sabato 22 gennaio 2011

Sulle rotte della mia rivoluzione interiore...


Simone Perotti
racconta
ai lettori
di "Verso il faro"

il suo personale,
intimo rapporto
con la scrittura

e la storia di una
coraggiosa
quanto formidabile

scelta di vita...


Ci sono libri che ti cambiano dentro, rinnovando il tuo sguardo sulle cose e sul mondo. Libri che sono fari di luce sparati sugli occhi, libri duri, inevitabili, che non puoi condannare alla polvere degli scaffali. Sono libri che ti chiedono, ti supplicano – ti impongono – di entrare nella vita mordendola a fondo, per riportarne il sapore aspro, travolgente. O anche solo il dolore sconcertante. E la bellezza nuda e triste.

Ci sono libri che segnano un ‘prima’ e un ‘dopo’. Libri che sono l’anno ‘zero’ tra i millenni delle se
nsazioni e degli istanti. A questi libri è impossibile mentire, né girare intorno. Non hanno scorciatorie, né mezze misure. Libri perfetti. Che vanno al cuore delle cose obbligandoti alla confessione. E alla scelta. Tutte le volte che torno a sfogliare Adesso basta (Chiarelettere) di Simone Perotti mi dico: ecco, è esattamente uno di quei libri. Di quelli ha infatti l’impellenza, il fuoco, la necessità interiore. E un messaggio che pesa, che traccia sentieri nuovi sotto i nostri occhi.

I primi ricordi del mio rapporto con Roma si intrecciano inevitabilmente a quelli della mia amicizia con l’autore. Giovane, sognatore, un po’ sprovveduto, ero riuscito a scampare al tedio della provincia e giungevo nella capitale coi miei venticinque anni di sopravvissuto, un émigré col cuore gonfio di sogni. M’era capitato tra le mani quasi per caso uno dei suoi p
rimi romanzi, Stojan Decu, l’altro uomo (Bompiani), e quel libro mi aveva misteriosamente fatto compagnia per tutto un viaggio, con la sua presenza confortevole e silenziosa.

L’identità che plasmava se stessa, l’indagine di un racconto biografico vivo, eccezionale, che si strappava fuori dalla realtà per mutarsi in leggenda, e il miracolo della lingua - poetica, colta, raffinatissima, in un panorama letterario italiano che invece sempre più ingrigiva - dovettero suonare pressappoco come una sorta di miracolo. Mi accorsi di essere al cospetto di uno scrittore intenso, motivato, e prima d’ogni cosa: ‘impegnato’. Telefonai in casa editrice, contattai l’autore, volli assolutamente con
oscerlo di persona. E la voce affabile e calorosa di Simone divenne il nostro primo contatto, prima dell’incontro che non dimentico, e della passeggiata settembrina che facemmo tra i vicoli del Ghetto.

Mi colpivano la
consapevolezza dell’impegno e la forza di volontà – componenti che avrei ritrovato puntualmente in tutti i romanzi successivi – e questo suo pensare alla scrittura come dimensione del vivere, sfera che necessita di tempo, di disciplina, sofferenza, ma soprattutto di tensione emotiva, di coraggio. Sentivo dietro ciò una sorta di meraviglioso orgoglio. E mi piacque. Lessi i libri che vennero dopo, in attesa della svolta che prima o poi sarebbe giunta. La prometteva ogni pagina, era seminata e sussurrata nei comportamenti impetuosi di molti suoi personaggi, pacata ma già presente, come l’orizzonte verso cui ti dirigi e su cui cominci a intravedere vertiginose tempeste d’anima.

La svolta sarebbe venuta dal mare, la più grande passione di Simone Perotti. Il m
are, che pian piano guadagnava spazio all’interno della sua scrittura, proiettava già l’autore verso l’inesorabilità del cambiamento. Lo stesso che t’impongono i libri. Certi libri. O gli amori più devastanti. Lo stesso che lo scrittore ha narrato nel suo lavoro di maggior successo: Adesso basta, saggio sul bisogno di mutare rotta, di volgere altrove la propria fuga, e ritrovare se stessi prima che il gorgo infernale della vita possa risucchiarci.

