACE di Tolstoj, proprio in risposta a questi tempi odiosi. Sono all'innamoramento di Pierre per la figlia del principe Vassilij. Capolavoro di inenarrabile bellezza. Con queste note letterarie mando un saluto caro a Francesco e a tutti i naviganti che s'avvicinano al mio piccolo Faro. Buona giornata a tutti, a più tardi...
e allora scendiamo in piazza, mavie carissima, se è davvero necessario, perchè ritrovarsi fra affini è sempre una cosa che rincuora, ma lasciatemi per carità il tempo necessario a scrivere, per prima cosa perchè scrivere e vivere sono per me strettamente congiunti, e per seconda cosa perchè niente di quel che ho da dire posso dirlo meglio che con la scrittura. e sono lieto che condividi la voglia di far sempre meglio, di romanzo in romanzo, in una continua rincorsa del libro perfetto, quello che metterà d'accordo te e i lettori, i critici e gli editori, i parenti e il cartolaio sotto casa, ma lo scriveremo mai? baci a tutti e buon sabato, francesco costa
Le promesse si mantengono ed allora ecco cosa ne penso del libro di Francesco...
Già dalle prime battute si resta stregati dalla musicalità di questo libro che non è solo il suono proveniente dai triccaballacco o dai putipù, ma è quella delle parole. Parole che raccontano danzando tra le righe, fitte ed incalzanti, di rado interrotte da punti, come per guidare in una tarantella.
Così ci si ritrova a camminare per le strade di una Napoli agli albori del 1900 e sembra quasi di sentire lo schiamazzo dei guaglioni, il gorgoglio delle loro pance vuote in cui le budella si aggrovigliano per la fame, le discussioni degli uomini ad un tono di voce così alto da sembrare litigi, lo sferragliare dei tram.
Si annusano gli odori:l'incenso dell'omino intento a riti scaramantici, quello del rum di Orlando Bory, il sudore di Elisa de Valory, la fragranza dei ciclamini.
Lo sguardo spazia tra i colori: l'oro fluttuante e maledetto dei campi a mezzogiorno, il rosso dei papaveri, il verde della suicida Mabel, il viola delle arroganti campanule, ma soprattutto sul magico, policromo, fascio di luce proiettato sul lenzuolo. Il prodigio che dà vita ad altra vita.
Libro che satura i sensi completamente ma che non si limita all'aspetto epidermico della sensualità, sondando attraverso l'interiorità dei suoi personaggi, il tortuoso intreccio che compone e scompone la psiche umana.
Federico, Marianna e Beatrice che si alternano capitolo dopo capitolo, in un suggestivo ed astuto gioco di equilibrismo, ci regalano passioni, verità, pulsioni, spesso ineffabili per noi, quando li proviamo, e che ritroviamo descritti con una precisione da lasciare quasi sgomenti.
Fa da corollario ai tre protagonisti una vera folla: Angela, Giocondo, David, Marcello, Carla, Alma, Virginia e tanti altri, tutti funzionali nel caratterizzare ed esaltare le loro personalità e, al contempo, tutti esaustivi e completi.
La trama in apparenza semplice, cela realtà complesse che si svelano tramite gli accadimenti, ma non solo, poichè l'azione è sempre mediata da un sentire completamente diverso in ciascuno degli attori principali.
C'è così l'ambizioso Federico, disposto a passare su tutto e tutti, pur di concretizzare il sogno di diventare sceneggiatore o, più verosimilmente di riscattarsi da un anonimato che lo annichilisce.
L'ingenua e pervicace Marianna, vittima inconsapevole dello stesso Federico, ignorante ed intrisa di antica ed autentica saggezza popolare e il suo alter ego, Beatrice, che rappresenta la spaccatura profonda in cui si divide un'Italia fintamente unita.
Se da una parte infatti, Marianna e in misura minore Federico, per vivere sono maestri nell'industriarsi in quella famosa " arte di arrangiarsi ed improvvisare" tutta partenopea, l'eterea Beatrice è la donna del nord, abituata ad un opulento benessere che tuttavia la rende preda di mutevoli sbalzi di umore e perennemente irrequieta.
Equazione quest'ultima, che soddisfa in pieno la locuzione secondo la quale quando i bisogni primari vengono appagati, emergono le discrasie dell'anima.
Ma la scissione s'insinua ancora più profondamente nella percezione della vita stessa. Per Marianna la vita è una ruota che gira e guai quando va all'incontrario, mentre per la logorroica Beatrice è tutt'altra storia.
L'ineluttabilità tutta meridionale del destino, contro l'operativa manipolazione nordica.
C'è l'amore inteso come salvezza e naufragio( metaforicamente raffigurato dall'annegamento di Mabel), amore che amaramente assurge alle più alte vette quando non ha bisogno di parole o di chiedere e chiedere ancora, come ossessivamente crede l'anaffettivo Federico.
E anche qui si legge la separazione che definisce il genere maschile, dal femminile.
C'è il peso grave dei condizionamenti genitoriali e il dibattimento che genera in ogni figlio nel tentativo di affrancarsene e acquisire autonomia.
Infine c'è la tematica del "doppio" che costituisce l'impalcatura su cui il romanzo fonda le sue solide basi.
E questo doppio è l'inganno, " l'imbroglio nel lenzuolo", per l'appunto.
Marianna è dunque l'ingenua ed ignara orfana che si adopera in mille modi per sfamare se stessa e la sorella Celestina o, piuttosto la seducente ninfa che s'immerge nuda nelle acque dell'Averno?
La risposta dipende dai punti di vista e mai più di oggi simile tematica può essere calata ai tempi nostri dove l'apparire ha sostituito e soppiantato a forza, l'essere.
Un libro bell'assai davero!
Consuelo
consuelo cara, mi lasci senza parole. il tuo pezzo su "l'imbroglio nel lenzuolo" è splendido. ti ringrazio. sapevo che ti avrebbe turbata l'eterno antagonismo fra il maschile e il femminile: in fondo, pur con le innumerevoli differenze che le separano (età, condizione sociale, livello culturale), marianna e beatrice sono più affini fra loro di quanto mai lo sarebbero con federico, e si deve all'iniziativa della dama torinese se alla fine il gigante buono, giocondo gaudio, torna a casa dalla sua ragazza. non strapazzatemi troppo federico, però, che è un ragazzo pieno di vita e di sogni, di frustrazioni e di speranze, e nel quale ognuno di noi può trovare qualcosa di sè. perdoniamolo. io sapevo che meritava un castigo per i guai che causa a marianna, ma mi pare che una sassata in fronte basti e avanzi. amatelo questo ragazzo, ve ne prego, perchè non è un mascalzone! E' uno di noi, e so quel che dico. scagli verso di lui la prima pietra (la seconda, anzi, visto che la prima l'ha lanciata marianna) chi è in grado di giurare che non farà mai in futuro i suoi errori. consuelo, ancora grazie. stamperò le tue parole e quelle di maria lucia e quelle di tutti gli altri, e le conserverò per poterle rileggere in futuro. sono contento di poter verificare grazie a voi che un libro scritto tredici anni sprigiona ancora tanta forza. suggestionare con l'estatica descrizione della natura vulcanica dei campi flegrei, e con la bellezza (anche fisica) dei tre personaggi principali, era il mio scopo. voi mi fate credere di averlo raggiunto. grazie, francesco costa
Caro Francesco
mi scuso per non essere intervenuto prima perché non ho ancora letto "L'imbroglio...". Maria Rita lo ha fagocitato. E a mala pena mi ha fatto sbirciare l’accattivante copertina. Non potevo, però, mancare alla tua festa e allora eccomi qui, anche se il dover scrivere in un blog mi fa rasentare l’afasia.
Io credo che tu sia un narratore naturale, un natural born writer.
Sei nato per raccontare, per trasformare la vita in strutture narrative, e lo fai anche quando amabilmente conversi, con il tuo consueto tono leggero e delizioso ed il tuo inconfondibile sorriso nel quale si condensano e si declinano le molteplici sfumature della tua sensibilità.
Orazio Caruso
Cara Consuelo, la tua scrittura è magnifica, una vera e propria recensione. Quindi, scopro, sei anche un buon critico letterario, oltre che una brava scrittrice. Bene, ne sono felice. E mi fa piacere notare che da tre giorni il mio Faro non si è fermato un'ora. Di continuo, le vostre lettere si sono sommate, incrociate, scambiate, hanno dato forma e vita alla riflessione sul libro di Francesco Costa. Grazie di cuore per il tuo intervento. Ormai sei una delle colonne portanti del Faro. Ci vediamo tutti tra qualche giorno, e poi giorno 2 ad Augusta, nel nome della nostra grande Virginia. Grazie ancora e a presto, un caro abbraccio...
