lunedì 15 marzo 2010

Quella sposa "gentile" in cuore e in spirito



La storia di un amore avvincente
e di una scelta
autonoma

e toccante, compiuta
in nome della passione

una saga famigliare

affascinante e ricca
di chiaroscuri
sullo sfondo controverso

dei primi decenni del secolo


Sempre più il nostro difficile tempo tradisce l’arte e la letteratura. Sempre più è difficile scovare tra le novità editoriali opere felici, degne di attenzione e interesse. E sempre più fuggiamo dalla lettura per rifugiarci in altro, dimenticandoci di noi stessi e del nostro spazio interiore. Eppure, ci sono eccezioni magnifiche, isole di straordinario splendore, dov’è possibile ritrovarsi, raccapezzarsi nel vasto mar del vuoto dilagante. E quando alcune di queste eccezioni vengono alla ribalta bisogna parlarne a gran voce, dando spazio al talento, alla grazia, all’efficacia creativa.
E’ il caso del nuovo splendido romanzo di Lia Levi, La sposa gentile, che i tipi delle Edizioni E/O (sua storica casa editrice) mandano in questi giorni in libreria, opera balzata in poche settimane tra gli indici delle classifiche dei più venduti.
Mi avvicino al libro di Lia Levi con la stessa curiosità suscitata in me da ogni sua nuova uscita: ho sempre apprezzato moltissimo questa scrittura piana, accarezzata da una solare ironia, attenta al particolare dei sentimenti e agli abissi dell’animo umano, ricca di colore metaforico senza tuttavia scadere in alcun punto nell’abuso della retorica e nel compiacimento dello stile. Una scrittura che rifugge dalle forzature, che nomina le cose col proprio nome - esatta, minuziosa, misurata, leggera secondo l’imprescindibile canone tanto caro ad Italo Calvino.
Fantastica l’epigrafe di Federico Garcìa Lorca in apertura, di quelle che non si dimenticano: “Per il tuo amore mi duole l’aria / il cuore / e il cappello”. Un proclama di dedizione che si stende come un’aura sul magnifico esordio del romanzo: “Quando l’anno 1900 arrivò trionfalmente a inaugurare il nuovo secolo fra luminarie e simboliche danze, Amos Segre si trovò a fare una solenne promessa a se stesso. Al compimento dei trent’anni, non un minuto dopo, avrebbe dovuto assolutamente vedere già realizzati due sogni fondamentali. Primo, una ricchezza solida e riconoscibile. Secondo, una moglie con cui dividere una dimora degna di tanta conquista.
Proponimento in qualche misura epico, emblematico, che ci trascina già tenacemente dentro le pulsazioni emotive del racconto. La vicenda che Lia Levi ritrae con l’allegro brio di un minuetto mozartiano è profondamente legata alla volontà risoluta di questo giovane uomo, alla sua forza di resistere agli eventi avversi, agli urti capricciosi della fortuna, alle incomprensioni famigliari, alle imposizioni sottintese della comunità. Un giovane mosso da sogni necessari: la costruzione di una famiglia e l'esigenza assoluta di affermarsi davanti agli occhi del contesto di provenienza.
Tuttavia questo desiderio inoppugnabile sembra minacciato dalla medesima particolarità della sua scelta: Teresa, la ragazza di cui s’innamora, è contadina e “gentile”, tanto nei modi del cuore quanto rispetto alla religione ebraica del futuro marito. Amos si tramuta pertanto in puro sguardo, uno sguardo che cesella, che cerca la luce dorata dei dettagli, perché Teresa è bella, sicura di sé, e ferma quanto una rivelazione, un’epifania per gli occhi innamorati: “Prigionieri, prigionieri sono quei capelli che le forcine tengono così forzati… Le forcine sono le guardie di un paese nemico. Bisogna fare la guerra contro di loro. E’ lui è arrivato lì per questo, è solo questo il suo compito di cavaliere armato.”
Bisogna addentrarsi nel paese di lei, delle sue forme. Nel paese della sua anima misteriosa. Amos è sicuro di riuscirci. Amos vive per questo. Sebbene, l’amore per la florida contadina lo esilierà quasi certamente dalla sua famiglia e dalla stessa comunità nella quale è cresciuto e s'è fatto uomo. La sposa gentile si offre al lettore come una sinfonia gradevolissima degli affetti, una partitura piena di colpi di scena e di aneddoti vitali, che impenna sotto il fluire degli eventi, ma che accompagna con pacata scioltezza il lento, ammirevole evolversi del controverso amore della coppia. Il suo fuggire dai luoghi comuni delle convenzioni. Il sacrificio in nome dell’altro. La fatica di riedificare, passo passo, in una solitudine scelta, un’immagine di sé agli occhi perfidi del mondo.
Teresa comprende una verità fondamentale: che l’amore richiede delle scelte. E’ questa la sua toccante formazione alla maturità, questo apprendere le regole non scritte della vita e decidere di aderirvi in maniera responsabile, etica, consapevole. Per amore di Amos Teresa ritesse intorno a sé le algebre filiformi di un universo che non le appartiene, e che in parte ha sentito ostile. Accetta che i figli nati dall’unione col Segre portino il sigillo dell’antica religione ebraica. Accetta di adeguarsi a rituali estranei, che ridefiniscano tuttavia una presenza e un’identità all’interno dell’essere comunitario. Accetta che Amos senta di riconquistare il posto che gli spettava di diritto nell’ambito della sua famiglia, all’interno dello stesso contesto che sul principio l’aveva emarginato.
La narrazione si tramuta presto in una meravigliosa saga familiare, all’interno della quale uomini e donne si muovono alla ricerca di qualcosa: chi di un posto, di un riconoscimento, chi di un valore seppure effimero da salvaguardare al correre dei tempi. Lia Levi asseconda l’avanzare degli anni con magistrale perspicacia descrittiva: tra le pagine cresciamo insieme ai suoi personaggi, ci moltiplichiamo dietro le loro ombre, partecipiamo delle delusioni e delle rivalse che la fortuna di tanto in tanto dissemina sul laborioso cammino degli umani.
Sulla coralità sfumata dei tanti personaggi emerge, a tratti nitidi e vincenti, la figura di Teresa, vera grande protagonista del romanzo. L’impronta nella quale il suo perimetro è scolpito è forte, matura, responsabile: Teresa è una donna che sa scegliere, che sa portare fino in fondo le conseguenze del proprio coraggio, che non si piega davanti a niente e a nessuno, tranne che agli impeti della passione che ha animato e anima ancora la sua esistenza. E’ una creatura ricca di una sua intima luminosità, dotata di una fibra vincente, moderna sotto tutti i punti di vista. Impossibile non innamorarsene, come non aderire alla sua voglia di libertà, al suo bisogno di indipendenza e di riscatto.
La sposa gentile si legge in un soffio, e fugge via con la celerità degli attimi che tra le pagine si consumano in una danza inesorabile e vorticosa. Tutto fugge via per sempre: la vita dei personaggi, i loro amori, le loro storie, le loro inquietudini. Fuggono i tempi, le stagioni, la giovinezza e fugge il secolo passato, lasciando ricadere sul nuovo ipotesi e tradimenti. Ma fugge soprattutto la serenità che per un certo tempo sembrava aleggiare sui destini rappresentati, mentre si affaccia sull’orizzonte la nuvola nera di un’epoca di profonda afflizione: il racconto si chiude infatti sul 1938, anno delle Leggi Razziali, che la scrittrice rievoca per pennellati veloci, lasciandoci la sensazione di un’ulteriore apertura.
Incontro Lia Levi in un fredda mattina trasteverina. Sediamo a chiacchierare nel brusio già primaverile di un giorno di sole miracolosamente strappato a questo fitto inverno. I gabbiani stridono tra le fessure dei tetti. C'è la bella luce di Roma, intorno. Nelle parole dell’autrice mi sembra di percepire la stessa vibrante emozione dei suoi personaggi, di Amos, padre e marito amorevole, di Teresa, donna forte e innamorata, e di un mondo famigliare pieno di risonanze e di contraddizioni che costruisce e devasta se stesso, giorno per giorno, pagina dopo pagina, assumendo la forza di un vero e proprio affresco emotivo e sentimentale.

La sposa gentile manifesta elementi stilistici e linguistici di grande forza innovativa: le coordinate del racconto corale, la scelta di una scrittura veloce, piena di ritmo e di tensione, la capacità di raccontare un'epoca con accurato nitore evocativo... Possiamo ipotizzare che questo costituisca una qualche svolta nella sua carriera e all’interno della sua scrittura?
E’ vero che La Sposa Gentile è un romanzo corale, c’è un contesto storico e sociale a fare da sfondo, la narrazione è in terza persona e in più, al contrario di quanto comunemente avviene nella letteratura contemporanea, la vicenda non è angolata dal “punto di vista” di un solo personaggio centrale. I “punti di vista” sono due e forse anche di più. Tutto questo già rende diverso questo libro rispetto ai miei precedenti, e quindi lo stile va di conseguenza. Il problema ora è: il cambiamento di stile è solo un adeguamento reso necessario dalla diversa struttura o la nuova struttura ha dato il via a una svolta, a una rinnovata forma espressiva? Tutto sommato darei una risposta salomonica. Sì, la narrazione oggettiva e più classica ha richiesto degli aggiustamenti dello stile, tenendo per esempio sempre presente il pericolo dell’appesantimento (da qui il ricorso per compensazione a un tono veloce e leggero). Però riflettendoci i miei ingredienti sono sempre gli stessi: l’ironia, la metafora (la mia passione), una certa indulgenza verso le debolezze umane. Tutto sommato posso dire che non c’è stata nessuna vera svolta, ma solo un diverso modo di usare il mio stile che magari, con un’altra futura e diversa trama, potrà ancora prendere altre forme.

La dimensione della vita comunitaria è qui del tutto centrale, imprescindibile. Ci sono riferimenti autobiografici o rimandi alla storia di una famiglia realmente conosciuta, anche se non necessariamente la sua?
Sì, è vero. La mia è una storia saldamente ancorata alla vita di una famiglia e a quella di un gruppo ebraico di una piccola città piemontese. Bisogna però tenere conto che l’intera vicenda si svolge nei primi decenni del Novecento, quando cioè questi punti di riferimento erano assai più saldi di quanto siano adesso. E lo dico senza naturalmente formulare alcun giudizio di valore. Era meglio? Era peggio? Chissà. Il riferimento a una storia personale di famiglia c’è di sicuro e costituisce proprio lo spunto del libro. Ma come dice un romanziere francese “il romanzo è una storia vera raccontata da un bugiardo”. E così io penso di avere reinventato a modo mio la tormentata vicenda amorosa che ha legato mio nonno (che nel romanzo viene chiamato Amos) e mia nonna (Teresa, nel romanzo e nella realtà).

La vicenda di Amos e Teresa sposa tra le sue pagine quella di un'Italia nuova, rappresentata dall’energico fermento del secolo nascente, e sancita in apertura di romanzo dalle celebrazioni che a tal proposito vengono organizzate per festeggiarlo. Come vivono i personaggi gli effetti che la grande Storia riverbera sulla vita di tutti?
Il primo giorno del ‘900 era stato salutato da un balletto, il famoso Excelsior. In quel momento si erano accese grandi speranze. Con le nuove entusiasmanti scoperte e invenzioni la Civiltà con la “C” maiuscola sembrava dover progredire a ritmo accelerato. Era questo, che in mezzo alle luci e ai fuochi d’artificio prima a Parigi e poi in tutta Europa, voleva raccontare il balletto Excelsior. I personaggi del mio libro, e segnatamente Amos, il co-protagonista principale, sembrano fermamente convinti che il nuovo secolo avrebbe portato pace e benessere e in questa convinzione si muovono e agiscono, anche all’insegna – per Amos e Teresa – dell’Omnia Vincit Amor, come allora si usava dire. Per gli ebrei di quel tempo c’era poi una valenza in più perché le porte dei ghetti si erano aperte da non molti anni, appena una generazione. I protagonisti del libro erano consapevoli di quello che gli avrebbe riservato dopo la Storia? No, nessuno era in grado comprendere, forse perché dopo tutto la Storia non ha leggi ma solo casualità, e il Fato non ha mai dischiuso la porta dei suoi segreti.