Ma la scelta dell’autore non è rimasta solo intento letterario, perché Perotti la sua vita l’ha trasformata davvero. Abbandonando il suo posto di lavoro milanese, mettendo spazio tra sé e il caos della grande città, rinnovando i silenzi del vivere, le algebre del quotidiano, facendo propri i luoghi del pensiero.


Ha scelto un casolare di pietra e una barca. Null’altro. La scrittura ha fatto il resto. Il suo libro sul cambiamento, al quale fa seguito in questi giorni l’uscita di una seconda interessante riflessione intitolata Avanti tutta (Chiarelettere) è divenuto un vero e proprio fenomeno di culto, innescando dibattiti, approfondimenti sociologici e tavole rotonde, e richiamando fiumi di lettori entusiasti, che hanno visto in quelle pagine una possibilità concreta di salvezza. Forse “la” possibilità, quella che aspettavano da sempre, e che per molti potrebbe significare ridare speranza ai giorni. Presto ce lo racconterà un film in fase di produzione.


Il messaggio più importante di quell’esperienza Simone Perotti ce lo consegna nel parlarci del nuovo rapporto con la pagina scritta: libero,
pieno, totalizzante. Il riferimento a Jack London è toccante. Condivido a pieno quelle parole, la loro verità, e mi riconducono ai trasformismi di Stojan - primo incredibile personaggio del primo romanzo perottiano, alla flessibilità del suo alfabeto, delle sue forme, delle sue ombre, delle sue sfuggenti personalità. Caratteri che ritrovo pure nel suo ultimo, vitale Uomini senza vento (Garzanti).

Storia di formazione ma pure d’intrigo legato al mare, alla navigazione, al tentativo di svelare il malaffare nascosto nel segreto sibilante delle
risacche; storia d’amore e di appassionante adesione agli ideali dei protagonisti. Renato, in primo luogo, svegliato da una telefonata notturna di un amico e chiamato a raggiungere Ponza, isola per la quale prova un fortissimo legame affettivo. Antonio, l’amico inquieto e velatamente visionario, sorta di poeticissima vedetta e riferimento prezioso nel ritorno a una vita naturale. Sara, infine, militante ecologista alle prese con una missione di irrinunciabile urgenza e segretezza. Tre personaggi contemporanei, tre facce dello stesso pensiero, alle prese con l’imperativo di cercare se stessi tramite l’impegno, le scelte, il coraggio di andare per la propria strada.

Al telefono ritrovo in Simone Perotti l’amico ospitale e affettuoso di sempre. Quando gli chiedo di rispondere alle mie domande non esita neppure un attimo. Ogni romanzo apre ponti, raduna orizzonti, mette in contatto universi personali. In quello di questo abile autore c’è dentro la voglia di affascinare, di emozionare, di raggiungere ancora un lettore prima che siano il vuoto perverso del nostro tempo e il disamore per se stesso a catturarlo. E’ una specie di lotta, di sfida all’ultimo sangue. E ha dell’avventuroso, ha sapore di sale sulle labbra. Quella particolare cifra intima e audace che abbiamo sempre l’impressione di respirare all’interno delle invenzioni letterarie di Perotti. Lo stess
o che ci spinge a voltare pagina per guardare in faccia la realtà e dire definitivamente addio ai vecchi rimpianti.

"Uomini senza vento"
arriva dopo la grande svolta della tua vita e della tua carriera.
Cosa rappresenta per te questo libro?
Io scrivo romanzi. Quando ho deciso di cambiare vita l'ho fatto per scrivere. E quando mi sono trovato da solo, libero, un pò sbalestrato dalle novità della mia casetta di pietra in ristrutturazione, nel bosco, vicino al mare... dopo aver detto addio a carriera, stipendio, pensione... che potevo fare se non scrivere!? E così ho fatto, finalmente, intensamente, disperatamente, senza tempo, senza vincoli... che meraviglia. Questo romanzo è il primo romanzo della mia nuova vita. Non dimenticherò mai niente di quando lo scrivevo.