Orazio caro, mancavi solo tu dalle voci del faro, e stasera ti leggo, con vivo piacere. Grazie davvero, è un gioia vedere con quanto calore e passione state partecipando alla discussione collettiva sul romanzo di Francesco Costa. Lui è davvero soddisfatto della ricchezza degli interventi e dell'amicizia che sta ricevendo. E' così che bisogna leggere i libri, entrandoci dentro, scendendo fin dentro le viscere e raccogliendone gli umori più intimi. Attendo di leggere ancora e ancora, perché questa discussione non vuole davvero avere fine. Buonanotte dal faro: stanotte sul cielo di Roma brillano splendide stelle...
orazio caro, ti ringrazio per le parole affettuose, ma attendo che tu legga il libro per sentirtele confermare e spero di non beccarmi invece fra capo e collo il colpo di mannaia dei lettori delusi. a rosalia dico che non l'avevo collegata con la lia che ho conosciuto a trastevere. ricordi che abbiamo cenato insieme? quanto calore mi hanno dato i tuoi apprezzamenti a questo romanzo che ha visto la luce ormai tredici anni fa. grazie di cuore e a presto, francesco costa
Complimenti Luigi. Il Tuo blog è davvero interessante. Ho letto con piacere la recensione relativa al libro di Francesco Costa. Descrivi molto bene la natura e il contenuto del romanzo, invitando il potenziale lettore a procedere nella via della lettura. Il blog è diretto, chiaro, senza percorsi più o meno illogici. Si riesce, in qualche modo, in punta di piedi, anche a navigare nel complesso mondo dell'editoria. Ho trovato interessante l'intervista a Francesco Costa ed in particolare i consigli agli autori emergenti. Io ho 44 anni ed ho letto molti libri. Nelle parole di Francesco ho trovato conferme che ho spesso elaborato nei miei pensieri. Oggi esistono poche grandi case editrice che, di fatto, controllano l'intero mercato. Molto spesso si pubblicano i libri perche devono vendere ed allora è bene che il libro venga scritto da un calciatore, da una velina o da un attore. Poi ci sono le "tante" piccole case editrici che spesso pubblicano libri ben scritti e veramente interessanti (chiedendo, magari, un contributo economico anche all'autore). Per assurdo (ma questo accade spesso) i libri più belli sono quelli meno noti e meno diffusi. Cambierà qualcosa? Speriamo. Un saluto Luigi e a presto.
Stefano carissimo, grazie delle belle cose che scrivi sul blog e su Francesco. Benvenuto al Faro, spero che tu possa trovarti bene. Condivido pienamente quello che scrivi in merito all'editoria: sempre più sono le piccole case a fare il vero lavoro di scouting sugli autori, sebbene bisogna stare lontano da quelle a pagamento. Anche piccole va bene, ma mai pagare per veder pubblicate le proprie cose. In quel caso un editore non ha alcun interesse a promuovere quello che stampa e diventa troppo umiliante per uno scrittore doversi ricomprare le proprie copie, lasciandole poi a marcire su qualche mensola di casa. Un editore prepagato ha già avuto "precocemente" il suo incasso, e non spingerà mai in alcun modo un libro nato sotto simili premesse. In merito alle difficoltà di venir fuori dal guado io aggiungerei: gli scrittori ce la fanno comunque, a dispetto di tutti e tutto, anche della vita stessa talvolta. Non credo che scrivere sotto Nerone dovesse essere molto più agevole rispetto ai giorni nostri. E che dire degli anni bui in cui Roma era assediata dal sacco e diventava impossibile anche solo scendere per le strade? Eppure, la letteratura continuava a vivere anche allora, ed è giunta a noi, come un miracolo. Gli scrittori hanno scritto sempre, comunque, nonostante le tragedie collettive o individuali del mondo: dal carcere (Gramsci, Pellico), dal confino (Pavese, Moravia, Levi), dal manicomo (Merini, Frame, Woolf), allontanando col pensiero del bello l'orrore del lager (Frank, Nemirovsky), viaggiando per il mondo (Verne, Hoffmann, Goethe) o senza mai allontanarsi dal chiuso asfittico di una stanza (Dickinson, Leopardi, Proust, Zola) - ciascuno a proprio modo hanno contribuito tutti a rendere più bello e più ricco l'universo della storia letteraria di ogni tempo. E' questo che deve rassicurarci, consentendoci di andare avanti anche in epoche di disvalore e di oscurantismo come quella che stiamo attraversando. Io sono molto fiducioso nello spirito della letteratura e dell'arte, questo fiume prodigioso che passando attraverso letti spinosi riesce comunque ad alimentare il fondamento della vita e del pensiero. La bellezza è inossidabile, e finirà col salvarci tutti, per dirla con Dostoevsky. Carissimo Stefano, se mi lasci la tua email, ti inserisco nelle liste dei miei contatti e sarai avvertito a ogni nuova uscita del blog. Spero di rileggerti presto, e grazie ancora.
Una buona domenica a tutti gli amici del blog.
e buona domenica a te, teresa g., a tutti gli altri amici, compreso stefano carnicelli che sembra amare così tanto i libbri. sei scrittore, stefano? puoi dirci qualcosa di te? buona domenica a tutti, dal povero francesco costa, che oggi batte ripetutamente la testa al muro perchè c'è un colpo di scena nel libro che al momento gli sta succhiando il sangue, "il diavolo balla il tango", che gli pare forzato, artificioso, prematuro e per ora non si sa come venirne fuori. divertitevi voi che potete! sono sempre, è ovvio, francesco costa e vi saluto ancora
oddìo, mi è uscito libbri con due'b'! me lo merito di dare la testa al muro, e non solo per oggi. ri-ciao, f. costa
Bravissimo Luigi... il tuo blog viaggia per l'oceano della rete con una bella barchetta di commenti!
Un caro saluto a tutti i lettori e commentatori, amici e semplici passanti che si incrociano verso il faro...
Francesco, grazie a te. Della tua amicizia, della tua capacità generosa di sdrammatizzare e incoraggiare, della tua scrittura lieve e profonda al tempo stesso.
Maria Lucia
Luigi ciao. Ti segnalo il mio indirizzo mail così potrò essere aggiornato sulle uscite del blog >>> "stefano.carnicelli@libero.it". Intanto vado avanti con il mio romanzo e con il mio progetto editoriale. Si chiama "Il cielo capovolto" e lo sta seguendo Prospettiva Editrice" di Andrea Giannasi. Speriamo bene. Un abbraccio e a presto.
cara maria lucia, sdrammatizzare è necessario. in qquest'arte sono un inimitabile maestro, ma non credere che la cosa sia stata sempre apprezzata. chi vive di drammi, non ama vedersi sciupare le scene madri da un sorriso e dalla proposta di rimboccarsi le maniche per cambiare le situazioni. perfino in famiglia mi hanno rimproverato di non prendere abbastanza sul serio il dolore altrui. non ero compreso. hai presente il personaggio di alma in "l'imbroglio nel lenzuolo"? ecco un perfetto esempio di come si può vivere tutta la vita a contrastare il modo di sentire altrui. per fortuna mi ha capito tu, e anche altri. sdrammatizzare è una panacea. ti invio abbracci e baci, francesco costa
Storie, mito, sogno...è sempre emozionante leggere le righe che ci lasci! Trovo splendido quello che hai scritto, quello che tu e Francesco ci avete raccontato, in questo spazio tra la magia e la realtà che sa stupirci sempre..se fosse così tutta la letteratura, se davvero tutti inseguissimo i nostri sogni e scrivessimo semplicemente per amore di farlo, questo sarebbe un mondo migliore..e auguro a tutti noi, artisti e sognatori di riuscire a ricrearlo sempre quel mondo che sa renderci belli dentro..!Complimenti a te, mio caro maestro e un grazie speciale a Francesco, in attesa di leggerlo ancora!
Carissimi amici di Verso il faro,
vi saluto tutti in un unico abbraccio.
Io sto correggendo ben 29 compiti di italiano e non ne posso più. Meno male che c'è il faro.
Un abbraccio particolare a Luigi e Francesco
Ringrazio Francesco e Luigi per le belle parole che hanno avuto nei miei riguardi. Una cosa soltanto: non credo proprio che Francesco sia il tipo da rimanere senza parole. Sbaglio?