Quella di Teresa è essenzialmente la storia di un’accettazione. La sua scelta di adeguarsi alla religione del marito e vivere i rituali di appartenenza religiosa dell’uomo è davvero commovente. Tuttavia Teresa non si annulla mai per accondiscendere ai valori dell’altro, ma rimane se stessa, meravigliosamente autentica, forte fino alla fine. Ci chiediamo se il romanzo possa essere letto sotto la duplice ottica del "sacrificio d'amore" e della "ribellione"?
Una accettazione, sì, ma davvero “accettata”, nel senso letterale del termine, mai imposta o subìta. Un accoglimento sereno e consapevole, finalizzato a che “lui sia contento”, come viene più volte sottolineato nel libro. Non una forma di sottomissione, come invece capitava molte volte in quegli anni. Qui è la donna, Teresa, che decide e sceglie, in nome sì di una passione d’amore, ma sempre vissuta all’insegna del vento della libertà. La sposa gentile è una storia d’amore come io volevo che fosse, ma nelle pieghe nascoste anche una manifestazione d’indipendenza, di autonomia. Una indipendenza sui generis forse in anticipo sui tempi, anche se va ricordato che dietro le quinte già si agitavano i primi fermenti del femminismo. Non c’è dunque qui “sacrificio d’amore”, e chi legge avrà modo di accorgersi (forse questo non era neanche nelle mie intenzioni) che è Teresa la figura femminile che via via diventa “dominante”, nel senso di “prima attrice”. “Prima attrice” in più di un senso, come figura centrale ma anche come figura forte e indomita.

Teresa proviene da una famiglia contadina, mentre Amos è di estrazione borghese. Il tema delle differenze religiose che alimentano le pagine del romanzo può pure essere interpretato sulla scorta di una conflittualità legata anche alla dimensione sociale della storia?
Certamente La sposa gentile ha una dimensione sociale importante. E’ la differenza di condizione sociale tra Amos e Teresa che, insieme a quella religiosa, crea il vuoto intorno alla coppia. I signori marchesi del libro possono passare sopra la condizione ebraica di Amos, ma mai avrebbero potuto fare lo stesso con la loro diversità sociale. (Per fortuna Teresa è apparsa solo come sposa di Amos, e del suo passato non sanno niente). Le convenzioni sociali del libro non sono le stesse di oggi, e oggi non saranno più quelle di domani, ma sempre di convenzioni si tratta: mascherate, ammantate di buonismo e di finta democrazia, quelle odierne (avete letto il libro “La casta”?). Le “diversità” non avranno mai fine, solo cambieranno di volta in volta configurazione.

Come vede Lia Levi i suoi personaggi? Sono degli eroi, delle persone coraggiose, eccezionali, o semplicemente dei forti, che vanno avanti nonostante il biasimo collettivo, lavorando duramente per costruire se stessi e la propria realtà famigliare?
I due protagonisti hanno semplicemente la “schiena diritta”- Amos non è un superuomo, è un uomo, quello che in yiddish si dice “Mensch” (significa un po’ il vir latino), e Teresa è in un certo senso una donna che anticipa il futuro femminile autentico, più nella sostanza che nella formulazione astratta.

Rispetto ai romanzi precedenti e all’essenzialità del loro linguaggio, avvertiamo ora una maggiore ampiezza della tavolozza linguistica. La lingua asseconda i moti del cuore e ne insegue le ferite, scendeno fin dentro le carni dei personaggi con impareggiabile maestria. Anche le metafore sono di particolare efficacia. Quanta fatica ha richiesto una simile scelta, e da quali esigenze di fondo è stata dettata?
Come ho detto al principio, cercando di guardarmi dal di fuori mi rendo conto anch’io di avere scelto per La sposa gentile una strada narrativa diversa, un modo di riallacciarmi in certo modo al romanzo “classico” dell’Ottocento in chiave però, spero, moderna. Era il tipo di storia che lo richiedeva. Non so se il risultato mi darà ragione, non spetta a me dirlo, ma la mia è stata una scelta consapevole. La “fatica” invece è stata quella di sempre. E siccome il piacere di scrivere è di molto superiore alla sofferenza del non scrivere, il termine “fatica” viene subito cancellato o semplicemente sommerso da quello di “gioia”. “Maestria, efficacia”? sono grata all’intervistatore per un giudizio tanto lusinghiero… Non sta certo a me confermarlo, e non sono tuttavia così masochista da respingerlo… anzi… Posso solo dire che ho fatto il mio lavoro di artigiana, perché tale mi ritengo, e la mia esigenza assoluta nello scrivere è quella di mettermi al tavolino e, come dico spesso (speriamo che non si tratti di ripetitività legata all’età) cerco di andare più vicino possibile a quello che vorrei dire. Nel caso de La sposa gentile c’era in più, un antico bisogno di rapportarmi al mondo dei miei nonni e bisnonni e alla loro terra piemontese, conquistata nei secoli con grandi sofferenze e fatiche, da cui malgrado la mia “romanità” acquisita, anche io ho preso origine.

Nel titolo l’aggettivo "gentile" fa riferimento sia all’appartenenza religiosa di Teresa, sia alla sua nobiltà d’animo. Nella sua visione personale delle cose e dei sentimenti cos'è la gentilezza? E’ una dote naturale, genetica, oppure acquisita, forgiata dai duri casi del vivere?
“Gentile” tra gli ebrei sta per “non-ebreo/a”, ed è un termine che deriva da gens, cioè la “gente”, quella che è altra da noi. Ma “gentile” è naturalmente la parola usata nel suo senso corrente ed è una qualità dell’animo a me particolarmente cara, perché intende una tranquilla quantità di valori ed esclude esagerazioni, eccessi ed esasperazioni, è quello di cui vorrei fosse pieno il mondo.

Come si coniuga tale gentilezza con la scelta finale della protagonista di tornare ai propri valori cristiani, imponendosi in qualche modo pure al volere dei figli?
Teresa non torna ai valori cristiani almeno quanto non era mai del tutto entrata in quelli ebraici. Ha assunto e fatte sue le tradizioni ebraiche non solo perché lui “fosse contento”, certo c’era anche questo, ma per omologarsi al complicato e sofferto mondo del suo uomo, in modo a poterlo amare nella sua interezza e fargli veder crescere una famiglia “ebraica” come lui la desiderava. La sua introiezione dell’ebraismo avviene “laicamente” e non prevede alcuna fede religiosa, così come la riacquisizione di una immagine della Madonna non ha per Teresa significato teologico né ritorno a una fede che non è stata mai davvero profondamente sua. E’ solo un fatto affettivo che la riporta alla sua infanzia. Non c’è dunque tradimento dove non c’è mai stato “arruolamento” o “adesione”.

Il romanzo si snoda fino al 1938, fino all’emanazione delle leggi razziali fasciste. Il finale del romanzo è struggente, giacché s’intuisce la china che prenderanno gli eventi e si soffre insieme ai personaggi della vicenda. Questa atmosfera di pre-Apocalisse mi ha fatto pensare in qualche modo a uno scrittore di eccezionale pregio letterario: Aharon Appelfield. Sono possibili riferimenti tra la sua scrittura e quella dell’altro maestro?
L’accostamento ad Appelfield mi lusinga e mi riempie di gioia. Ritengo Appelfeld uno dei Grandi, un ispiratore di profonde emozioni. Però non penso che la mia scrittura possa in qualche modo riferirsi alla sua. Credo, certo, che ogni narratore succhi il distillato dei grandi scrittori a cui si è abbeverato e se ne nutra, ma quasi mai nel senso letterale tipo “andare sulle orme di”. Si tratta solo di assorbirne l’emozione per una “messa in moto”, forse la stessa che ti può dare a volte una sinfonia musicale. E’ possibile accostarsi all’immenso Tolstoj o a Shakespeare senza restarne “plagiati” nel profondo? Ecco perché per quanto mi riguarda, mentre sento come miei i grandi della letteratura, sono consapevole del fatto che la loro scrittura non sarà la mia. A volte però devo dire che mi sembra di riconoscermi in qualche autore che mi piace molto, ma forse non me ne rendo conto. Altre volte capita che qualcuno mi dica “Sai, mi sembra che tu scriva un po’ nello stile di X o di Y”. Sarà vero? Sarà casuale? Chissà.

Quali sono stati i suoi riferimenti letterari? Ci sono autori ai quali in qualche modo si è sentita vicina nel meditare il libro?
E’ un po’quello che dicevo prima. Ci sono ovviamente i Maestri, i grandi russi, francesi dell’Ottocento. Ci sono gli scrittori di alto livello anche del Novecento, compresi inglesi e americani. Da tutti (da tutti quelli che ho letto, è chiaro) ho attinto e messo del materiale emotivo nel mio bagaglio, così come i ragazzi possono attingere da quello che hanno imparato a scuola, a partire dal semplice alfabeto fino a Dante e oltre. Non è quindi per darmi un tono che dico che no, non mi pare di avere direttamente travasato nei miei libri qualche lezione appresa sui banchi delle mie letture (tranne, lo confesso, qualcosa della Mansfield). Ma se qualcuno farà degli accostamenti o altro, sarò ben felice di ascoltarlo. Non mi offenderò davvero, anzi.

Il suo è un romanzo coraggioso, che per taluni versi non teme la reazione del lettore, e procede verso il suo obiettivo narrativo. Tuttavia, è in qualche modo pure un romanzo di denuncia, che mette a nudo contraddizioni e chiusure, che condanna le intolleranze di molti. Ci sono state delle reazioni particolari alla sua uscita?
La sposa gentile è uscito solo a metà febbraio. Le prime recensioni sono state soddisfacenti, a volte molto soddisfacenti. Le reazioni dei primi lettori che mi hanno telefonato o mandato e-mail sono state positive e molto calorose, ma non credo che possano fare statistica, perché se a qualcuno il libro non è piaciuto non gli sarebbe venuto in mente di scrivermelo o dirmelo. Credo che occorra aspettare un altro po’.

La sposa gentile è uno di quei libri che rimangono, per la sua bellezza, la sua incisività, la sua coerenza intellettuale. Anche nei suoi romanzi precedenti lei ha sempre manifestato una grandissima onestà intellettuale, ritagliandosi margini di libertà assoluta e totale indipendenza di pensiero. Il suo è un libro che rifiuta categoricamente tutte le forme di ideologia, per puntare alle particolarità e alle specificità dei singoli casi individuali. Quanto ritiene che questo sia importante per uno scrittore e per un artista in genere?
Ha colto nel centro del bersaglio quando dice che il romanzo rifiuta ogni ideologia, perché in realtà sono io che aborro tutte le ideologie, che per la loro struttura sono intolleranti. Penso che chi crede di essere il depositario della Verità, sia politica o religiosa, tende a essere intollerante nei confronti di quanti non credono e cerca d’imporre quella che ritiene essere la verità assoluta e per lui unica e salvifica. Sì, penso che lo scrittore debba essere al di sopra di ogni assoluto. Lo scrittore deve raccontare, non giudicare. La scrittura è porsi dei problemi, è ricerca, mobilita spesso anche contraddizioni.

E’ rientrata di recente da un giro negli Stati Uniti, dove alcuni suoi testi sono stati tradotti. Che cosa ci può raccontare di quell’esperienza?
Negli Stati Uniti, a Washington e New York dove era appena uscita la traduzione in americano de L’Albergo della Magnolia (The Jewish Husband) ho avuto l’impressione di andare a vendere frigoriferi al Polo Nord. Quanti libri si pubblicano (e si leggono)! Ho però saputo, proprio in questi giorni e con sorpresa, che il libro ha cominciato piuttosto bene, con un numero di copie vendute che qui in Italia consideriamo già un optimum. Ero già stata alcune volte negli Stati Uniti, ma New York l’ho rivista con lo stesso entusiasmo della prima volta (e con l’euro più forte del dollaro… un invito agli acquisti che però non ho fatto).