Ma il vero cambiamento è rappresentato dal tuo precedente successo, "Adess
o basta". Da dove nasceva l'idea di quel libro fortunato?
E' un saggio, il mio primo saggio. In questi giorni è uscito Avanti tutta, il secondo, che prosegu
e e conclude. Insieme sono la cronaca di una rivolta, interiore prima, poi anche esterna, organizzativa, relazionale, politica. E' un lungo ragionamento, filosofico e pratico, su come viviamo in modo insensato, ma soprattutto su come vivere in modo più autentico, se solo ci pensassimo (prima) e lo facessimo (poi). C'è dentro l'orgoglio di una generazione, quella dei quarantenni, generazione sbandata dal riflusso, figlia del consumismo, del materialismo, della crisi politica, senza passioni e ideali. Sono due libri molto forti, molto diretti. Io sono diventato un uomo libero, posso dire quello che voglio.

Riconsiderando gli aspetti della tua biografia mi verrebbe da pensare al
rapporto arte/vita. Per te, o per quel che riguarda la tua poetica di scrittura, quanto è importante un simile rapporto?
Essenziale. Non ho mai amato chi vive in modo diverso da come scrive. Un intellettuale, uno sc
rittore, è un militante della vita. Non posso pensare di incontrare uno scrittore di cui ho amato forza, energia, vita, storie, passioni e trovarmi di fronte a un uomo dimesso, pauroso, ipocrita. Non è accettabile. Io credo molto nella comunicazione, e scrivere è comunicare. Ma la prima regola della comunicazione è che quel che si comunica deve essere onesto e vero. Io scrivo quasi sempre di cose che so, di cose che faccio, o di cose che vorrei fare in ambiti che mi appartengono. Io non scrivo di montagna, perché sono un marinaio. Se lo facessi mi beccherebbero subito. Si vedrebbe. Bisogna vivere seguendo la "linea di minore resistenza", che come diceva Jack London è la direzione in cui andrebbe la pallina sul tavolo inclinato della nostra vita, se solo la lasciassimo libera di correre.

Quanto c'è di te in Renato, il protagonista del romanzo? Per certi versi ti somiglia parecchio, per altri lo sento differente. Dove sta la verità?

Renato non sono io. Però è costruito con materiali miei, veri, roba vissuta, fatta se
ntita vista. I suoi materiali, i mattoni e il cemento della sua natura, sono i materiali con cui è stata anche fatta la mia vita precedente. Però non sono io. Io non consentirei mai che qualcuno salpasse con la mia barca mentre dormo. Ci puoi giurare...

Mi piacerebbe definire questo tuo ultimo libro un 'noir esistenziale', giacché dietro il pretesto delle atmosfere e dell'intrigo si esplorano temi e situazioni profondamente personal
i, che hanno a che fare coi grandi interrogativi dell'esistenza. Cosa pensi di questa definizione?
E' perfetta.


Da qualche tempo la tua vita è c
ambiata completamente. Quali sono ora i tempi che dedichi alla scrittura? Hai rituali specifici, modalità di lavoro ben precise? Quali?
Io scrivo di mattina, da sempre. Sono venticinque anni che tutte le mattine in cui sto scrivendo una storia mi sveglio presto, prestissimo, alle 6.00, e scrivo. Oggi vado avanti anche fino a mezzogiorno. Poi il pomeri
ggio rileggo e correggo. L'ora della creatività è anche quella degli errori e delle ripetizioni. Mai di notte. La notte si fa altro.

Questa radicale trasformazione dei tuoi tempi e dei tuoi spazi ha influito sul tuo stile di scrittura? Oltre al cambiamento della vita, è avvenuta pure una trasformazione dei registri stilistici e dei linguaggi?

No. Io seguo il mio filo, sperimentando, ogni romanzo è diverso per tono, linguaggio, stile, tensione. Ora però ho acquisito l'importante consapevolezza di quello che faccio, la magnitudo dell'impresa. A volte fa anche paura.


Tornando a
lla tua scelta di cambiamento, c'è stato un evento particolare, qualcosa da cui è nata la crisi definitiva che ti ha portato a dire: adesso basta?
Molte cose. Le racconto in Adesso basta. Nessuna folgorazione sulla via di Milano. Tante gocce. Ma gocce che non mi sono cadute addosso invano. Ognuna l'ho raccolta sulla lingua, l'ho assaporata. Alla fine il sapore era troppo amaro, il tempo correva, io stavo andando avanti senza una scelta che, ormai, era irrinunciabile. Ci sono voluti 12 anni...