Sono consapevole di aver strapazzato Federico definendolo anafettivo, ma se non l'avessi fatto avrei sconfessato l'atavico antagonismo che separa il genere femminile dal maschile.
Un libro è un viaggio in tutti i sensi sia perchè ti trasporta con la fantasia in luoghi sconosciuti, sia perchè ti aiuta a conoscere meglio te stesso e gli altri. E da questo punto di vista con il libro di Francesco ho viaggiato in prima classe.
Un saluto affettuoso a tutti gli amici del faro e in particolar modo a Maria Rita che ha avuto la sensibilità e l'intuito di condurmi in un mondo che amo tanto.
Consuelo
effettivamente è difficile, cara consuelo, che io resti senza parole, ma da che cosa lo hai indovinato? dai miei fluviali interventi su questo blog? grazie, intanto, per quel viaggio in prima classe che dici di aver fatto con il mio romanzo, e grazie ancora per l'indulgenza che alla fine hai per il povero federico. non è cattivo, povero ragazzo, e nel film è pure carino (lo impersona primo reggiani che è un moretto dai denti bianchissimi): abbiate comprensione per lui! alla feltrinelli di largo argentina (roma) il libro si è rapidamente esaurito: è merito di questo blog? mi piace pensarlo e augurare a consuelo una bella serata. alla prossima, francesco
Ciao Francesco. Io vivo a L'Aquila ed amo leggere (e non solo). Qualche volta, intervengo con lettere sul quotidiano Il Centro d'Abruzzo. Ho scritto, spontaneamente, qualche recensione per alcuni romanzi. Il mio progetto editoriale, il mio romanzo (io dico, il mio sogno) è nato quasi per caso. Ho iniziato a scrivere per gioco e poi il mio racconto ha preso pian piano corpo e sostanza. Ho ultimato il romanzo ad inizio 2009 e stavo preparandomi per concludere il mio progetto editoriale. Poi a L'Aquila, purtroppo, la terra tremò e la vita di ieri, in qualche modo, è stata stravolta. Nel 2010 sono ripartito con il mio sogno e conto di portarlo avanti anche se non conosco il mondo dell'editoria. Il mio lavoro lo sta seguendo Prospettiva Editrice di Andrea Giannasi e dovrebbe essere pubblicato entro qualche mese. Speriamo bene. Tu, piuttosto, che conosci il mondo editoriale, potresti darmi utili consigli. Ne sarei felice. Un saluto e a presto.
Carissimi Amici, un saluto veloce prima di mettermi a dormire. Sono abbastanza stravolto: arrivato solo stamani all'alba in Sicilia, e domattina dovrò già essere a Catania, prestissimo. Grazie a Consuelo, per le belle emozioni che ci hanno regalato le sue parole. Il tuo viaggio è il nostro, sempre in prima classe. Mia carissima Elisa, sognare è il primo messaggio che voglio lasciarvi. Se dovessi sparire domani, mi piacerebbe che dietro di me vi fosse questo semplice insegnamento o messaggio: quello di un uomo che ha sempre camminato sul perimetro dei propri sogni. Non smettete mai di sognare, per favore, e non smettete mai di scrivere. E' questo un metodo per la felicità. Maria Rita cara, buon lavoro ai tuoi compiti, immagino quanto saranno faticosi. Sono però il frutto di un impegno, e col tuo affetto e il tuo talento saprai valutarli al meglio. Mi commuovi quando scrivi: meno male che c'è il Faro. Stefano caro, sei ormai una presenza del blog e ci regali la tua esperienza, la tua passione, come si fa tra le persone che si conoscono e si stimano da tanto tempo. Grazie davvero di cuore. Se questo blog ha una forza è solo perché siete voi a conferirgliela, con le vostre lettere, il vostro impegno, la vostra costanza. Spero che il tuo progetto trovi una sua strada, e che possa ottenere il successo che merita. Accadrà, perché ti vedo deciso, pieno di grinta e di coraggio. Quelli necessari a farcela. Scrivimi spesso, attendo di leggerti ancora. Amici, un saluto a tutti, cercherò di collegarmi nei prossimi giorni, per questa discussione che sembra non aver fine. Che meraviglia. Vi adoro...
caro stefano carnicelli, apprendere che vivi a L'Aquila mi fa immaginare lo spavento che devi aver provato quella terribile notte. pensa, il terremoto mi ha svegliato perchè il mio letto è stato spostato con violenza verso la finestra. e dormivo nel mio appartamentino di trastevere: figuriamoci che inferno c'è stato lassù, da voi, con tutti quei morti e le case che crollavano. voglio esprimerti tutta la mia solidarietà. mi chiedi consigli sul modo di procedere nell'ambiente editoriale. quando avrai pubblicato il tuo primo libro, dovresti usarlo come biglietto da visita per convincere un agente a prendersi cura di te. direi che avere un agente è fondamentale in un mercato decisamente sovraffollato. e per quel che riguarda personalmente te, ti suggerirei di non smettere mai di scrivere (anche per tenerti in allenamento) e naturalmente di leggere. prendi esempio da luigi la rosa che legge praticamente di continuo e s'innamora degli scrittori più disparati. al momento so che ha una cotta per stefan zweig, quello di "lettera da una sconosciuta" e di "bruciante segreto", e autore anche di una biografia di maria antonietta. morto suicida negli anni quaranta in brasile. ogni scrittore ti introduce in un suo mondo, ti narra in filigrana, attraverso le sue trame, le passioni e i drammi, le gioie e le avventure che hanno contrassegnato la sua vita. anch'io leggo tantissimo. sono anzi entrato nella fase della vita in cui soprattutto rileggo. leggere un libro per l'ennesima volta apre spazi insospettati fra le righe di ogni pagina, e ti permette di cogliere dettagli e sapori che alla prima lettura ti erano sfuggiti. ciao e a presto, francesco costa
Caro Francesco, certo che mi ricordo di quella serata aTrastevere! Abbiamo parlato anche di cinema, di film che ci piacevano.
Ho finito di leggere "L'imbroglio nel lenzuolo", mi è piaciuta molto l'immagine di Beatrice con un remo solo, spezzato per giunta, metafora di molte navigazioni difficili, o forse semplicemente del nostro faticoso, imperfetto, e però irrinunciabile e affascinante percorso fra le mille sfide quotidiane.
Arrivederci ad Augusta!
rosalia
cara rosalia, quella scena di beatrice intrappolata in una barca insieme a federico, lui ferito al volto e lei in possesso di un unico remo, e pure spezzato, era il modo più affettuoso che mi sono potuto immaginare per congedare il lettore da due personaggi che hanno combinato mille disastri, ma alla fine (sia pur molto acciaccati) guardano in faccia il futuro a occhi aperti e con la coscienza di esser stati se stessi fino in fondo: sono i "creativi" della storia, quelli che si sono prefissi di "rappresentare" dal di fuori la realtà, e invece vi affogano di continuo con questa loro incapacità di sormontare passioni e disinganni. marianna è tornata alla terra, loro torneranno a cercarsi e a sfuggirsi, ma con il vantaggio di conoscersi un po' meglio. grazie per le tue osservazioni così puntuali. ad augusta, allora, francesco costa
Grazie Francesco, grazie Luigi per gli utili consigli e per il coraggio che emerge dalle Vostre parole. In quella terribile notte del 6/4/2009 ero nella mia casa a L'Aquila. Con me, la mia famiglia (mia moglie Cinzia, i nostri figli Francesco ed Ilaria, mia madre). Tremava tutto paurosamente e furiosamente, insieme a boati e rumori sovrumani. Fortunatamente nessuno di noi è rimasto ferito anche se, purtroppo, 308 persone non ci sono più e qualcuno lo conoscevo anche bene. Mi sento di condividere con Voi e con i frequentatori del blog, una mia testimonianza che ho scritto, qualche giorno dopo il sisma, per il quotidiano Il Centro d'Abruzzo >>>>> 30 secondi
Appena trenta secondi; il tempo necessario per distruggere e stravolgere i destini e le vite di un’intera popolazione. Solamente trenta brevi, insignificanti, marginali, terribili e fatali secondi. Purtroppo è arrivato anche questo tempo. Un tempo che nessuno mai avrebbe voluto vivere ma che fatalmente, quasi inaspettatamente, è arrivato; un terrificante appuntamento con un destino crudele molto più grande e forte di tutti noi messi insieme. E’ un tempo di morte, di distruzione, di annullamento; è un tempo spietato e cattivo.