Oltre alla scrittura per adulti, Lia Levi è nota per una vastissima e apprezzata produzione di testi per l’infanzia. Il mondo della scuola la considera giustamente un riferimento prezioso. Cosa rappresenta quel tipo di scrittura e quanto è stato utile nella sua esperienza di narratrice?
Amo moltissimo scrivere per bambini e ragazzi e mi piace incontrarli dopo che hanno letto i miei libri. Devo dire che da loro ho ricevuto ondate d’affetto originali e commoventi: questo è il premio di una certa fatica. E poi l’approccio è diverso. Se presenti il tuo libro agli adulti, magari tre o quattro volte in città e in ambienti diversi, appunto perché lo presenti come novità, chi viene a sentirmi quasi sempre non l’ha ancora letto. Invece con i bambini e i ragazzi non è così. I ragazzi vengono da te dopo che hanno letto e magari già discusso il tuo libro. Sei perciò per loro una persona in qualche modo famigliare. Perciò si sentono liberi di chiederti tante cose sul libro, sulla mia persona e sulla mia vita. A volte vorrebbero, che so, un finale diverso e me lo propongono, oppure mi chiedono “e dopo?”. Succede così forse perché quando scrivo per loro io “sono” una di loro, sono una bambina con le bambine, una ragazza con le ragazze. Insomma, sono quasi miei compagni di banco e fra compagni di banco succede che ci si voglia bene.

Ha già in mente un nuovo romanzo? Se sì, è possibile anticipare qualcosa ai nostri lettori?
E’ troppo presto. La sposa gentile è appena uscito e mi parrebbe di tradire i miei personaggi se cominciassi ora a costruirne altri. Ai propri personaggi ci si affeziona come se fossero veri e non si possono lasciar cadere di colpo. Bisogna far decantare la storia in cui sei stato immerso tanti mesi. Penso che sia così per tutti gli scrittori (sia che amino o che odino le loro creature di carta).

Si prepara un nuovo viaggio in Sicilia, terra che lei ama particolarmente e alla quale si sente legata da amicizie e affetti personali. Che effetto le fa tornarvi?
Sì, è vero, io vengo spesso in Sicilia e provo per questa terra qualcosa di più di un amore: mi pare che ci sia tra me e la Sicilia qualcosa come un legame segreto, quasi mi avesse partorito quest’isola. Eppure i miei antenati, arrivati in Italia ai primi del Cinquecento, provengono dalla Spagna, non dalla Sicilia, almeno così mi risulta. So bene che in Sicilia la presenza ebraica prima dell’espulsione dai domini spagnoli era di notevolissima entità, qualitativa e quantitativa. Penso, e molti siciliani lo credono, che moltissimi di loro abbiano qualche goccia di sangue ebraico nelle vene… forse mi sento tra parenti, chissà…

Luigi La Rosa
Le immagini sono tratte dai seguenti indirizzi:
foto dell'autrice:
i tre dipinti di Marc Chagall:

93 commenti:

Maria Lucia Riccioli ha detto...

A proposito di Sicilia: Lia Levi sì, ormai è una di noi...
:-)
La aspettiamo con piacere per la sua tournée letteraria!
Ho avuto il piacere di leggere il libro e mi sono innamorata della figura di Teresa. Una donna che è sì indipendente e a suo modo bizzarra, ma che agisce per amore, quell'amore per cui le dolgono cuore e cappello.
Teresa sa che Amos è legato a doppio filo con la sua famiglia e la sua religione e non vuole egoisticamente privarlo delle sue radici.
Una donna legata alla terra, una donna che conosce i segreti della cucina, che sa farne impasti amorosi, memoria familiare, festa religiosa, segno di cura e amore.
Mi piace l'aria di saga che si respira nel romanzo di Lia, la sua ironia, la sua leggerezza.
In questo romanzo c'è un che di poetico in più, le metafore sull'amore quasi biblico tra Amos e Teresa sono bellissime.

mavie parisi ha detto...

Purtroppo non ho ancora avuto modo di leggere l'ultima fatica letteraria di Lia Levi, anche se definire "fatica" una sua opera non è corretto dato che i suoi libri si sono posati su di me con la leggerezza di una di quelle farfalle che a inizio primavera cominciano ad allietare le giornate con i loro colori vivaci e l'impalpabilità delle loro ali.
I libri di Lia, come ho già avuto modo di dirle direttamente, hanno l'enorme pregio di descrivere la storia di tutti
Se è vero che ogni lettore interpreta ciò che legge mediandolo con il proprio vissuto e il proprio sentire, è anche vero che il grande scrittore penetra l'anima universale delle storie. E in questo Lia è maestra. E' tale la sensibilità che pervade i suoi libri che ciscuno potrebbe tranquillamente immedesimarsi nei suoi personaggi anche se la vicenda fosse ambientata all'eà della pietra o in un ipotetico universo iperuranico.
E tutto questo servendosi di un linguaggio apparentemente quotidiano ma in realtà raffinato,ricercato,curato nei minimi dettagli.
Ed è l'attenta scelta dei vocaboli che ci porta dentro la storia e ci permette di viverla come se fosse la nostra.
Ti leggerò presto, Lia, e sono sicura che anche stavolta riuscirai ad emozionarmi.
Grazie

Luigi La Rosa ha detto...

Cara Maria Lucia, molto bello il tuo intervento. Sì, il romanzo di Lia Levi è soprattutto il ritratto di una donna fiera, indipendente, che compie una scelta forte e che la compie per amore, per dedizione totalizzante. Oggi sono davvero rari i casi come il suo. Per questo è affascinante. Ne libro c'è poi quell'aria di saga che rende la storia intrigante e piena di chiaroscuri. Sono certo che l'autrice apprezzerà molto le tue parole, continua a seguirci e a intervenire. Un abbraccio

Luigi La Rosa ha detto...

Cara Mavie, anche tu ti soffermi su un aspetto molto interessante della scrittura di Lia. Il suo essere "impalpabile", che poi è quella "leggerezza" che io cito nel pezzo e che Calvino segnalava all'interno delle sue Lezioni Americane. Una leggerezza necessaria, che è attenzione alle cose, alle parole, alle forme. Una leggerezza frutto di stile, di rigore, di lavoro duro. Che si possiede, in parte, ma che in parte si conquista a caro prezzo e con gli anni. In questo, Lia è davvero una maestra formidabile, e c'è in tutta la sua opera questa sensazione di naturalezza, di piacevolezza, che contraddistingue ogni pagina, dal primo all'ultimo romanzo. Grazie anche a te del bell'intervento - molto poetico il paragone della scrittura dell'autrice col volo di quelle farfalle primaverili, Lia Levi te ne sarà grata. Un caro saluto

Giovanni F. ha detto...

Interessante, sia il libro che il pezzo. Lo leggerò, grazie del suggerimento...

Luigi La Rosa ha detto...

Grazie a lei. Buona Lettura...

Letizia da Genova ha detto...

Una domanda per la scrittrice: ci saranno presentazioni dalle nostre parti?

Anonimo ha detto...

Esiste per ogni scrittore una tecnica di avvicinamento al grado della massima compiutezza che, passando da un libro all'altro, tocca tappe a volte sofferte e altre volte esaltanti, in vista del sospirato traguardo di coniugare il piacere dell'autore con quello di un elevato numero di lettori, i soggetti che parlano all'autore con la nota che diventa universale, il livello della scrittura con quello della sua fruibilità (ci sono libri indiscutibilmente meravigliosi, ma accessibili sfortunatamente a pochi, per un motivo o per l'altro). "La sposa gentile" è nella carriera artistica di Lia Levi un risultato pieno, felice, "tondo", in sostanza perfetto, già partendo dal titolo icastico (che dice tutto con sole quattordici lettere) perchè nella sapienza della scrittura trapela un che di divertito che si comunica a chi lo legge senza mediazioni cerebrali, ma con l'immediatezza della seduzione, e s'impone perchè ottempera alla prima e più importante legge cui deve chinarsi uno scrittore: quella di amare a tal punto il suo lettore da prefiggersi innanzitutto di guidarlo per mano nel proprio mondo perchè lo trovi divertente (etimologicamente parlando) al punto da "divergere" dalla sua routine per tutto il tempo della lettura. Brava, Lia! Grandioso è il pezzo introduttivo di Luigi, interessantissima l'intervista! Francesco Costa

Luigi La Rosa ha detto...

Caro Francesco, grazie delle tue splendide parole. Ti anticipo pubblicamente che tra i prossimi autori che si racconteranno ci sarai tu! Condivido pienamente quello che scrivi di Lia: credo pure io che si tratti di un'opera tra le sue migliori, se non la migliore in assoluto. E' il libro della piena maturità, asciutto, agile, veloce, dotato di una lingua interessante, a tratti lirica e piena di metafore, ma mai pesante, mai retorica. E' un grande romanzo perché è anche il romanzo che in qualche misura accoglie il suo lettore, avvicinandolo al proprio nucleo emotivo ed esistenziale e lanciando delle domande molto, molto interessanti sul concetto di "scelta" e di "amore". Grazie dei complimenti, fanno sempre piacere, anche se il mio è solo un servizio che offro alla scrittura e agli scrittori. E' così che ho pensato questo mio spazio. Un piccolo faro che indichi delle rotte nel vasto buio della notte oceanica. Attendiamo tutti di leggerti allora, e spero di avere presto altri tuoi contributi. Un saluto e grazie...

Anonimo ha detto...

Il libro di Lia Levi è molto bello e si legge d'un fiato. E' una storia scritta con levità, ma nn è mai leggera, anzi,in alcuni punti è dolorosa, struggente. E' la storia di una famiglia ebrea i Segre, la storia di Teresa, una donna che si prende cura degli altri, perchè è questo il suo solo modo di amare, la storia di un amore tra Amos e Teresa, ma è soprattutto la storia del primo novecento italiano, periodo che in letteratura non è poi così esplorato.
Leggete il libro di Lia Levi, lo consiglio davvero
emilia Bersabea Cirillo
emiliacirillo@virgilio.it

Luigi La Rosa ha detto...

Carissima Emilia, che gentile che sei a prendere parola e intervenire con tanta premura sul mio blog. Mi fa piacere averti, come mi fa piacere parlare del romanzo di Lia Levi. Hai ragione: quando si parla di "leggerezza" nello stile di Lia si fa riferimento ovviamente non a una qualche superficialità o mancanza di profondità. Tutt'altro. Si parla di quella grazia, quella levità tanto cara a Italo Calvino. La capacità di non gravare, di non pesare, lasciando che le ombre siano ombre, che la luce si posi con morbidezza disegnando i contorni delle cose. Sono davvero emozionato delle meravigliose risposte di questo blog. Grazie ancora, mi occuperò presto pure del tuo racconto. Promesso. Un abbraccio...

Luigi La Rosa ha detto...

Un comunicato di cui mi ha appena incaricato la nostra Lia Levi al telefono: al momento si trova a Lecce, per uno dei suoi giri letterari. Ma ha dato una rapida occhiata all'intervista ed è felice. Manda a tutti un abbraccio grande, impegnandosi a rispondere con calma al suo rientro a Roma tra pochi giorni. Un abbraccio pure a lei da parte del blog e a tutta la città di Lecce, ammirata ieri sera nel nuovo film di Ferzan Ozpetek...

Alessio Grillo ha detto...

Un abbraccio caloroso a Lia Levi. Ho cominciato a leggere il suo libro, lo trovo profondo, emozionale, complimenti. Un grande in bocca al lupo!

Luigi La Rosa ha detto...

Grazie Alessio caro. Buona lettura!

Anna P. ha detto...

Complimenti alla scrittrice, lo leggerò senz'altro. Lodi anche alla qualità grafica della copertina, appropriata ed efficace!

mavie parisi ha detto...

"Senza mediazioni cerebrali ma con l'immediatezza della seduzione". Non credo si possano trovare parole migliori. Questo è quanto ogni scrittore vorrebbe sentirsi dire, specialmente se a scrivere queste parole è un altro grande scrittore.
Complimenti Francesco è la cosa più bella che potevi dire alla tua amica Lia

Anonimo ha detto...

Confesso di non conoscere Lia Levi, ma a leggere la bellissima recensione di Luigi mi sento in torto. In torto con me stesso per essermi privato del patrimonio di emozioni che questa autrice immgino riesca a regalare ai suoi lettori. Il tempo è tiranno e le incombenze materiali della vita ci fanno perdere le cose più belle. Prometto di rimediare al più presto. Grazie Luigi per lo scrupolo professionale che eserciti nel valorizzare quanto è degno di attenzione. Questo blog è un'oasi di serenità.

Salvo Zappulla

Anonimo ha detto...