All'interno del romanzo c'è un capitolo molto bello dedicato alle scrittura 'di mare'. Secondo te è corretto definire gli italiani un popolo di scrittori-naviganti? Che rapp
orto abbiamo col mare all'interno della nostra letteratura?
Pare nessuno. Non abbiamo una letteratura nautica. Come se i russi avessero scritto romanzi in cui la neve è assente. Se togli il Manlio di Garibaldi, qualc
osa di Piovene, i primi sei libri dell'Eneide... non c'è quasi nulla (sì, Brignetti... ma non molto altro). I Malavoglia non sono un romanzo di mare, il mare non c'è.

Ciò che mi ha fatto maggiormente apprezzare il romanzo è il forte sentimento etico e civile che ne è alla base. Questo tipo di impegno è un dovere da parte degli intellettuali? E quanto sono attenti a un simile tema gli intellettuali nostrani?

Non lo so. Penso che uno scrittore, in alcuni momenti, fronteggi le domande chiave della sua vita nel mondo. In quel momento è importante che scriva. La sua posizione glielo consente ma anche glielo impone.

Ti manca qualcosa della tua precedente vita? Una piccola fitta di nostalgia, un ricordo che riaffiora, qualcosa che in qualche momento particolare ti ha spinto a guardare indietro?

A Milano andavo molto di più al cinema. Adoro il cinema. Ora ci vado meno. Come vedi non ho rimpianti significativi.


Nel corso della tua carriera tu hai realizzato articoli giornalistici, romanzi, raccolte di racconti, saggi... La tua scrittura ha insomma seguito tante direzioni differenti e ha assecondato le più svariate esigenze. Quale senti essere la tua vera strada tra queste?

Il romanzo. Non c'è dubbio. Io sono nato per raccontare storie in cui si possa toccare appena, sp
ero, con un dito, ciò che sta oltre la comprensione scientifica, logica, della realtà. A questo credo che serva la letteratura.

Il tuo precedente lavoro diventerà presto un film. Puoi dirci qualcosa in proposito?

Non ne so niente. Il produttore sta scrivendo la sceneggiatura. Essendo un saggio, la sceneggiatura va scritta ex novo. So che ci sta lavorando forse il più bravo sceneggiatore del momento: Francesco Piccolo.

"Adesso basta"
ti ha portat
o a incontrare tantissime persone, tutte desiderose di una metamorfosi, una trasformazione più o meno radicale della propria esistenza. Ce n'è una che ti ha colpito di più e che ti piacerebbe ricordare in questa sede?
No, guarda, tantissime, tutte con storie splendide. C'è un'Italia piena di vita, di desideri, che nessuno di noi conosce. E' confortante.

Parliamo spesso di libri che hanno influenzato la vita degli scrittori. Quali sono i tre romanzi che hanno cambiato completamente la tua? Quelli che ti hanno formato, influenzato, plasmato come autore e come uomo?

Cent'anni di solitudine, Il barone rampante, L'opera al nero. Tre capolavori assoluti. Quando finii Cent'anni di solitudine ero a Cuba. Lo chiusi e dissi a voce alta: "Ma allora è così che si fa!" Pensavo di aver capito tutto. Non era vero, purtroppo, ma da allora comunque la mia scrittura è radicalmente cambiata.

L'editoria contemporanea non vive affatto un momento felice, come la cultura in genere. Cosa ti sentiresti di consigliare a un giovane che voglia intraprendere la strada della scrittura? Quali sono i passi da effettuare in direzione di un probabile punto di arrivo significativo?

Mah, io non credo che ci siano strade facili o difficili. Vedo tanta gente che fa cose senza passione, senza essersi davvero domandata: "questo è quello che voglio fare a tutti i costi, qualunque sia il prezzo? E' la mia vita?" In assenza di questa domanda e di una pur minimamente positiva risposta, è chiaro che ogni via è difficile e disperata. Cosa faranno queste persone di fronte alle difficoltà? Non ho mai visto un uomo che crede nella sua "linea di minore resistenza" non riuscire a farcela, almeno in parte.

Stai già scrivendo qualcosa di nuovo? Una breve anticipazione?

Sono di fronte a un trivio. Una delle tre strade va imboccata. Io non so ancora quale. Si tratta di tre romanzi, comunque. Però ci sarebbe la possibilità anche di una quarta via, un saggio. Vedremo.

Luigi La Rosa


Si ringrazia Giulia Civiletti
per le foto dell'autore.