Hai appena trascorso la tua giornata di festa in allegria: il pranzo della domenica, la camminata con gli amici, il gelato e poi, per gli amanti del calcio, il posticipo serale. Sono le 22,40 di domenica 5 aprile ed arriva la solita scossa che ormai, da diverse settimane, tiene compagnia alla tua città. E’ una scossa lieve ma decisa e si fa sentire. Lo chiamano “sciame sismico”: una sorta di rilascio graduale di energia attraverso il quale la crosta terrestre mette a posto le sue faglie. Dicono che questo sciame favorirà una sistemazione indolore degli strati di terreno ed allora hai imparato a conviverci anche se alcune scosse hanno già raggiunto il quarto grado della scala della morte. Finalmente riacquisti la tua serenità e sei a letto quando una nuova scossa arriva quasi a volerti dare la buona notte. Sono quasi le due di notte ed anche questo sussulto si fa inevitabilmente sentire; ti sveglia e ti agita ma pensi, sulla scorta dei pareri autorevoli degli esperti, che è il solito scossone. Decidi, così, di restare nel tuo letto sotto il calore delle coperte. Arrivano le tre e trentadue e questa volta ti svegli all’improvviso... segue
... segue ... Questa volta non è la solita scossa: c’è un terribile boato che accompagna questo nuovo movimento della terra. La scala della morte segna 5,8. E’ un rimbombo spaventoso e terrificante che entra dentro il tuo corpo ed ancor più nella tua anima, mentre la terra trema e sussulta sempre di più. Sei nel tuo letto mentre questo tempo cattivo che non doveva arrivare non passa mai. Sono solo trenta secondi ma diventano interminabili; una sorta di tempo immobile anche se tremante. In questi attimi non sai cosa fare; riesci a pensare a tutto e a niente, riesci a ripercorrere la tua vita in un istante e percepisci, ora più che mai, l’inutilità della tua esistenza davanti al terribile destino che stai vivendo. Pensi ai tuoi cari, cercando invano l’inutile sistema per poterli proteggere. E la terra trema, continua a tremare sempre di più accompagnata dal boato che si palesa, nelle orecchie, come musica di morte. Inutilmente cerchi di reagire e così allunghi il braccio per accendere una luce che in quel momento, fatalmente, non c’è. Resti al buio, disorientato dal frastuono e dalla violenza della natura sotterranea che sta sferrando il suo attacco finale; è l’apice, il culmine di uno sciame sismico annunciato e, con leggerezza, ignorato dai presunti esperti. Pensi a questo interminabile tempo cattivo che non passa mai. In un momento di lucidità, focalizzi che il tuo letto è sotto una trave come anche i letti (a castello) della camera dei bambini e quello della camera di tua madre. Con un ultimo gesto disperato abbracci con forza tua moglie: un vano tentativo di proteggere una persona che ami. Qualcosa ti sta cadendo addosso ma non riesci a capire cosa possa essere; in un secondo momento capirai che sono i tuoi amati libri caduti dalle mensole che si trovano vicino al tuo letto. Mentre passano questi interminabili secondi, nuovi rumori accompagnano il frastuono del terremoto. Sono i rumori delle tue cose che cadono e fuoriescono da mensole e mobili. Su tutti, l’inquietante rumore della tua casa che lotta disperatamente contro un male annunciato che sale dalle viscere della terra. E’ un rumore di pareti che si spaccano e di strutture che flettono e s’incurvano. Senti la tua casa che urla furiosamente ma non vuole cedere al peggio e non vuole cadere... segue ...
... segue ... E’ lì ferma, decisa ed è pronta a proteggere i suoi abitanti; è disposta a morire pur di salvare le vite di chi, con amore, la vive quotidianamente da oltre quindici anni. E’ la tua casa a darti il coraggio di reagire. E’ come se,gettandosi nella fauci del mostro, vuole darti il tempo per metterti in salvo. Fortunatamente torna la luce mentre il terribile tremore va avanti. Scatti dal letto e vai nella camera dei bambini dove trovi tua figlia, di dodici anni, che urla e tuo figlio, di sette anni, che si è nascosto in silenzio sotto le coperte in un illusorio tentativo di trovare protezione. Mentre tua moglie prepara velocemente i bambini, corri verso la scala che porta nella camera di tua madre. In quel momento non cammini sul pavimento; sotto i tuoi piedi scalzi, le tute delle tue squadre di calcio scaraventate fuori dall’armadio da una forza invisibile, le custodie rotte dei tuoi amati c.d. caduti dalle mensole. Quando giungi presso la scala, chiami disperatamente tua madre. Non risponde ed allora urli ancora più forte …. MAMMA, MAMMA, MAMMA! Non potrà essere: hai già perso tuo padre due anni fa e sarebbe troppo ingiusto. Fortunatamente ti risponde; più tardi ti dirà che in quei terribili trenta secondi aveva un groppo in gola da non poter parlare. Grazie a Dio, all’appello non manca nessuno e la porta si apre per farti uscire insieme alla tua famiglia. Sono passati appena trenta terribili, distruttivi ed interminabili secondi. Percorri le scale che ti separano dall’aria della notte e quando arrivi al portoncino d’ingresso vedi che il tramezzo intorno all’ingresso è distrutto ma la porta comunque si apre. Sei in salvo insieme ai tuoi cari: la tua casa vi ha messo in salvo. E’ freddo con i pigiami e le ciabatte e recuperi subito la tua auto. I cellulari non funzionano e così decidi di recarti nei luoghi dove vivono i tuoi parenti per vedere se stanno bene. Quando arrivi in fondo alla strada noti che manca qualcosa e la via è interrotta. Manca l’ultima casa che non c’è più perché è caduta a terra sotto il peso del suo tetto. E’ terribile, ci sono anche i crolli. Cambi direzione e vaghi per tutta la notte alla ricerca dei tuoi cari e dei tuoi amici che, fortunatamente, sono tutti vivi.
Al mattino rientri a casa tua per recuperare un po’ di indumenti per te e per la tua famiglia. Vedi la tua casa ferita e colpita a morte ma non hai paura perché non potrebbe mai farti del male. Ha lottato fino allo stremo per proteggerti e per salvare vite umane. Resti impressionato ed hai le lacrime agli occhi. Ci sono ferite e danni ovunque: le pareti interne sono distrutte, la scala è sconnessa e trema mentre la percorri. Quando apri la porta, un misto di odori e profumi ti arrivano al naso: vengono dalle bottiglie rotte di genziana e nocino, dai profumi distrutti nel bagno, dalle bottiglie di pomodoro rotte sul pavimento che a fatica riesci a vedere sotto il cumulo di roba ed oggetti scaraventati, ovunque, su di esso. Ci sono danni importanti ma la tua casa ha resistito e, con orgoglio, ti ha salvato; probabilmente verrà abbattuta ma ha protetto fino alla morte i suoi abitanti... segue ...
... segue ... Ti rendi conto che il terremoto è cattivo, maligno, invincibile, fatale: in soli trenta secondi ha distrutto la vita di un’intera città inghiottendo mortalmente sotto le macerie oltre trecento persone. Ormai sono trascorsi più di quindici giorni da quella terribile notte ed ancora oggi, ogni notte, tra le tre e le quattro, ti svegli con il cuore che batte forte da sentirlo in modo inconfondibile in ogni parte del tuo corpo. Una sorta di appuntamento con il destino che ti agita incutendoti dubbi e paure. Fai fatica a riprendere sonno e spesso non ci riesci fino all’alba che arriva a darti pace e sollievo anche se, sfinito nel fisico e nell’amina, sai che devi alzarti. Senti che è dura per andare avanti ma in qualche modo riesci a raccontare questa triste storia mentre ad altre persone, più sfortunate di te, questo privilegio non è stato dato. E così vai avanti perché, come dice qualcuno, la vita è fatta di giorni ed ogni giorno deve essere sempre vissuto fino in fondo. Che Dio ci aiuti sempre.
ho letto e riletto la tua testimonianza, stefano, e non ho parole per un commento. bastano le tue: sono così vive, così impressionanti, forti da commentarsi da sole. ti abbraccio forte, francesco costa
Ciao a tutti, ero convinta di aver scritto ieri sul blog, ma controllando oggi mi sono accorta che il mio intervento mancava… mi sa che ho sbagliato qualcosa. Spero di riuscirci stavolta!