Caro Luigino,
leggendo la tua intervista e le meravigliose parole che la precedono, ho avvertito la voce di Lia nelle orecchie... la sua risata, i suoi sguardi accesissimi di vita, curiosità, intelligenza.
E' stato come averla alle spalle del pc, incarnata in una presenza benevola e familiare, ancora in posa in quel bellissimo ritratto in cui Alessio l'ha saputa cogliere, con una collana verde spumeggiante come un'alga di scoglio.
Così la vedo oggi, la cara Lia...metà creatura di carne e metà creatura di pennello, sintesi di quell'incrocio raro (ma possibile) tra arte e vita.
Ecco...credo che sia per questo che la sua scrittura scorre dritta al cuore, come un guanto che si indossi dimenticandone la pelle. Sommandola, anzi, alla propria. Perchè la scrittura di Lia transita dalla vita alla parola senza balzi e sconnessure, ma con la rapidità di un colombo, con la folata allegra e spiazzante di un cappello trasportato dal vento. Libera. Audace.
Soprattutto, vera.
E vera non perchè sia davvero accaduta, ma solo perchè fedelissima a se stessa, alla ricerca inesausta di dire senza travalicare, senza prepotenza o violenza, con la semplicità, anzi, di tutto ciò che è autentico.
E' una lezione di equilibrio e armonia davvero impareggiabili, caro Luigino. E spero solo che nei suoi viaggi incantati in Sicilia, forse attratta da antenati sconosciuti e vibranti di memoria per lei, Lia si fermi anche qui, dove vorrei accoglierla come se non fosse mai andata, dove mi piacerbbe che sentisse, almeno un poco, il calore di chi torna a casa.
Un bacio a entrambi, Luigino. Bravissimi.
La vostra Simo

Piera Mattei ha detto...

cari Luigi e Lia, il tema e il tono dell'intervista mi spingono a uscire (non sono ancora guarita da una brutta bronchite) per andare a comprare la Sposa gentile, di cui Lia mi parlava, già qualche tempo fa, con tale "affetto" da rendermi curiosa e desiderosa di leggerlo.
Amo Lia per la sua scrittura agile e ironica, per la rivendicazione d'identità unita alla totale apertura e mancanza di faziosità, che ora la fa guardare con tanta simpatia a questa antenata "gentile". Riprenderò il discorso, senz'altro con lei, a lettura ultimata, e certamente anche con te, Luigi caro.

Luigi La Rosa ha detto...

Carissima Mavie, sono d'accordo con te. Nell'arte l'intelligenza deve rimanere un gradino dietro rispetto al fuoco bianco dell'emozione, alla purezza dello sguardo. A volte, l'eccesso di lucidità e intelligenza uccide un'opera d'arte. La limita. Le impedisce di raggiungere quella sua completezza irrinunciabile. Il romanzo di Lia, per dirla con Francesco, ha proprio questa proprietà: che seduce, affascina, prima ancora che raccontarci un mondo o che mostrarci il senso profondo e ultimo della Storia (che pure è presente tra le pagine e accompagna le fila dei destini). Sono felice di aver offerto a questo libro la mia piccola ma appassionata vetrina. Quasi orgoglioso. Lia lo merita perché è un'ottima scrittrice e un'amica cara...

Luigi La Rosa ha detto...

Caro Salvo, le tue parole sono sempre pervase da una stima sincera e da un grande affetto. Sappi che sono ricambiati. Lia Levi è una bravissima scrittrice, e se questo post si tramutasse in un'occasione per farti scoprire e apprezzare la sua scrittura sono felice di avervi lavorato. Una volta letto uno qualsiasi dei suoi romanzi, sono certo che ti avventurerai lungo tutta la sua produzione. Così è stato per me. E per tanti amici comuni. Ora, quando l'avremo in Sicilia (il 30 apile sarà a Siracusa, e il 29 la presenterò alla libreria Cavallotto di Catania) sono certo che faremo grande festa intorno alla sua opera e alla sua persona. Quando dici che trovi questo spazio un'oasi di serenità mi riempi di gioia. Io ce la sto mettendo tutta per renderlo un luogo della mente: vero, autonomo, profondamente libero dalle imposizioni esterne e dai dettami del mondo editoriale. Uno spazio ravvivato dalla passione e dal gusto, che da sempre sono le due leve che muovono le mie scelte. Non voglio che vi siano altri discorsi dietro. Solo la voglia di scoprire delle emozioni sincere, di sfogliare dei libri belli, di riflettere sul senso ultimo di questo sogno comune che è la LETTERATUA...

Luigi La Rosa ha detto...

Simoncina carissima, le tue parole sono sempre parole di poesia. Parole di vento. Ma un vento che non passa, che lascia il segno, che mette i brividi sulla pelle. La descrizione che fai dell'arte di Lia è perfetta: che aggiungere di più? E anche questa suggestione di una possibile parentela siciliana ci fa sognare. Ne parleremo a lungo con Lia, che è felicissima di venir giù e di ritrovare dei compagni di percorso e degli amici affezionati. Il suo libro parla da solo, e anche grazie a questo nostro passaparola molta gente si renderà conto della sua forza e della sua ricchezza. Grazie di essere intervenuta, cara Simo, fallo spesso, perché la tua scrittura è amabile, sia quando racconti delle storie, sia quando manifesti la tua adesione e il tuo apprezzamento. Un bacio grande...

Luigi La Rosa ha detto...

Piera cara, che bello leggerti! Mancava la tua voce, come in questi giorni di convalescenza mi manca la tua presenza cara. Come stai, carissima? Stai guarendo da questa scocciante bronchite? Grazie della condivisione: anche questo è un aspetto della scrittura di Lia, la mancanza di orpelli, di retorica, di quelle che una volta lei stessa ebbe a definire durante una chiacchierata le cosiddette "bellurie". E' un'arte nuda, schietta, che si mostra nella naturalezza del suo corpo fisico e intellettuale. Un'arte che non ha bisogno di paraventi o di maschere. Sono certo che questo romanzo ti conquisterà. Sentiamoci e vediamoci presto per una delle nostre solite passeggiate serali per via Giulia. Nel cielo di Roma comincia a spuntare una tenue primaver. Un abbraccio grandissimo...

Letizia Boccaletti ha detto...

Grazie Luigi per questo blog pieno di spunti e di idee: un posto bello dove parlare di libri. Dopo aver letto la bellissima recensione seguita dall’intervista a Lia,vorrei dire qualcosa anch’io su La sposa gentile, che è un romanzo solido capace di portare con sé il tocco caldo delle storie familiari e il ritmo cadenzato dei racconti tramandati di madre in figlia.
Lia Levi dà vita a una vera e propria scrittura dell’affetto, ricolma di sentimenti, e accompagna il lettore nelle pieghe più nascoste di mezzo secolo di vicende familiari piemontesi. Una storia che inizia alle prime luci del Novecento con l’unione, allora disdicevole, tra un ebreo e una contadina cattolica che nel cuore di Amos Segre prende il posto della delicata Margherita dalle «guance di aprile», la ragazza colta, raffinata e soprattutto ebrea scelta dalla famiglia.
Alla solitudine della casa vuota priva di amici e parenti in seguito all’esclusione dalla Comunità ebraica, la vigorosa Teresa oppone la sua incrollabile vitalità fatta di ricette di dolci imparate dalle suore e di corredini ricamati in occasione della nascita della primogenita Nerina.
La vita di Teresa è dominata da un forte senso pratico che si dimostra efficace di fronte ad ogni difficoltà. È quasi commovente l’ingenuità benevola con cui ella decide di accogliere la religione del marito. La giovane donna, grazie all’aiuto di Sara la figlia del rabbino, si converte all’Ebraismo con compassata serenità, senza stupori: uno slancio d’amore sincero, appagante e totale.
Come se per amare Amos, Teresa non potesse fare altro che accettare con coinvolgente vitalità tutto quello che gli sta intorno.
Teresa, nei fatti, è capace di affrontare il matrimonio e le relative ostilità dei parenti con lo spirito giusto, compiendo così quello slancio vigoroso che le permette di saltare con entrambi i piedi nel cerchio magico della vita dell’uomo che ama.
Coinvolta nella magia di una nuova vita, Teresa riuscirà a rientrare nelle maglie della famiglia Segre diventando proprio lei, una goyà, la nuova paladina delle tradizioni ebraiche.
Le ricette dei cibi cucinati da Teresa per le feste ebraiche, apprezzati persino dalla scorbutica matrigna di Amos e dalla cognata magna Rachele, donna ambiziosa e engagée ma priva di qualsiasi indole casalinga, verranno ricordate per sempre da figli e nipoti.
Lia Levi, alternando sapientemente nella sua scrittura il coinvolgimento emotivo dettato dal vibrare dei sentimenti e il giusto naturale distacco, porta alla luce una vicenda briosa, vivace, che si snoda con sferzante energia e prende posto nella grande storia del Novecento.
Un saluto a tutti con l'augurio di una buona lettura,
Letizia

gabriella rossitto ha detto...

Come sempre, caro Luigi, quando parli di un libro vien voglia di leggerlo. Spero di poterlo fare al più presto.
saluti cari
gabriella

Maria Rita Pennisi ha detto...

Cara Lia,
ho letto La sposa gentile e ti dirò che ho fatto fatica a interrompere la lettura, quando la giornata lo richiedeva, lavoro, pranzo, cena etc. E' un romanzo affascinante, che giorni fa, parlando con Luigi La Rosa, ho definito splendido, ma splendido davvero, perché splendente è la figura di Teresa, splendido è il modo di raccontare questo spaccato di società ebraica e splendido è lo stile, costituito da volute che si snodano una dopo l'altra, per raccontare una grande storia d'amore, in cui l'amore prende la forma di questa donna gentile.Bello è stato anche conoscere le usanze, le feste,i piatti tipici e le espressioni ebraiche. Ti abbraccio affettuosamente e ti aspetto in aprile.
Maria Rita Pennisi

adriana marciante ha detto...

Non ho avuto il piacere di incontrare la scrittrice Lia Levi, ma i miei "amici" Luigi, Maria Lucia, Simona me ne hanno dato un ritratto così ben delineato che mi sembra di conoscerla bene. La recensione di Luigi è molto bella ma soprattutto ha la qualità di intrigare chi legge. Ho letto solo ora e ho provato una tale curiosità di leggere il libro che l'unica cosa che mi duole è che a quest'ora tutte le librerie sono già chiuse...

Maria Rita Pennisi ha detto...

Caro Francesco e cara Piera,
che piacere incontrarvi! Il libro di Lia ci ha messo di nuovo in contatto e ne sono felice, perché non ci vediamo da tempo, ma vi penso sempre con simpatia e così anche Orazio. Vi abbraccio. A presto.
Maria Rita Pennisi

Caterina La Rosa ha detto...

Caro Luigi,
mi inserisco per la prima volta in questo blog e ne approfitto per farti i complimenti sia per i contenuti che per la qualità della scelta grafica. Non ho avuto ancora il piacere di leggere il romanzo di Lia ma lo farò nei prossimi giorni perché il titolo mi ha già conquistato. Ogni titolo contiene l'anima del romanzo, é lo sguardo che illumina il volto nascosto da un immaginario burka e che ti spinge a scoprire tutto il resto, a togliere i veli.
La Sposa gentile. Non moglie o compagna, ma Sposa. Questo termine racchiude in sé un universo millenario, l'accettazione di un ruolo che non conosce ostacoli e si apre ad ogni rinuncia ad ogni possibile compromesso pur di mantenere fede al patto, alla scelta. E attorno a lei un mondo che ruota, dal microcosmo familiare alla società intera dove, come sostiene Lia nella bellissima intervista, "le convenzioni non avranno mai fine, cambieranno solo configurazione". Un mondo antico anche se raccontato in chiave moderna dove la protagonista é una donna apparentemente fragile ma fedele alle proprie scelte, sa soppesarne e sopportarne il peso non schiacciata da esse ma consapevole dell'importanza dell'impegno assunto. Una donna che travalica le barriere sociali e religiose e segue la sola strada che conosce, quella della fedeltà al proprio uomo. Depositaria di una cultura antica e fertile che scava nelle radici dell'animo umano come lo fa con la terra e coltiva nel silenzio valori millenari. Ho già voglia di conoscerla Teresa, in quello scambio straordinario che avviene tra il personaggio e il lettore, intimo e personale, unico. Già l'immagino fiera e gentile in un'Italia che accoglie il nuovo secolo pieno di fermento e speranze che la storia farà naufragare miseramente. Ma si sa, l'illusione guida il presente degli uomini e maschera il loro futuro. Davvero, non vedo l'ora di incontrarla. Sarà un incontro "gentile" come la scrittura di Lia, elegante e leggera, senza "eccessi ed esagerazioni" ma piena di valori come dovrebbe essere quella di ogni vero scrittore. Caterina La Rosa-larosacaterina@virgilio.it

maria Rita Pennisi ha detto...