Intanto complimenti Luigi per questo splendido sito. Son felice per te perché so che ci tieni tanto, o meglio ci credi tanto. Riesci a trasmettere il tuo entusiasmo e l’amore per la scrittura a chi non ti conosce. Bravo prof.!
Per Francesco, ho letto i vari commenti sul tuo libro e li ho trovati molto interessanti. Ciascuno di noi ha sottolineato qualcosa di diverso che mi ha fatto riflettere. E’ proprio vero che ognuno la vede a modo suo, ma riguardo il cartolaio sotto casa tua, non sono d’accordo, e son contenta di avere lenito involontariamente questa ferita. L’imbroglio contiene 3 punti di vista, è vero, ma della stessa storia. Sarà che io amo i romanzi dove viene messo in evidenza il tema apparenza-realtà, e quindi mi piace il fatto che ognuno dei protagonisti dia un’opinione diversa, a volte opposta, dello stesso evento. Questo però non confonde, ma completa la visione d’insieme della storia e ci dà il privilegio di andare oltre ciò che appare per vedere più in profondità. Non lo trovo complicato, anzi molto lineare. Si vede, caro Francesco, che ci hai lavorato tanto e con una precisione incredibile. Sono d’accordo con te quando dici che non si può scrivere un libro con la sola ispirazione! Luigi sa quante volte abbiamo parlato dell’argomento. L’ispirazione è importante ma da sola non basta e rischia di essere dispersa se non c’è dietro una consapevolezza delle strutture narrative. La tecnica in effetti serve a esprimere al meglio la propria ispirazione. E qui entra in gioco il motivo per cui si scrive. Mi ha colpito molto ciò che hai detto a questo riguardo durante una delle presentazioni organizzate da Luigi. Quando ci si avvicina per la prima volta alla scrittura si tende a scrivere per se stessi perché si è in una fase di scoperta della scrittura e di sé. Capiamo cose che non conoscevamo di noi e abbiamo anche il desiderio di raccontarci. Il rischio però è di mettere nella pagina ispirazione, passione, rabbia (se n’è parlato sul blog), come sfogo personale e non legati veramente alla storia di cui scriviamo. La storia ne risente inevitabilmente. La fase successiva è quella di rendersi conto che si scrive per gli altri, per comunicare qualcosa, sennò sarebbe meglio scrivere un diario, non un racconto o un romanzo. Allora ispirazione, passione, rabbia e tutti i sentimenti che possiamo mettere sulla pagina, assumono un altro valore perché sono legati strettamente ai personaggi e alla storia che stiamo raccontando. Credo che questa sia una grande verità, soprattutto per chi vuole scrivere a livello professionale. (Spero di aver riportato esattamente il tuo pensiero, comunque questo è ciò che mi è rimasto impresso).
Ciao Stefano sono rimasta molto colpita dalla tua testimonianza e hai tutta la mia comprensione.
Un caro saluto a tutti Claudia Mereu
claudia carissima, neanche io avrei saputo esprimere con maggior precisione il mio pensiero sulla scrittura e sui diversi modi di intenderla nelle varie fasi della vita (e della carriera) che attraversiamo. su una cosa vedo che mi hai compreso pienamente: se vuoi fare della scrittura una professione, non puoi prescindere dal rapporto con il lettore. a quelli che sentono come una forma di prostituzione il tener conto della sensibilità (o anche del grado di comprensione) del lettore, io rispondo che prostituirsi è tutt'altra cosa: è svendersi, è ricalcare temi di moda nella speranza di sfondare, è banalizzare le proprie tematiche, è impoverire il proprio linguaggio. non è certo offrire al lettore un racconto nitido, chiaro, accessibile. e profondo. tutto questo senza un ferreo controllo della materia non è possibile. in quanto al cartolaio, ti sono grato di pensarla diversamente da lui: eppure, sai, anche la sua opinione non passerà invano. dentro di me ha comunque lasciato una traccia. in qualche modo ne terrò conto. "l'imbroglio nel lenzuolo" appartiene ancora alla fase in cui scrivevo per me: tre punti di vista, tre linguaggi, e pensavo: "che figata!!! i critici cadranno ai miei piedi!" è una fase che ho superato quando ho scritto "il dovere dell'ospitalità" in cui mi sono preoccupato per la prima volta di non superare un certo numero di pagine, di contaminare una materia scabrosa (il terrorismo in italia) con un approccio umoristico. da allora scrivo per gli altri. oggi so di possedere un linguaggio e una metrica che sono completamente miei: e posso attirare molti lettori perchè so universalizzare il mio mondo, e so esprimere le mie tematiche in modo chiaro e seducente. gli strumenti di lavoro sono accuratamente affilati: rimane solo da cercare di volta in volta la storia giusta, quella che può colpire maggiormente l'immaginazione del lettore. saper parlare agli altri è un traguardo imprescindibile per uno scrittore. chi lo nega, è destinato a sparire, a meno che non sia dotato di uno di quei talenti artistici folgoranti che di per sè sono leggibili ovunque. un abbraccio, amica cara, da francesco costa
Caro Stefano, da diversi giorni non leggevo il blog perché in giro per i miei tanti corsi di scrittura. Sono raggelato. Il tuo racconto è di un'intensità sconvolgente, e ha la forza della verità, quella che tocca il cuore, quella che segna una vita e un destino. Grazie di cuore della tua bellissima testimonianza, è stato importante leggerla su questo blog, lo ritengo un segno di generosità, di affetto, di amicizia. Sappi che sono ricambiati, e spero di leggerti ancora e spesso. Coraggio. Un abbraccio caro
Carissima Claudia, anche la tua è una testimoniaza. Bella, puntuale, impegnata, di quell'impegno che sempre mettiamo al primo posto quando parliamo di scrittura in termini professionali e di vocazione assoluta. La scrittura è essenzialmente questo, quando è affrontata con serietà. La scrittura è senso della misura, della disciplina, del rapporto con l'altro. E' etica del lavorare. E' ossessione, pensiero fisso, groviglio della mente da dipanare. So che tu sei una grande seguace di Francesco Costa e del suo pensiero, e che le sue parole ti sono sempre state di insegnamento. E questo mi riempie di gioia, confermandomi l'idea che è grazie a tutti voi che questo spazio virtuale (ma molto più vero, ricco e presente di tanti angusti spazi del reale) vive, pulsa, irradia la sua luce. Buon lavoro, cara Claudia, sono certo che tutti questi valori passeranno anche nella tua bella scrittura e che ci regalerai grandi cose. Abbi pazienza e forza di volontà. Quelle che non ti mancano certamente. E' questo l'augurio che ti faccio. Di cuore. Scrivi spesso e continua a regalarci le tue impressioni - così precise, così acute. Grazie. Ti abbraccio dalla Sicilia...
Carissimo Luigi, grazie per le tue parole che,come sempre mi incoraggiano ad andare avanti. Quello della scrittura è un percorso bellissimo ma richiede anche grande impegno e costanza. Non è sempre facile, ma dà grosse soddisfazioni. Un abbraccio, e a prestissimo Claudia Mereu
Carissimo Francesco,
intanto mi fa piacere aver saputo esprimere al meglio il tuo pensiero. E’ vero quello che dice Luigi, e cioè che mi sono sempre rimaste impresse le tue idee sulla scrittura e mi hanno aiutato a superare alcune difficoltà “sul campo”. Ho terminato il tuo romanzo ed è splendido. Sono state scritte tante cose su questo sito al riguardo, e non mi voglio ripetere. Però ho fatto alcune riflessioni sulla struttura e i personaggi che vorrei condividere con te e gli amici del blog.
Come sappiamo i protagonisti sono tre, e ognuno esprime il proprio punto di vista nella sezione a lui dedicata. I modi di vedere sono molto diversi tra loro, quindi se ne deduce che anche i protagonisti siano persone differenti. E questo è vero per certi aspetti, però credo che ci siano parecchie similitudini interessanti. Infatti sono convinta che uno degli aspetti più riusciti di questo romanzo sia proprio l’aver messo insieme tre protagonisti che condividano alcune caratteristiche principali e differiscano invece come carattere, pensiero, modo di reagire, lingua ecc. C’è un tema di fondo che li accomuna e altri che appartengono specificatamente a ognuno di loro. Ogni personaggio reagisce in modo diverso al medesimo problema, mostrando il rovescio della stessa medaglia. L’uno si completa e approfondisce attraverso l’altro formando una triade perfetta. Come fosse un protagonista unico. Mi spiego meglio.
Sia Federico che Beatrice sognano di riuscire a realizzarsi in campo artistico. Federico con “una” film e Beatrice con un romanzo. Marianna è una persona senza cultura che ovviamente non può avere le stesse aspirazioni. Però sogna di superare gli ostacoli per poter vivere serena. E questo tipo di aspirazione, per il suo mondo, è qualcosa di lontano, quasi un sogno. Infatti si fa spesso il bagno nel lago d’Averno per poter comunicare con la madre, nella speranza che grazie alla sua intercessione la ruota giri finalmente per il verso giusto. Le speranze di Marianna non sono tese verso la sfera razionale, ma verso quella irrazionale, così come lo sono quelle di Federico e Beatrice. Importante notare che tutti e tre raggiungono il loro “obiettivo” alla fine del libro. Non lo raggiungono da soli, ma attraverso l’altro. Senza Marianna, Federico non avrebbe potuto realizzare “La casta Susanna”; Se non ci fosse stata Beatrice, a Marianna non sarebbe mai venuta l’idea di coinvolgere le donne del paese nell’assalto alla villa per poter riscattare il suo nome, e, probabilmente, non avrebbe riabbracciato Giocondo; senza Federico forse Beatrice non sarebbe stata così ispirata per la stesura del suo romanzo a puntate, che, sebbene non abbia lo stesso successo della film, ha un discreto numero di ammiratori.
Tutti e tre hanno una madre antagonista. Alma fa di tutto per non permettere al figlio di perseguire il suo sogno; la madre di Beatrice la ostacola in ogni modo e lei reagisce dando scandalo per farle dispetto; la madre di Marianna al contrario della altre non la opprime, ma la trascura al punto da preferire Angela a lei. Marianna stessa quando nuota nel lago d’Averno si chiede se sia giusto sperare nell’aiuto della madre visto che quando era in vita non gliel’ ha mai dato. Volendo semplificare, potrei dire che ognuna della madri è antagonista perché cerca di ostacolare il figlio nella realizzazione personale. -Continua-
Il tema del doppio domina i personaggi del romanzo. Federico rappresenta molto bene il tema dell’aspetto demoniaco della creazione artistica, ma è anche quello che ha le intuizioni giuste, il colpo di genio. Beatrice è una persona raffinata e snob, ma anche quella che aiuta Marianna e che sa perdonare per amore. Marianna con la sua semplicità e ingenuità incarna l’aspetto mitologico, ma è anche una persona decisa e piuttosto scaltra.
Quindi all’interno di ogni personaggio vive un doppio (sottolineo che sto semplificando perché i personaggi sono complessi e ci sono anche altri aspetti doppi), ma allo stesso tempo sono l’uno il doppio dell’altro. Beatrice con la sua cultura e raffinatezza è il doppio di Marianna; Nonostante Federico e Beatrice abbiano una storia d’amore, hanno una visione dell’arte completamente diversa: una appartiene all’uomo del sud, e la seconda alla donna dell’”altra Italia”. E in questo senso sono “doppi”.
Poi c’è il tema dell’inganno rappresentato molto bene dal cinematografo che sconvolge Napoli. Rivelatrice a questo proposito è la parte finale. La mente di Marianna si apre e capisce che se il cinematografo consiste nel rendere vere le cose finte, allora anche lei e Giocondo l’hanno fatto. Dicendo questo, ci mostra che in fondo Federico non è stato il solo a ingannare gli altri.
E dulcis in fundo, non poteva mancare l’amore. Alla fine del libro, Beatrice dice che sarebbe bene prendere esempio da Marianna che essendo una persona semplice è più felice di lei e Federico. Poi aggiunge però che, a differenza loro, lei non conosce la passione. E qui si sbaglia, perché Marianna vive una grande passione con Giocondo. Una passione senza condizioni, che non ha bisogno di tante parole per spiegarsi, perché i due si accettano così come sono. Loro conoscono un amore semplice, oserei dire primordiale. Al contrario Beatrice e Federico vivono un amore più evoluto, complesso, fatto di forte attrazione ma anche di continui ripensamenti. Un amore sofferto, sebbene alla fine si ritrovino e si scelgano di nuovo. Anche qui torna il doppio: da un lato un amore con forti connotazioni mitologiche, dall’altro un amore che conosce la modernità, e in un certo senso ne paga le conseguenze. Senza voler togliere niente all’amore che vivono Federico e Beatrice, che non è poi così distante dalla nostra epoca, credo che ognuno di noi abbia dentro di sé il desiderio di quell’amore semplice che col passar del tempo abbiamo perduto. E’ il richiamo dell’archetipo, lo stesso da cui si sente attratta Beatrice, perché è qualcosa da cui non si può sfuggire.
Le considerazioni contenute alla fine del romanzo completano l’argomento di cui parlavo all’inizio. I protagonisti sono diversi, ma la capacità che hanno di capire e imparare attraverso l’altro mostra la loro interdipendenza. E’ come se ognuno di loro fosse rappresentato da un colore diverso con le sue sfumature e le sue particolarità. Un colore da solo ci parla di sé, ma messo insieme agli altri due forma un disegno ben preciso, che assume altri significati.
Come vedi, caro Francesco, ancora una volta il tuo libro mi ha suscitato tante riflessioni. Mi sono dilungata ma spero di aver espresso con chiarezza ciò che intendevo dire! Adesso sull’Imbroglio manca solo la tua dedica. Ancora tanti complimenti per questo romanzo. Un abbraccio grande, e a presto, Claudia
Al faro Santacroce di Augusta,arroccato su rocce selvagge, in cui mare e cielo si confondono in un unico grido, è stata ambientata la mostra di acquerelli di Alessio Grillo. Acquerelli ispirati ai romanzi di Virginia Woolf. Quel perdersi nelle strade dei pensieri della signora Dalloway, seguire la sua giornata e i suoi preparativi per la festa, questo il percorso mentale seguito dal pittore, che ha fatto confluire il tutto in dei percorsi romani, che lungo il fiume o nei vicoli di Trastevere, si sono colorati delle gradazioni più belle dei colori, dai più tenui ai più forti, per poi percorrere il cammino inverso, emozionando il folto e competente pubblico intervenuto. Ed ecco che l'uomo in bicicletta, la mamma e i due figlioletti, il giovane con il suo zainetto e tutti gli altri personaggi di questi splendidi quadri, i cui colori riportano alla vita con le sue gioie, le sue tristezze e il suo mistero si sono indirizzati verso un luogo di fronte il faro, ammantato di reti, battuto dal vento e accarezzato dall'ultimo bacio di un sole che cerca riposo. L'antro della sibilla del lago d'Averno, così magistralmente ricostruito, ha aperto l'incanto sulle sue acque torbide, dove le felci si accalcano e gli uccelli si rifiutano di lanciare i loro gridi, ma la bella Marianna si immerge riportando alla vita il mito di Susanna tra i vecchioni. Ma che ne sa l'ingenua Marianna che un occhio indiscreto riprende la sua candida e sensuale immersione? Che ne può sapere lei, creatura del lago di Averno, dell'imbroglio nel lenzuolo? E l'indiscreto regista è cosciente del danno morale e materiale che le farà? Un crescendo, su questo spartito musicale a tre voci Marianna, Federico e Beatrice. Tre voci diverse di un concertato, che si intersecano, si dividono e si armonizzano. Una folla di personaggi che ruotano attorno ai tre protagonisti. Personaggi perfettamente delineati con un unico tratto di penna. Mito, magia, vita quotidiana, languori, sofferenze si intersecano in questo romanzo dal ritmo perfetto, che ci ha affascinato, emozionato e conquistato nella terra di Augusta, facendoci fare, a un certo punto, il percorso inverso dall'antro della sibilla al faro, luminoso in un buio che sapeva di acqua e di salsedine, di vento selvaggio e di casa. Un romanzo il cui l'autore Francesco Costa, con la sua cultura, la sua competenza e la sua verve, ci ha affascinati. Molti e puntuali gli interventi e le curiosità dei presenti. Pronte ed esaustive le risposte dell'autore, che non si è limitato a parlare solo del romanzo, ma si è collegato a un discorso più ampio sui tempi e sull'effettiva importanza della cultura nel mondo di oggi. Poi lo scrittore ci ha ricondotto Verso il faro, dove i suoi personaggi hanno incontrato quelli degli acquerelli di Alessio Grillo, stringendosi la mano in un girotondo infinito in cui arte e letteratura, non possono fare a meno l'uno dell'altro.