Un affettuoso buongiorno,
per Lia, Luigi, Maria Lucia, Simona, Mavie, Caterina, Francesco, Piera e tutti quelli che hanno fatto un commento sul romanzo di Lia Levi o lo faranno.
Con simpatia
Maria Rita Pennisi

Alessandro Piragino ha detto...

Ho letto con trasporto emotivo forte questo bellissimo libro che consiglio a tutti. Complimenti vivissimi a Lia per la sua strepitosa scrittura fatta d'ironia, metafore e grande autonomia. Una bellissima storia d'amore, di lotta alle convenzioni sociali, d'indipendenza femminile. Ho trovato molto belle le pagine finali su che fine hanno fatto i personaggi a storia finita, cosa che anche io spesso mi domando. Ciao a tutti e grazie Lia per questo meraviglioso regalo. Perchè è sempre un regalo un buon libro.

Luigi La Rosa ha detto...

Cara Letizia, è una gioia ritrovarti tra le righe di questo blog, e riscoprire il tuo affetto per Lia, la tua partecipazione al dibattito sul grande romanzo della nostra comune Amica. La tua recensione è bellissima, e ci aiuta ancora di più a entrare nello spirito più autentico del romanzo. Sì, hai perfettamente ragione quando sottolinei il senso "pratico " di Teresa, quel suo perdersi appresso a ricette e corredini, che in qualche misura restituiscono al marito l'impalcatura di una famiglia assente, infranta dai pregiudizi e dalle fredde convenzioni borghesi. Teresa contrappone la vita vera, il palpito vero della passione alle gelide imposizioni sociali, per questo vince, su tutti i fronti. Vince nell'amore per il suo uomo, vince nella sua posizione di "madre" di famiglia, e vince davanti alla comunità, che in qualche misura è costretta a fare dei passi indietro. Il suo è un esempio di donna moderna e indipendente, che dovrebbe farci riflettere moltissimo. Grazie del tuo splendido contributo, spero di leggerti ancora e spesso. Un abbraccio

Luigi La Rosa ha detto...

Gabriella cara, come stai? Garantisco in prima persona. Leggi il romanzo di Lia, non te ne pentirai. E quando verremo giù a fine aprile, magari vieni ad ascoltarla da Cavallotto. Sarà un incontro magnifico. Un saluto caro da Roma...

Luigi La Rosa ha detto...

Cara Maria Rita, grazie anche a te. Questo è il dramma dei buoni libri: che ti strappano alla vita, agli impegni, alle necessità prosaiche del quotidiano. Ma quanto è bello quel lasciarsi trascinare altrove, quel farsi rapire dall'incanto delle storie. Lasciamoci davvero catturare dalla letteratura: credo che sia il migliore degli antidoti contro il mal di vivere.

Luigi La Rosa ha detto...

Grazie Adriana, i tuoi contributi portano sempre un tocco di originalità e di intelligenza. Sì, ne abbiamo parlato perché la scrittura di Lia Levi merita grande attenzione. Quando verrà a Siracusa, sono certo che ti innamorerai di lei e della sua arte. Leggi il romanzo, e magari ne riparliamo insieme. Un abbraccio caro, a prestissimo...

Luigi La Rosa ha detto...

Caterina cara, bella la tua annotazione! Questo riportare l'attenzione sul termine di "sposa", sulla sua fierezza, sul suo orgoglio. Teresa rappresenta un pò la femminilità, quella forza che non si arrende, che combatte, che difende il diritto a vivere. E' una figura toccante, che si scontra con le convenzioni del suo tempo - quelle che come ribadisce la cara Lia non cambieranno mai. In questo senso è davvero una figura piena di luce e di fascino, che ci accompagna dalla prima pagina all'ultima. La capacità della scrittrice, come scrivo pure nel mio pezzo, è anche quella di restituirci i fermenti di un'Italia in cambiamento. Un'Italia che cerca se stessa, e in parte inconsapevole delle vergogne venture: le prossime leggi razziali e la dittatura fascista. Anche il fatto che il romanzo si chiuda proprio sulle nubi interiori di un periodo tanto drammatico è indicativo e singolare. Lia Levi ci lascia con questo senso di amarezza, di nera anticipazione, che tocca, strazia, non si dimentica. Grazie del tuo contributo, cara Caterina, spero di leggerti spesso...

Luigi La Rosa ha detto...

Buongiorno a te, cara Maria Rita, e a tutte le persone che ci seguono. Tra qualche giorno avremo pure Lia Levi, che mi raccomanda di salutare tutti da Lecce, dove sta festeggiando alla grande la sua scrittura...

Luigi La Rosa ha detto...

Verissimo Alessandro, e grazie delle belle parole. Ogni romanzo riuscito è un regalo alla vita e ai lettori. La tua annotazione è molto acuta: che fine fanno i personaggi delle storie una volta finite? Invito tutti a rispondere a questa singolare domanda...

Giovanna Milo ha detto...

Scopro quasi per caso l'esistenza di questo blog, di cui voglio tanto complimentarmi. Non conoscevo la scrittrice, se non di nome, ma adesso voglio leggere questo nuovo romanzo e magari lasciare pure io un piccolo commento. A presto. Saluti a tutti.

Luigi La Rosa ha detto...

Cara Giovanna, benvenuta. Attendiamo il suo intervento e lo commenteremo tutti insieme. Un caro saluto.

Anonimo ha detto...

Luigino mio, bellissimo l'interrogativo che poni insieme ad Alessandro. Dove vanno a finire i personaggi quando le storie finiscono?
Ecco...credo che inizino un'altra vita, nel cuore di chi li legge. E che da lì in poi si facciano indipendenti, liberi, funamboli. Sentimento, emozioni e volontà, insomma, pronti a trasformarsi in persone, per il fatto di abitare chi legge, di penetrare nella quotidianità e nel sonno, sovrapponendosi al tempo dell'altro.
Credo che i personaggi sfuggano a chi li ha ideati e manifestino una loro personalità fin dai primi atti della creazione. Si fanno sogno e più di sogno, perchè sanno indurre, sanno far pensare, sanno accompagnare le solitudini.
Ed è anche bello, credo, che lo scrittore li conduca per mano solo un po', giusto il tempo di consegnarli al loro destino, di instradarli verso chi potrebbe accoglierli. E che poi li veda andare, come noi genitori vediamo andare i figli, anche se non vorremmo, anche se ci piacerebbe trattenerli.
E tuttavia crescere, crescerli, è capire, con dolore, che anche ciò che è nato da noi non ci appartiene.
Un bacio e grazie, mio Luigino.
la tua Simo

Luigi La Rosa ha detto...

Cara Simo, hai perfettamente ragione. Mi piace questa metafora dei figli: i personaggi sono i nostri figli, sono le nostre proiezioni, e ciò che di noi rimane nel mondo quando noi saremo meno di polvere. A volte mi succede - ma credo che capiti a tutti - che dei personaggi balzino improvviamente e ostinatamente alla memoria senza neppure che io ricordi con esattezza da quale storia siano usciti, da quale libro. I personaggi si muovono e le storie si tramutano in vasi comunicanti. Comunicanti emozioni, suggestioni, ricordi, pensieri, sogni, emozioni, inquietudini. Sulla loro pelle lo stesso palpitante bagaglio della nostra. E in qualche modo i personaggi ci chiamano alle nuove storie, quelle ancora da scrivere, ancora da raccontare, ancora da sognare. Anche loro, probabilmente, come i nostri figli, non ci appartengono fino in fondo. Ma è bello averli dentro, accanto, intorno, per un qualche arco di tempo. Un bacio a te, cara Simo. A presto...

Giovanna Milo ha detto...

I personaggi somigliano alla vita, entrano ed escono dalle storie al momento più giusto. Ma secondo voi hanno il potere di cambiarle?

Luigi La Rosa ha detto...

Secondo me sì. Le storie non sono che matasse che i personaggi si trascinano dietro, ingarbugliano, sciolgono, riannodano intorno ai casi del vivere. E' un interrogativo molto interessante questo, su cui invito tutti a rispondere. Nel romanzo di Lia Levi i personaggi hanno una forza e un'autonomia di pensiero impressionanti. Diciamo che per certi versi sono pure, abbondantemente, oltre il loro tempo. Per questo la vicenda che si evolve è così avvincente e carica di emozioni.

Vincenzo ha detto...

Buongiorno, mi chiamo Vincenzo ed è la prima volta che scrivo a questo forum. Il libro di cui parlate mi incuriosisce: lo leggerò senz'altro. Grazie a tutti

Luigi La Rosa ha detto...

Salve Vincenzo, grazie di avere scritto. Spero di ritrovarla spesso. Luigi

Alessandro Piragino ha detto...

Sono daccordo con te Luigi, sicuramente nel romanzo di Lia i personaggi, soprattutto Amos e Teresa, hanno una forza e una tenacia e un forte amore che li unisce che travalica il tempo in cui la storia è ambientata. Per questo la storia ci prende con grande forza emotiva. Ma mi sembra che la domanda di Giovanna Milo sia molto appropriata: i personaggi hanno il potere di cambiarle le storie? E aggiungerei: fino a che punto? Chi scrive e ha in testa una storia da raccontare, se ha il coraggio di lasciarsi andare e quindi di far parlare muovere agire i personaggi secondo le loro caratteristiche e secondo la loro personalità, può spingersi al punto di farsi raccontare la storia dai suoi personaggi? Cioè può decidere che la storia cambi e lasciandosi andare vedere dove porta?

Luigi La Rosa ha detto...

Caro Alessandro, bellissimi interrogativi i tuoi. I personaggi e lo scrittore. Quale rapporto? Da sempre il dilemma è lo stesso: sono i personaggi a muovere la traiettoria del racconto o è il volere dello scrittore a dare forma e direzione al vettore dei personaggi? Io propendo per la prima ipotesi. Assolutamente. Mi piace credere che i personaggi non siano delle marionette prive di vita e di volontà, ma in qualche misura persone, individui, esseri dotati di anima, di sensibilità, di carattere, e persino di limiti e contrddizioni. Lo scrittore deve ascoltare questi suoi personaggi, deve farci i conti. In arte non sono possibili imposizioni di sorta. Un autore deve comunque interagire, e farsi trascinare nel gorgo emotivo che la scrittura porta in superficie. Certo, questo è il mio personalissimo parere. Magari altri la penseranno in maniera differente. Ma lo ritengo un fatto di ascolto e di democrazia: questo saper guardare, questo sentire l'altro dandogli delle chance decisionali. Caro Alessandro, grazie per aver scritto e per aver reso creativo questo dibattito. Mi piacerebbe che fosse anche un pò un'officina. E' così che l'immaginavo quando ho creato VERSO IL FARO. E' così che mi piace ritrovarlo...

Massimo Maugeri ha detto...

Carissimo Luigi,
bellissima questa presentazione del nuovo libro di Lia... e altrettanto bella l'intervista che ti ha rilasciato.
Avremo modo (e il piacere) di parlarne anche in altre sedi.
Intanto ne approfitto per salutare con affetto te, Lia e tutti gli altri amici intervenuti.
Che possiamo sempre andare insieme "verso il faro"... quello capace di illuminare le nostre anime attraverso la luce delle parole.
Io sono con voi.
Massimo Maugeri

Piera Mattei ha detto...

Caro Luigi,dietro lo stimolo della tua profonda intervista ho dunque acquistato e letto "la sposa gentile", tutto d'un fiato.
Hai ragione, la dimensione sociale ha una forza dominante. E' l'epopea di una comunità dalle regole "sacre" e inviolabili, tuttavia profondamente accettate.
Dal punto di vista narrativo straordinaria la mutevolezza del tutto naturale dei personaggi (in Emanuele ad esempio). Soprattutto mi ha colpito la rivelazione che nella protagonista l'accettazione totale dell'altro – che si esprimeva concretamente nel suo trasferimento nei precetti della religione ebraica – era legato all'amore del CORPO dell'amato.Quando quel corpo non c'è più , anche l'obbligo di aderire completamente al mondo dell'altro viene meno. La memoria, da sola, non la lega con lo stesso obbligo di fedeltà. Teresa, fin dall'inizio, è animata da una passione fisica, del tutto coerente.
Bello!
Grazie a Lia per avere scritto questa storia sociale ed umana,
e a te, carissimo Luigi, per la tua attenzione, per la tua profondità, nello scandagliare la letteratura contemporanea, come quella dei classici.