claudia carissima, sono senza fiato! la tua analisi del mio romanzo contiene intuizioni e si sofferma su aspetti del libro che ritenevo fossero passati inosservati. sei l'unica, per esempio, che ha fissato lo sguardo sulle affinità che legano i tre protagonisti e non soltanto sulle loro clamorose differenze. tutti e tre, come giustamente osservi, hanno avuto madri antagoniste e hanno perseguito il proprio modo di essere quasi per rifarsi delle opposizioni materne. ritengo che ogni artista imponga agli altri la propria creatività per risarcirsi di un contesto ostile che spesso ha trovato proprio in famiglia i picchi più evidenti. in quanto alla passione, beatrice ritiene che marianna non la conosca, perchè dà al termine "passione" l'accezione più dolorosa, più altalenante, più vertiginosa. quello di marianna e giocondo è un amore fatto di intesa, di silenzi, di condivisione estrema, quasi fossero un'unica persona. beatrice (opposta a federico anche dalla differenza d'età e di censo) sa che la passione può essere univoca, divorante, frustrata. l'amore, al contrario, è soprattutto intesa. stamperò il tuo scritto e lo studierò a fondo, cara claudia, perchè è ricco di osservazioni stimolanti che chiariscono me a me stesso, e di questo non posso che ringraziarti dal profondo del cuore. sii felice, francesco
in quanto al tema dell'inganno, cara claudia, mi pare che i miei libri siano imparentati con i disegni di escher in cui si vedono scale che finiscono chissà dove o stormi di uccelli che perdono via via la loro consistenzza per diventare soltanto disegni. vi trovo diversi piani di realtà che si sovrappongono gli uni agli altri o si affiancano fra loro in barba alle leggi della logica. lo sconvolgimento creato sulle masse dal cinematografo ai suoi albori mi confferma che la parte onirica dell'esistenza umana è quella che prevale sulle cose che, apparendo a tutti, vantano il primato di un'incontestabile consistenza. scrivo storie sotto l'influsso di nettuno, come ho detto spesso, che è il pianeta della luna, dei ladri, del cinema, dei sogni, delle illusioni. e mi piace anche che tu abbia notato che tutti e tre i miei protagonisti riescono a conseguire i loro progetti. amo troppo i miei lettori per avvilirli con storie di fallimenti e di frustrazioni: io tesso trame con al centro individui che evolvono attraverso la sofferenza e nel finale si ritrovano vittoriosi. un abbraccio affettuoso, francesco
Carissima Rita, che dire...hai fatto un'analisi splendida sulla giornata augustana, sui miei acquerelli e sul libro di Francesco.
Grazie ancora per la tua presenza e per aver percepito le intense emozioni che i miei lavori, "l'imbroglio nel lenzuolo" e il faro, hanno diffuso...un abbraccio
Alessio
maria rita carissima, creatura accogliente e generosa, e disposta al gioco e al teatro (non siamo in fondo tutti figli dello stesso tramviere?), non so come ringraziarti per le tue belle parole. al faro di augusta sono stato felice grazie a voi (malgrado il forte vento, e ora mi ritrovo infatti tramortito da un potente raffreddore che mi toglie il respiro), e mi è rimasta impressa la domanda di orazio sul mio trovare superflua la parola: è vero, penso che le parole sono spesso anche usate per ingannare, tradire, fuorviare. a mio avviso la parola dovrebbe essere adoperata per giocare, per recitare (in inglese le due cose si esprimono entrambe con il termine "to play"), per cantare. ma non per parlare. la comunicazione dovrebbe diventare telepatica. vi sembrerò pazzo, e forse lo sono, ma la penso così. e grazie ancora del vostro affetto, francesco
Caro Francesco, mi fa molto piacere che ti abbiano colpito i miei commenti. Quando leggo un libro mi piace cercare di capirlo in profondità e analizzare il tuo romanzo è servito tanto anche a me. Penso sia importante per chi scrive tentare di cogliere "l'impalcatura" e le motivazioni profonde che stanno dietro a un romanzo. E' un po’ il lavoro dello scrittore al contrario: invece di costruire una storia bisogna "smontarla" e fare un lavoro di semplificazione. Non è facile quando si tratta del romanzo di un'altra persona, perché a volte si colgono aspetti che non voleva evidenziare chi ha scritto il libro. Ma si sa che un romanzo può suscitare impressioni diverse a seconda di chi lo legge, e il confronto è fondamentale se si vuole crescere. Grazie ancora delle tue parole, un abbraccio Claudia
Cara Maria Rita, mi ha fatto molto piacere leggere il tuo commento sulla serata ad Augusta. Così bello, così sentito. E' stato un pò come essere lì con voi alla luce del faro. E' da tanto che non ci vediamo, spero di incontrarti presto a uno stage organizzato da Luigi Un abbraccio Claudia
Caro Francesco,
grazie delle tue parole così affettuose. Grazie di averci portato al lago d'Averno e nell'antro della sibilla, per conoscere Marianna, Beatrice e Federico e aver potuto così seguire le loro storie, i loro sentimenti, i loro affanni. E' stato bello e suggestivo l'incontro ad Augusta. Spero di rivederti presto. Auguri, per il raffreddore.
Maria Rita
Carissima Claudia,
che gioia leggere le tue parole così belle nei miei confronti. Anch'io ti ricordo con tanta simpatia e spero di rincontrarti presto.
Ciao, Maria Rita
Grazie carissimo Alessio,
i tuoi quadri sono bellissimiD descrivono il mondo bello che hai dentro.
Maria Rita
Maria Rita, Claudia e Alessio carissimi, grazie a tutti e tre dei bellissimi contributi che avete ancora postato. E' segno che questa pagina non vuole più fermarsi, che la luce del mio faro vuole ancora solcare le onde della vita e della contemporeità. Vi anticipo che tra qualche settimana si preparerà una nuova pagina sull'opera dell'amica scrittrice e pittrice Piera Mattei. E' la terza che dedico agli scrittori di oggi. Spero che pure nel suo caso possiate essere numerosi e puntuali come lo siete stati con Francesco. Che aggiungere? Grazie. Dietro ogni emozione, dietro ogni luce ci sono i vostri volti, i vostri nomi. Siete davvero fantastici, e consentite a questo luogo virtuale di vivere, di pulsare. La serata di Augusta è stata davvero emozionante: gli acquerelli di Alessio hanno "anima", raccontano storie, fanno piangere dalla commozione chi li osserva. Valore della vera arte. E poi si sente che c'è dietro quello che Anna Maria Ortese definiva "stupore" del vivere. Esattamente quello che succede pure con i personaggi di Francesco Costa, che sembrano uscire dalle pagine ed essere vivi, parlare, recitare un ruolo che non si esaurisce col romanzo. Sono personaggi che hanno un futuro e riempiono i pensieri. Grazie davvero delle suggestioni, delle riflessioni, degli spunti che hanno reso vitale questa pagina. Era quello che volevo: un luogo per addetti ai lavori, un luogo di approfondimento e di scambio autentico. Vi abbraccio e spero di leggervi ancora e presto.
Grazie, caro Luigi,
delle tue belle parole nei nostri confronti. La letteratura e l'arte sono forme culturali sorelle, che da secoli vanno insieme. La concezione dell'arte come attività di gruppo e interartisticità non sono concetti nuovi, ma vanno sempre bene. Nel nostro gruppo siamo riusciti a fare dell'interartisticità la parola chiave e questo è molto bello e sicuramente ci porterà lontano, perché chiudersi non è mai positivo.
Maria Rita
Un affettuoso saluto a Piera Mattei, che spero di rivedere presto, da parte mia e di mio marito.