Maria Rita Pennisi ha detto...

Caro Luigi,
penso che quando un romanzo è dato alle stampe appartenga a tutti e tutti abbiamo il diritto di fantasticare su quei personaggi. Ce ne sono alcuni talmente scialbi, che si perdono per strada, ma ce ne sono altri che hanno una tale personalità, che restano indelebili nella nostra memoria. Mi piace immaginare quelli scialbi, come gente che cerca la strada, una via di uscita, un'altra opportunità ed altri forti e di temperamento, che sono sempre più sicuri di sé e magari si sentono importanti, perché su di loro è uscito un film.
Ciao
Maria Rita Pennisi

Maria Lucia Riccioli ha detto...

Bravissimo Luigino, il tuo spazio è seguitissimo, meritatamente!
Lia è una narratrice, un'affabulatrice intelligente e gentile, il suo stile è aggraziato e lucido insieme, senza sbavature.
Un abbraccio caro a tutti i miei amici - siete parte bellissima della mia vita - e ai tuoi nuovi commentatori.

Orazio Caruso ha detto...

Caro Luigi
purtroppo non ho ancora cominciato a leggere La sposa gentile, perché Rita ha avuto il sopravvento su di me e, golosa, si è impadronita del nuovo gioiello da leggere. Lo farò nei prossimi giorni, insieme alle mie alunne che amano la lettura. Insieme a loro presenterò il libro nel mio liceo il 27 aprile.
Però, intanto, ho letto Una bambina e basta. Sono rimasto incantato dal modo "lieve" (quasi un anagramma di Lia Levi)in cui in questo libro vengono trattati eventi epocali come le persecuzioni razziali e la guerra. In particolare ho apprezzato il punto di vista "straniato" della bambina e lo stile esente da "bellurie" che evita il facile patetismo e la benigna "melocomicità".
Un caro saluto a tutte le amiche e gli amici di scrittura che ritrovo agguerrite/i ed argute/i nel nuovo blog di Luigi.
Orazio Caruso

Luigi La Rosa ha detto...

Caro Massimo, le tue parole mi riempiono di gioia. Grazie di cuore. Il mio Faro è solo un piccolo brillio nella vasta notte letteraria, rispetto alla luce tenace di Letteratitudine. Il suo tentativo è solo quello di indicare, con molta modestia e semplicità, delle possibili rotte di lettura, dei percorsi di viaggio. Grazie delle belle cose che scrivi sul pezzo e sull'intervista. Le tue parole mi toccano molto. Un caro abbraccio

Luigi La Rosa ha detto...

Caro Massimo, le tue parole mi riempiono di gioia. Grazie di cuore. Il mio Faro è solo un piccolo brillio nella vasta notte letteraria, rispetto alla luce tenace di Letteratitudine. Il suo tentativo è solo quello di indicare, con molta modestia e semplicità, delle possibili rotte di lettura, dei percorsi di viaggio. Grazie delle belle cose che scrivi sul pezzo e sull'intervista. Le tue parole mi toccano molto. Un caro abbraccio

Luigi La Rosa ha detto...

Cara Piera, intanto mi riempie di gioia e di orgoglio il fatto che il mio piccolo Faro ha assolto alla sua funzione. Che ha illuminato la vasta notte, indicando dei suggerimenti. Sì, il romanzo di Lia è straordinario proprio per le cose che indichi tu. E' un romanzo sul "corpo", sulla fisicità, e l'autrice è abilissima nel renderne emozioni, sensazioni, suggestioni. Nel momento in cui il corpo dell'amato non c'è più, cadono le regole dell'amore e le accettazioni dei rituali altrui. Anche tu sei un'amica preziosa, e le tue parole mi lusingano moltissimo. Ma tutto questo è possibile solo grazie ai vostri contributi, che stanno arrivando numerosi e pieni di calore. Un abbraccio e grazie, grazie sempre...

Luigi La Rosa ha detto...

Maria Rita, davvero bella la tua intuizione. I personaggi come gli esseri umani. Gli scialbi e quelli forti, motivati, volitivi. Un'interpretazione che fa riflettere e che arricchisce il corollario di questa pagina. Sento che questo blog è una sorta di festa intorno alle pagine di un romanzo, un modo per attraversarlo e celebrarlo. Grazie di cuore, ci aggiorniamo prestissimo, e scrivete ancora. Vi aspetto puntualmente qui, anche quando arriveranno le risposte di Lia Levi. Un abbraccio...

Luigi La Rosa ha detto...

Maria Lucia, grazie davvero. Se questo blog è da subito "seguitissimo" è per l'affetto, il calore e l'attenzione che gli state tributando. E' perché ci sono ancora persone come voi, legate alla passione letteraria e alla voglia di confrontarsi. Insieme, faremo in modo che questo piccolo faro divenga luminoso quanto una stella. Ti abbraccio...

Luigi La Rosa ha detto...

Caro Orazio, anche il tuo contributo accende la riflessione e stimola il pensiero. Sì, la prosa di Lia ha questa meraviglisa levità, questo non pesare e non compiacersi. E' un esempio per tutti noi, soprattutto per quelli che subiscono - e io mi riconosco tra questi - le suggestioni pericolosissime della musica del linguaggio. E' un esempio di leggerezza, di trasparenza, di essenzialità. Grazie di cuore della riflessione - e vedrai che adesso la nostra Rita ti lascerà libero di riappropriarti del romanzo. Un abbraccio grande, a presto

Maria Rita Pennisi ha detto...

Caro Luigi,
con Orazio stiamo per uscire, ma prima voglio rinnovarti i miei auguri per questo blog, che già si delinea interessantissimo e ricco di voci colte e piacevoli. Saluti a Rita Charbonnier e a tutti gli amici dello stage. Vi pensiamo con affetto e simpatia. Domani presento il libro di Mavie al Mula di Viagrande e il mio attore preferito (Orazio Caruso) leggerà con la sua voce roca incantanto la platea.
P.S. Gli ho dato il libro di Lia.
Baci Maria Rita e Orazio

Maria Rita Pennisi ha detto...

Correggo incantanto in incantando, ma è arrivato Orazio e sono rimasta incantata o come si dice in siciliano inciurmata.
Maria Rita

Lia Levi ha detto...

cari amici. sono appna tornata dalla Puglia e sono rimasta molto molto colpita dal numero di vostri commenti. Leggerò tutto con calma (e con gioia) e cercherò di rispomdervi.magari in modo un po' cumulativo. Intanto grazie, grazie, Lia Levi

Luigi La Rosa ha detto...

Carissimi Rita e Orazio, grazie ancora. Sono senza parole: il vostro affetto e la vostra presenza sono eccezionali. Sono una forza. Siete una forza. Grazie per gli auguri: questo blog non è mio. E' nostro. E sarà un faro di riferimento per tutti noi. Un vivo "in bocca al lupo" a Mavie per la sua presentazione. Saluti cari e a presto

Adelia Battista ha detto...

Caro Luigi, hai creato un luogo di partecipazione tra lettori e scrittori e un grande dialogo collettivo.

Ho cominciato a leggere La sposa gentile, di Lia Levi, su “fogli volanti”, stampati uno per volta, che raccoglievo (con una misteriosa esultanza), via via in capitoli prima che il libro venisse pubblicato in volume. Mentre la storia, che ha uno spunto di realtà,(riguarda i suoi nonni legati da un’arcana passione e complicità), acquistava un ordine interno, una incredibile sapienza compositiva, (mi ha fatto pensare, per qualche aspetto, al capolavoro di Thomas Mann, I Buddenbrook), rivelava anche quello che è il “dono supremo del romanziere”, il piacere di raccontare, di trasformare e cogliere le vicende. Lo sguardo si eleva altissimo sopra la trama (parenti prossimi e lontani, soci in affari e servitori, eventi storici e aneddoti casalinghi), e insieme si china su ogni tazza di tè, su ogni tic, su ogni dialogo. La scrittura, poi, nasconde la sua profondità e sapienza nelle piccole cose, per dirla con AMO,(Anna Maria Ortese), – “ è come la principessa delle fiabe la cui bellezza si nasconde dietro gli stracci e la polvere”.

Luigi La Rosa ha detto...

Carissima Lia, finalmente ci sei anche Tu. La nostra cara festeggiata. Sarà una festa. Attendiamo il tuo intervento. Intanto un saluto caro a tutti gli amici del blog...

Caterina La Rosa ha detto...

Caro Luigi,
"Ma dove vanno i marinai, con le loro giubbe bianche, sempre in cerca di una rissa o di un bazar?..." cantavano Lucio Dalla e Francesco De Gregori alla fine degli anni settanta. E io mi chiedo, rispondendo al tuo invito: Ma dove vanno i personaggi, con le loro belle storie sempre in cerca di un lettore ...Da scrittrice di gialli potrei risponderti che si perdono nelle oscure nebbie della memoria, immersi nei loro silenzi,ma preferisco pensare che si inserisono nella nostra mente, si ricavano uno spazio e ne prendono possesso. Ognuno di loro subirà una trasformazione, cambierà il suo volto originale, il suo tono di voce, le sue movenze, adattandole ai capricci del proprio lettore che lo renderà unico e irripetibile. Perché sappiamo bene che ogni lettore riscrive la storia e ridisegna i personaggi nell'esatto momento in cui avviene la lettura. E quì sta la magia e il fascino della lettura, nella possibilità di immaginare una storia e un personaggio liberamente, senza il vincolo dell'immagine come avviene in televisione o al cinema dove non c'é spazio per la fantasia e per una visione personale del racconto.
"Ma dove vanno i marinai...
Un caro saluto a tutti i lettori del tuo bellissimo blog in particolare a Simo, Maria Lucia, Rita e Orazio,
Caterina La Rosa

Lia Levi ha detto...

Eccomi finalmente tornata in mezzo a voi, anche se martedì ripartirò ancora, questa volta per Prato (nel caso ci fosse qualcuno da quelle parti farò capo alla gloriosa libreria Il Gufo).
Vi voglio davvero di nuovo dire il mio grazie. Mai riaprire il computer dopo una pausa mi è stato fonte di tanta gioia, con tutti quei messaggi che debordavano festosi nella mia direzione. Però mi sono accorta che nelle poche righe che avevo scritto appena arrivata avevo dimenticato la causa prima. Non avevo fatto cenno all’impareggiabile e forse unico esemplare al mondo di “suscitatore di cultura” qual è Luigi La Rosa. Non solo è scrivibile a suo merito l’idea e la messa a punto di questo raffinato blog, ma, per quello che mi riguarda, sua è, logicamente, la lunga, articolata e approfondita intervista che avete letto e da cui è partito il resto (mentre io vagabondavo per il Salento, Luigi si è fatto intanto anche interlocutore al posto mio dialogando con chi aveva inviato i suoi commenti).
Molte risposte quindi le ha date lui, e non lo dico per tirarmi indietro. E’ vero che ormai il discorso ha compiuto un suo cammino, e quindi mi limiterò a toccare qualche punto qua e là.
Fra l’altro con gli amici di Catania e Siracusa m’incontrerò fra non molto, e i temi che hanno toccato a proposito del libro saranno di sicuro oggetto di analisi e discussioni. Comunque grazie intanto a Maria Lucia (bella la sua espressione “impasti amorosi” a proposito della cucina di Teresa), a Mavie, Alessio, Simona, Caterina La Rosa, Massimo Maugeri, Maria Rita, Orazio (ci vedremo al suo liceo il 27 aprile, un appuntamento che aspetto con vero piacere).
E poi i molti altri, in Sicilia e altrove. Ringrazio a parte Piera Mattei che dopo essere uscita di casa ancora quasi malata per comprare il mio libro, ha fatto una osservazione che mi ha colpito molto. Per Piera “l’adesione all’ebraismo da parte di Teresa è legata al CORPO e quando il corpo non c’è più… viene meno la spinta ad aderire al mondo dell’altro. Una intuizione da poeta come lei è.
Francesco in mezzo a parole molto belle fa una osservazione anche questa curiosa e inconsueta a proposito del mio “titolo icastico”.
L’avete letta, Letizia Boccaletti più che un commento ha scritto una vera recensione molto acuta e approfondita: grazie a questa neo-laureata. Grazie anche a Emilia Cirillo, Salvo Zappulla. Giovanni F., Anna P., Gabriella Rossitto, Alessandro Pirogino, Giovanni Milo, Vincenzo, Adriana Marciante.
Alessandro, seguito poi da molti altri, ha preso spunto dal mio libro per lanciare l’eterno, affascinante tema della libertà e autonomia dei personaggi creati dallo scrittore. Sono prigionieri della trama o balzano fuori per acquistare una vita indipendente? E’ valida, validissima la seconda ipotesi. E’ sorprendente, ogni volta che si scrive, vedere come i personaggi ti sgusciano via dalle mani e cominciano ad agire per conto proprio. Per fare un esempio personale: il “mio” personaggio doveva essere il più problematico Amos, e Teresa solo la comprimaria. Ma Teresa ha fatto un balzo e si è presa lei quasi tutta la scena.
Alto tema. Un libro ci può cambiare la vita? Mi piace la risposta che ha dato un poeta: “Un libro non cambia la vita, te la scambia”. Te la scambia con una vicenda altra che ti trascina con sé e poi magari ti riporta cambiato nel tuo mondo
Ecco, per ora ci fermiamo. Se avessi dimenticato qualche interlocutore, mi scuso fin d’ora. Comunque vi ho letto tutti.
Per finire una risposta pratica. Letizia da Genova mi chiede se è previsto un incontro nella sua città. No, ma il 13 e 14 maggio sono al Salone del libro di Torino, che non è poi così lontana da Genova, vero? E poi il Salone merita una visita… Grazie ancora e arrivederci a tutti, Lia Levi

Federica ha detto...

Bellissimo blog, complimenti a Luigi La Rosa!
Carissima Lia, sono Federica, che hai conosciuto durante il tuo recente "vagabondare" per il Salento (libreria "Idrusa"). A parte i -dovuti!- complimenti per la tua produzione, volevo ringraziare Te e Tuo marito per la compagnia gradevolissima e il bel viaggetto da Lecce al basso Salento, e spero che ci rivedremo in occasione di "Ottobre piovono libri". Attendo che mia madre finisca di divorarsi il libro che le hai autografato in macchina, seduta accanto al caminetto, per potermene appropriare per qualche giorno. Intanto devo dire che leggere i vostri commenti, le domande e gli spunti lanciati da chi partecipa a questo blog non ha fatto che aumentare in me la curiosità!
Un abbraccio a tutti, e a presto!

Luigi La Rosa ha detto...

Caterina carissima, grazie del tuo punto di vista da "scrittrice". Mi piace quello che scrivi del personaggio, un personaggio vivo, autonomo, che si ritaglia uno spazio speciale nella mente del lettore e che vive di vita autonoma. Perché così è, lo sperimentiamo tutti, ogni giorno. Grazie ancora per le belle annotazioni di percorso, questo blog, fin dai suoi primi numeri, sta già rivelando la voglia di crescere, di palpitare. Ci vediamo presto, continua a seguirmi. Un abbraccio

Luigi La Rosa ha detto...

Lia carissima, bentornata! In mezzo al vasto mare del tuo viaggiare, hai trovato il tempo di scrivere, di dire cose tanto belle sul mio blog. Te ne sono davvero grato. Sono felice di due cose fondamentali: la prima, che il tuo libro stia avendo la giusta attenzione che merita, lo spazio poeticissimo che si ritaglia in tutti noi lettori. La seconda, che questo stia accadendo attraverso il miracolo del blog, che fin da questo suo primo numero importante è già pieno di commenti, di riflessioni, di annotazioni di carattere letterario. Era esattamente questo che volevo. Un blog in cui si discutesse (non della vita quotidiana, o delle piccole prosaiche faccende che ingabbiano la mente di tutti noi), ma di temi alti, di temi importanti. Ne parlavo pure diverse sere fa, durante una passeggiata serale tra i vicoli di Roma, con l'amica Piera Mattei. L'esigenza di uno spazio in cui discutere di problematiche narrative - di tempi, di lingue, di personaggi, di trame, di storie appunto - e di farlo insieme alle persone che ci seguono, che hanno voglia di crescere, di dialogare. Il mio piccolo Faro nasce con queste ambizioni. Giuste. Lecite. E con la voglia di aprirsi uno spazio nel fluttuare incessante del mondo della rete. Sono certo che sarà un'esperienza per tutti quanti. Grazie ancora dei complimenti (che mi fanno quasi arrossire), sono felice che tu abbia apprezzato l'attenzione di tanti lettori speciali, che al ritorno dal tuo viaggio pugliese ti son venuti incontro per regalarti il loro abbraccio di parole. Carissima, a presto, per parlare ancora delle tue splendide pagine. Buon viaggio e tanti, tantissimi auguri per i prossimi giri. Ti aspettiamo in Sicilia

Luigi La Rosa ha detto...

Federica cara, grazie dei complimenti. Giungi sul nascere del blog, che ti accoglie a braccia aperte, per parlare dell'opera di Lia Levi. Sono certo che ti troverai benissimo, e spero che continuerai a leggerci e a lasciare i tuoi commenti anche in futuro. Tra una decina di giorni ci sarà un nuovo bellissimo numero sull'ultimo romanzo di Francesco Costa, "L'imbroglio nel lenzuolo". Ti attendo. Un caro saluto

Salvo R. ha detto...

Salve, complimenti per questo spazio. Alcuni anni fa lessi "Una bambina e basta", un libro che è ancora tra i miei più amati. Poi, i casi della vita mi portarono a non leggere più nulla della scrittrice, fin quando, l'estate scorsa, non ebbi tra le mani un altro suo bellissimo romanzo: "Il mondo è cominciato da un pezzo". Questo blog è l'occasione per scoprire con piacere anche l'ultimo lavoro della signora Levi, alla quale faccio i più sinceri auguri. Complimenti pure a Luigi La Rosa per la cura e l'efficenza del suo blog letterario.

Luigi La Rosa ha detto...

Adelia carissima, mi piace la riflessione che compi sul mio blog. Questo luogo di dialogo tra lettori e scrittori è ciò di cui sentivo il bisogno, che mi piaceva provare a costruire insieme a voi. E siete stati proprio Voi a renderlo possibile e vivo, palpitante, emotivo, colorato.

Il tuo racconto della lettura del romanzo di Lia sui fogli volanti è veramente suggestivo, narrativo esso stesso. Come sempre ci regali le suggestioni del tuo lavoro, del tuo impegno, della tua attenzione ai grandi scrittori di ogni tempo. Grazie cara. Dell'amica Adelia Battista approfitto per ricordare a tutti i lettori il meraviglioso "Ortese segreta" (Minimum fax).

Nella tua interpretazione dell'universo letterario di Lia Levi non c'è solo la precisione, l'impegno del mestiere, c'è l'affetto, ci sono la stima, l'amicizia, il bisogno sincero di confronto. Per questo le tue parole sono efficaci, e aprono spazi di luce nel buio controverso della contemporaneità.

Cara Adelia, spero di ritrovarti spesso tra le mie pagine. Un caro abbraccio dalla Sicilia (sono appena giunto, dopo uno dei miei infiniti viaggi in pullman).

Luigi La Rosa ha detto...

Rispondo a Salvo: che belli questi casi della vita che mescolano le letture insieme ai giorni, disegnando una speciale geografia del cuore e dei sentimenti. Caro Salvo, grazie del suo contributo. Il blog è qui per accogliervi tutti, e sono felice se le mie parole saranno in grado di tramutarsi in uno stimolo potente alla lettura di questo e di tanti, tantissimi altri romanzi. Un affettuoso saluto, torni a scrivere presto.

Maria Rita Pennisi ha detto...

Cara Lia,
sono contenta di ritrovarti. Dall'ultima volta che ci siamo incontrate è passato un anno, ma tra breve ti avrò nuovamente ospite e ne sono felice. E' vero quello che dici. E' successo anche a me e chissà a quanti, che un personaggio abbia tanta personalità da imporsi nella narrazione. Però è bello che accada, perché significa che è vivo e non solo il frutto della nostra fantasia o di un nostro ricordo. Teresa è bella e carnale, ma il personaggio del lungimirante Amos, che con freddezza impone una promessa a se stesso, per poi seguire il cuore è affascinante. Un saluto a tuo marito, che ricordiamo con simpatia e un grazie a Luigi, che crea ponti tra tutti noi, riuscendo a tenerci sempre uniti e vicini.
Maria Rita

Luigi La Rosa ha detto...

Grazie Maria Rita, l'idea del ponte di cultura è fantastica! Mi piace moltissimo. Ti abbraccio!

Maria Rita Pennisi ha detto...

Caro Luigi,
cosa c'è di più bello, nel buio della notte, della luce di un faro?
Passando veloce sulla scia che crea l'imbarcazione, il navigante si sente consolato dalla luce del faro e così è per noi. Quando ci sentiamo sconsolati, perduti, soli cerchiamo la luce di un faro, che ci attiri, che ci orienti. La luce della cultura è quella che attira le anime in cammino. Quelle anime che vogliono rinnovarsi e trovano nel confronto con gli altri, nel dialogo, nello scambio di idee un ponte di luce, un gioioso arcobaleno su cui volteggiare, su cui funambolare nell'attesa che un altro ti prenda la mano.
Un grande abbraccio
Maria Rita

rosalia ha detto...

Eccomi qui. Sono alle ultime pagine del romanzo di Lia, che mi ha preso fin dall'inizio, e mi ha fatto vedere, ascoltare, annusare la storia dei magnifici personaggi che ne sono protagonisti. Non solo Amos e Teresa, anche le figure di contorno, le cognate, la Rabbina, figli, nipoti e servitù.
Colpisce la forza della passione che fa troncare a Teresa ogni rapporto con la sua famiglia, fino a piangere di nascosto la morte del fratello nella grande guerra, fino a relegare gli stessi figli in uno spazio secondario. Una figura femminile davvero toccante, che attraversa la propria storia personale e la grande Storia dei primi decenni del secolo passato con le sue poche certezze, forse, in fondo, con un'unica certezza: che quella passione, quell'essersi scelti col sangue, costituisca il perno della sua esistenza.
Un affettuoso saluto da Rosalia (Lia) Messina

Anonimo ha detto...

Caro Luigi, intanto i miei complimenti per questo faro nel buio. Passo alla tua domanda sui personaggi. Secondo me alla fine della lettura di un romanzo si trasferiscono, ognuno con la propria personalità in una sorta di giardino. Lì si uniscono a quelli delle precedenti letture. Possono incontrarsi, crescere, mescolarsi, rinascere persone nuove che troveremo nelle pagine scritte di altri libri o nei nostri racconti. Lorenza

Luigi La Rosa ha detto...

Cara Maria Rita di più bello del faro non c'è nulla. E l'ha capito bene la nostra grande Virginia, che ha saputo coniugare la stabilità dell'elemento fisico al moto dinamico delle acque e dei cieli. E' questa la magia che volevo si respirasse tra gli spazi di questo blog. La magia che rimanesse negli occhi e nel cuore di chi legge un bun romanzo. E le vostre meravigliose continue presenze lo testimoniano. Grazie di avere scritto. Ormai sei tu la vera padrona di casa di VERSO IL FARO. Un abbraccio...

Luigi La Rosa ha detto...

Lia carissima, ti aspettavo, benvenuta. Grazie del tuo commento acuto, singolare, intelligente come sempre. Ciò che dici sul piangere in segreto il fratello morto in guerra riguardo a Teresa è verissimo. Chi tronca in modo così bruciante e radicale i rapporti con la propria famiglia di origine poi è costretto a vivere in assoluta solitudine i casi dell'esistenza. Eppure, tale solitudine è poesia, è ruggito, è forza devastante che lascia il segno, come il sale sulla sabbia dopo il ritiro dell'onda. Trovo pure io la figura di Teresa molto forte e molto vera. Carissima, grazie di aver scritto. So che a Lia Levi farà tanto piacere, e che al ritorno dal suo nuovo giro di questi giorni leggerà con vero piacere ogni annotazione. A presto, e in bocca al lupo per il tuo di libro. (Approfitto per lanciare un saluto alla raccolta di storie di Lia in uscita proprio in questi giorni. Tanti, tantissimi auguri...). Un abbraccio grande in attesa di rileggerti...

Luigi La Rosa ha detto...