Maria Rita e Orazio
Amici un saluto. Le belle impressioni arrivate da più fronti e riguardanti “l’imbroglio nel lenzuolo”, mi hanno positivamente incuriosito e spinto alla lettura. E meno male, devo dire, perché in questo modo ho scoperto un romanzo di rara bellezza. Non sono un critico e non so recensire ma provo, comunque, a dire la mia. I tre protagonisti del romanzo, ognuno con il proprio destino, vengono sospesi all’interno della storia con maestria e precisione. Marianna: la povera ed incolpevole erbivendola, dotata di una forza interiore tale da affrontare ogni ostacolo che la vita le pone. Con coraggio e senza paura, supera la scomparsa della madre e prosegue, pur nella miseria, il suo percorso terreno trascinandosi dietro la sorella più piccola. Il suo segreto? Semplicemente la gioia di vivere. Non chiede altro se non di vivere con tranquillità la relazione con il suo amato Giocondo Gaudio (direi un nome azzeccato visto che esprime gioia ed allegria). Federico: il vulcanico ragazzo napoletano che vive un’esistenza forse non sua. Il vestito della sua vita, in effetti, non lo indossa molto bene; orfano di padre e con una mamma assente (forse incapace ad essere, realmente, madre), sente di non appartenere ad una professione futura scelta, da altri, per lui. Reagisce e fa di tutto per essere diverso, per essere effettivamente ciò che sente. “Faccio il cinematografo … sono direttore di scena, ho realizzato una film ed ho 25 anni appena finiti”. Questo il suo biglietto da visita con dentro il sogno di rendere immortale la bellezza attraverso la cinepresa. Beatrice: ricca donna torinese abituata ad avere tutto. Capricciosa, snob, ribelle, è madre e padre di 2 bambine/ragazze avute da uomini volutamente dimenticati. Fugge dal suo passato e da una madre ingombrante per inseguire il suo sogno di pubblicare uno sdolcinato romanzo a puntate.
Con grande maestria l’autore è riuscito a rappresentare i tre protagonisti nella loro reale esistenza; ognuno viene tracciato con precisione e puntualità. La scelta di un preciso linguaggio, le espressioni (anche dialettali e tipiche), danno magicamente il volto e l’anima ai singoli protagonisti. Che dire, poi, della descrizione che si fa del lenzuolo? Davvero suggestiva ed abile da elevarlo, pur nella semplice materialità dell’oggetto, ad indiscusso protagonista. Tra ignoranza buona e legittime paure, il lenzuolo bianco, da casto elemento, diventa un vero proprio strumento di stregoneria. I raggi “schizzano” dentro il lenzuolo ed attraverso la luce, anch’essa “buttata” dentro, nel buio, magicamente la vita prende corpo. Ecco l’inganno e l’imbroglio agli occhi dei tanti; come può catapultarsi la vita dentro un lenzuolo?
>>>> segue >>>>
Nei tre personaggi si percepisce positività in quanto ognuno, a modo suo riesce a lottare per ciò che crede. Marianna, in fondo, si accontenta di poco e quando riesce a riabbracciare il suo amore, torna nuovamente a vivere. Ben venga anche la povertà; l’importante è che sia accompagnata da Celestina e Giocondo. Beatrice, invece, snobbata ed abbandonata dal giovane Federico, evidenzia un’immensa e positiva maturità che forse lei stessa ignorava di avere. Federico ha avuto la colpa di preferire l’ignara Marianna a lei nel ruolo della casta Susanna. Non importa; il Sud, Napoli, il lago, forse, l’hanno cambiata e trasformata in meglio. Beatrice sa perdonare, sa capire, sa scindere e scegliere tra il freddo ed inconsistente carattere del viceconsole inglese e il calore, la spontaneità e i sani errori giovanili di Federico. Sceglie Federico, sceglie una vita viva. Riscopre (o forse scopre) un legame con le 2 figlie che ormai accettano e vivono la nuova dimensione lontano da una Torino dimenticata. Tutte e tre, ognuna nella loro età, sono più belle e vive … la magia del Sud!
E poi, sull’intera trama del romanzo, arriva il grande messaggio finale. Dopo aver tanto imbrogliato e fatto ingiustamente soffrire, il lenzuolo viene involontariamente (quasi) giustiziato. Non c’è tristezza anche se un incendio porta via il sogno di Federico; non c’è afflizione anche se sono volate diverse pietre sui corpi degli invitati alla proiezione. In fondo i tre protagonisti sono tutti felici perché scoprono che la bellezza dei sogni sta anche nel fatto che possono stare tranquilli nel mondo, appunto, dei sogni, lasciando in pace la vita che, in quanto tale, va sempre vissuta.
A Francesco, i miei più sentiti complimenti (a questo punto, per completare l’opera, aspetto “la film”!). A Luigi, un grazie di cuore per avermi segnalato il romanzo. Un saluto e a presto.
Caro Francesco, non ero con voi a Taormina ma sono andata al cinema a vedere L'imbroglio nel lenzuolo. Sai che è stato molto bello leggere sul grande schermo il tuo nome? La storia è molto accattivante e in qualche punto anche amara. Ti auguro grandi successi con molto affetto e spero di rivederti presto. Lorenza
Caro Luigi grazie perchè fai da collante tra cultura, libri, scrittura, amicizie e affetti. Un abbraccio Lorenza
Con grande ritardo leggo la bella intervista di Luigi La Rosa a Francesco Costa e al primo tutto il mio apprezzamento per la capacità di muoversi in un compito delicato e solo in apparenza facile, quello dell'intervista ( Luigi é un vero maestro); a Francesco Costa, di cui seguo da sempre gli scritti non solo un apprezzamento che nel tempo é cresciuto, ma piena condivisione su ciò che dice del panorama editoriale e del marketing che lo domina.
In tempi di tanta scrittura senza scrittori veri a Francesco Costa tutta l'ammirazione di una forte lettrice che non segue le mode.
Giulia Alberico
Ciao il mio nome è Victoria so un rinomato
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Sono Engr Larry, un ingegnere civile da USA.I sono così felice che dà questa testimonianza su di me su come un grande mago
mi ha aiutato a broght mia ex moglie torna in soli 3 giorni, molti amici e parenti ancora mi chiedono come è accaduto, va
in questo modo, ciò che un buon tempo è questo! mia moglie ha chiesto il divorzio contro di me perché lei ha detto che i umanizzato dopo 7 anni
del matrimonio e ci hanno visto 2 ragazzi Sandra e Sarah, il tribunale locale ha tenuto dovremmo andare parted e sentire sempre da
i bambini da quando si lamentava di me non tornare a casa in tempo, se ne andò con la maggior parte delle nostre proprietà che abbiamo avuto insieme
via dei bambini per ben 5 anni ho sempre chiamare per parlare con i bambini e pregarla di tornare di nuovo a me, ma lei
mai accettato di mio supplicare per una volta ho anche confessato che stavo umanizzante che ho cambiato ancora troppo nog ha detto a me,
Qualche settimana fa ho visto una scrittura fino testimonianza di questo grande mago pubblicato da una signora canadese Miss Becky
narrato come Dr Akaba Iroko broght suo ex fidanzato indietro in meno di 4 giorni per lei sono rimasto scioccato quando l'ho letto tutto
fortunatamente per me lei droped l'ID e-mail all'indirizzo greeatakabairoko@hotmail.com hurrily senza perdere tempo faccio il login e
ho contattato lui ecco, mi ha detto cosa fare e l'ho fatto, ha preparato l'incantesimo e colato per me in soli 3 giorni
la mia ex moglie è venuto a casa mia cantiere di lavoro con i bambini e cominciò a piangere per il perdono oggi siamo felicemente
di nuovo nel nostro matrimonio è andato in tribunale per renuion. Sono molto grato a questo grande mago, lui ha detto che risolve qualsiasi umano
problemi, il mio era un esempio meraviglioso, non la tua possono variare in contatto con lui tramite greeatakabairoko@hotmail.com perché
in un momento ho anche girato ubriaco non essere con mia moglie ei miei figli per cinque anni se il mio problema può essere risolto da lui, il vostro
problemi devono essere risolti troppo ti vedo essere il prossimo celebrando. Si prega dopo aver risolto quello che mai problema che è, non mancano
per dare testimonianza anche lasciare che gli altri beneficiano di nuovo in contatto con lui tramite greeatakabairoko@hotmail.com auguro a Goodluck come me
Signore. Azeez Grazie per lanciare l'incantesimo personalizzato per restituire il mio ex. Lui è tornato a casa con noi e le cose non potrebbe essere migliore! Sono solo stupito di quanto bene e preciso l'incantesimo era. Quasi ogni singolo una delle mie richieste sono state soddisfatte, e non potrei essere più felice! Siamo tutti prendendo un viaggio la prossima settimana (stiamo prendendo i nostri bambini in Florida per una meritata vacanza), qualcosa che non abbiamo mai avevamo fatto prima (e anche una delle mie richieste incantesimi) Sono così eccitato e così sono i nostri bambini! Vi ringraziamo! Liz & Kids! Questa testimonianza va a un mago chiamato Signore. Azeez che usare la sua magia per ottenere il mio marito torna a casa. Egli può anche essere di aiuto contatti lui lordazeez1990@hotmail.com
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