Lorenza carissima, ti leggo in piena notte, al rientro dal cinema, prima di crollare. E l'incanto della tua intuizione mi culla come un candido sogno. Che bella immagine hai scelto: un giardino, dove i personaggi della scrittura e dei libri amati possano radunarsi, discutere, incontrarsi e amarsi ancora. Un'idea davvero strepitosa, che devi - assolutamente devi - tramutare in un racconto. E' veramente troppo interessante per abbandonarla. Mi raccomando! Intanto grazie pure a te di aver scritto, ora attendo spesso di leggerti. Ormai sai quali onde affrontare e quali cavalcare per giungere alla luce stellare del mio piccolo faro. Questo luogo deve diventare pulsante di vita e di emozioni come lo siamo tutti noi quando abbiamo davanti un testo letterario. Già nelle righe del tuo commento riconosco il tuo stile, il tuo amore per la favola, per la fantasia, per l'immaginazione, e tutto ciò è toccante. Il fatto che ciascuno testimoni la propria ammirazione per qualcosa attraverso il proprio linguaggio. Un presupposto che ci condurrà lontano, abbi fiducia. Continua a seguirmi, cara Lorenza, Un abbraccio grande...

Lia Levi ha detto...

Cari amici, sono di ritorno da un altro tour di una settimana, qesta volta a Prato (una cosa che non c'entra niente con noi ma troppo carina: un bambino delle elementari mi ha domandato "Da piccina eri ebrea?"). Ho letto al ritorno altri interventi di amici e lettori, puntellati dagli
stimolamti commenti del nostro grande Luigi e vorrei di nuovo ringraziare quanti hanno scritto.
Quello di Adelia, per quel sincronismo che spesso ci unisce, è comparso in contemporanea al mio saluto precedente e l'ho quindi ancora una parola per Federica, appassionata libraia del Slento, che penso d'incontrare a "Ottobre
piovono libri", a Salvo R. che mi ha letto al mio esordio e con cui spero riallacceremo i fili, a Maria Rita con la sua acuta replica (grazie per l'invito)e infine a Rosalia. Grazie per le belle parole e davvero auguri per
il tuo libro in uscita. Il resto va tutto a Luigi, Lia

Luigi La Rosa ha detto...

Pubblico qui di seguito lo splendido articolo che Maria Rita Pennisi ha dedicato a Lia Levi, uscito sul quotidiano "La Sicilia" di ieri:

Lia Levi, autrice di saggi e di romanzi di successo, ritorna con la sua ultima fatica letteraria, La sposa gentile, edizioni e/o. Comincia in modo perentorio, ma anche ironico, la storia di Amos Segre, esponente di una ricca famiglia piemontese di origine ebraica. Allo scoccare del Novecento, Amos fa due promesse a se stesso: crearsi una posizione economica solida e sposare una donna, con cui condividere una dimora degna di tale conquista, tutto entro i trent'anni di età. Amos diventa ricco, come aveva stabilito, però si innamora di Teresa, una giovanissima contadina cristiana. Appunto una gentile. L'unione con Teresa chiude ad Amos le porte della società ebraica, per prime quelle della sua famiglia. Le sofferenze di Amos vengono attutite dall'amore di Teresa, che vuole a tutti i costi diventare ebrea. Quando lo saprà la comunità ebraica, le cose cambieranno e la casa di Amos, diverrà meta di parenti e amici. Centrale e magnifico è il personaggio di Teresa, che ha un amore infinito per Amos e fa sì che i desideri di lui, anche quelli non espressi, siano i suoi. Lei per amore diventa l'ebrea perfetta. Infatti è quella che conosce tutto dell'ebraismo, dalle origini fino ai piatti tipici. E' proprio la cucina di Teresa, che diventa l'altra grande protagonista della saga. La grande stanza da cucina è il suo regno. Possiamo entrarvi con lei e sentire gli odori dei dolci tipici ebraici e dei piatti tradizionali, che lei prepara abbondanti per tutta la famiglia Segre ad ogni festività, e assaporarne il gusto. Nel romanzo, la figura di Teresa si staglia luminosa come un sole, attorno a cui tutti girano, amici e parenti. E' una figura titanica. E' la Grande Madre, forte e accogliente. L'amore che ha per Amos la rende invincibile. Il suo volere a tutti i costi essere ebrea corrisponde al suo desiderio continuo e rinnovato di fondersi con Amos. Tutti i numerosi personaggi di questa storia sono ben delineati. Profondo è lo scavo psicologico di ognuno e specialmente quello del lungimirante Amos, che avverte nell'aria ciò che agli ebrei si sta apparecchiando. Equilibrata è la distanza che il narratore esterno tiene dai suoi personaggi. Ottimo l'intreccio. Perfetto il ritmo narrativo. Le metafore sono raffinate. I periodi ariosi, incisivi ed eleganti Lo stile è avvolgente. Tutti buoni motivi per tuffarci nella lettura di quest'ultimo romanzo di Lia Levi, che ci toccherà fino in fondo all'anima.

Maria Rita Pennisi

Maria Rita Pennisi ha detto...

Caro Luigi,
grazie per aver inserito la mia recensione sul romanzo di Lia Levi, apparsa ieri sul quotidiano La Sicilia, nella pagina Cultura e Società. Sono contenta anche perché Lia può collegarsi e leggerla subito. Questo romanzo di Lia mi ha affascinato non solo per la trama, il carattere ben delineato dei personaggi, l'ambiente, ma soprattutto per il tipo di scrittura così avvolgente. Ne parlavo sabato a Roma con Francesco Costa e condividevamo lo stesso parere sia sui personaggi, che sulla bellezza della scrittura di questo romanzo. Ancora grazie Luigi. Un saluto affettuoso a Lia Levi.

Maria Rita Pennisi ha detto...

Caro Luigi,
grazie. Un grande abbraccio
Maria Rita Pennisi

Maria Rita Pennisi ha detto...

Buongiorno a tutti.
Maria Rita Pennisi

Luigi La Rosa ha detto...

Grazie a te, cara Rita. Un abbraccio caro...

Anonimo ha detto...

Sempre una gioia ospitare Lia Levi in Sicilia, regione che è legata a doppio filo con la sua storia personale e di scrittrice, come ci ha rivelato lei stessa durante l’incontro che si è tenuto nella mia scuola giorno 30 aprile.
I ragazzi, attenti e coinvolti, anche grazie al lavoro di preparazione svolto dai miei colleghi (ricordo la professoressa Guarino, responsabile del progetto, le mie colleghe Di Carlo, Genovese…), hanno ascoltato con attenzione devo dire esemplare - e non è scontato, ve lo assicuro! - le parole di Lia, rivolgendole molte domande sulla “Trilogia della memoria” e sul nuovo romanzo. E non solo: le hanno chiesto anche delle traversie subite durante la seconda guerra mondiale e si sono incuriositi a proposito di quella che potremmo chiamare “l’officina dello scrittore”: tecniche, strategie, ispirazione e lavoro di lima…
La professoressa Mangano ha preparato il coro della scuola che ha eseguito due canti sefarditi, molto apprezzati da Lia. Il suono di un flauto e le corde di una chitarra li hanno resi più suggestivi. Da ricordare anche la performance di Marcello Dell’Utri, un attore che ha letto alcuni brani tratti dalle opere di Lia.
Spero davvero che questo progetto - il primo che ospita la mia scuola - faccia da apripista per nuovi incontri con altri autori.
Io sono veramente felice che la mia amica Lia sia stata nostra ospite e la ringrazio di vero cuore… vorrei che questo incontro fosse solo il primo di una lunga serie!

Postato lunedì, 3 maggio 2010 alle 5:52 pm da Maria Lucia Riccioli

Anonimo ha detto...

Ecco la mia recensione: cliccate su www.marialuciariccioli.splinder.com.
Un caro saluto a voi tutti!
:-)

Claudia ha detto...

Carissima Lia,
Mi scuso per il ritardo nel leggere il tuo libro, ma ho avuto un periodo pieno che ha diminuito il tempo da dedicare alla lettura.
Sono rimasta molto affascinata dal personaggio di Teresa. Una donna semplice, non istruita, che appartiene a una classe sociale bassa. Non ha di sicuro le carte giuste per farsi strada nell’epoca in cui vive (avrebbe difficoltà anche oggi). Eppure Teresa ce la fa. Ma non perché vuole farsi strada nel senso che è una persona arrivista. Anzi nel libro sembra essere consapevole dei suoi limiti (infatti ha paura quando deve affrontare l’alta società o parlare di argomenti che non conosce), ma non di quanto riesca a trasformare la vita delle persone che le stanno intorno. In poche parole la sua semplicità e la sua bellezza si impongono da sole, senza bisogno che lei le usi coscientemente a proprio vantaggio. Infatti se lei è stata la causa dell’allontanamento di Amos dalla famiglia, è sempre lei il mezzo tramite cui il rapporto familiare viene recuperato. Da sottolineare però, che il rapporto che Amos riprende con la famiglia non è lo stesso di prima, perché Teresa è riuscita a conquistare tutti. All’inizio per il fatto di aver aderito alla tradizione ebraica (cosa in cui riesce a superare molti della famiglia), poi man mano viene apprezzata per quello che è. Franchin stesso deve ammettere che le piace, seguito da Rachele e addirittura da Michela (che definiscono strega). Lei riesce proprio con quelle persone con cui Amos ha più difficoltà. Teresa in fondo resta uguale dall’inizio alla fine, sono gli altri a cambiare. E’ la comunità ebraica stessa a mostrare segni di cambiamento riconoscendo parecchi pregi a una donna “gentile”. Tanto che il rabbino la chiamerà Ruth. segue-

Claudia ha detto...

Raccontato in questo modo sembrerebbe che Teresa abbia un qualcosa di soprannaturale che la distingue dagli altri. Eppure mi ha sorpreso proprio il fatto che Teresa non ha niente di tutto ciò: è una donna come tante. Anche Rachele a un certo punto si chiede quale sia il suo segreto. Secondo la sua opinione infatti l’amore tra lei e Amos poteva durare finché c’era un’attrazione fisica forte, ma non adesso che ci sono i figli e una casa da mandare avanti. Teresa risponde che l’unica cosa che le importa è farlo contento. Niente di trascendentale dunque. Eppure con questa sua “filosofia di vita” Teresa tiene vivo l’amore con Amos fino alla fine, e, cosa più importante, è felice. Tutti gli altri che intorno a lei hanno fatto dei matrimoni più “convenienti” sotto tutti i punti di vista, non lo sono. Teresa nota infatti che le altre coppie si preoccupano di cose inutili. Il messaggio appare chiaro: non sono i soldi, la classe sociale o la religione di appartenenza a rendere felici le persone. Ognuno di noi deve trovare ciò che conta davvero nella propria vita e aggrapparsi a questo. Per essere felici quindi, non è necessario avere qualcosa di straordinario, lo possiamo essere anche noi con tutte le nostre imperfezioni.
Come sottolinei pure tu nell’intervista di Luigi, “la filosofia di vita” di Teresa non è sottomissione. Anzi, lei mostra un’intraprendenza e un’autonomia notevole per il periodo in cui vive. Mi chiedo, per esempio, cosa sarebbe successo se non avesse raggiunto Amos sotto l’archetto il giorno del loro primo incontro. Teresa non si preoccupa che il suo gesto possa essere considerato poco conveniente. Lei è libera da tutto ciò che impongono le convenzioni sociali e segue soltanto il richiamo dell’amore. Anche in questo caso, non abbiamo una protagonista che va nelle piazze a difendere i propri diritti di donna. Per poterlo fare dovrebbe esserne consapevole, ma lei non lo è. Teresa si comporta in quel modo spontaneamente, perché è fatta così. (Tra l’altro quando nel libro si parla del movimento femminile lei non ne è al corrente). Anche qui quindi non c’è nessun comportamento eclatante. Teresa mostra la sua determinazione attraverso scelte personali che non fanno rumore. Paradossalmente è proprio quel silenzio a parlare in qualche modo a tutte le persone che la conoscono e ad attraversare le pagine del romanzo per arrivare fino a noi.
Complimenti per questo bel romanzo e per il personaggio di Teresa. Spero di vederti presto così mi congratulo di persona e ne approfitto per farmi scrivere una dedica sul libro. Un caro saluto Claudia Mereu

Anonimo ha detto...

http://www.marialuciariccioli.splinder.com/
Date un'occhiata... recensione, intervista a Lia Levi e le foto dell'incontro nella mia scuola...
Maria Lucia Riccioli

Posta un commento